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Un uomo deve fare ciò per cui ha talento

Cade oggi, 3 giugno 2024, l’anniversario dei cento anni dalla morte di Franz Kafka. Per celebrarlo e raccontarlo, abbiamo intervistato il suo biografo tedesco Reiner Stach
/ 03/06/2024
Natascha Fioretti

«3 luglio 1883, una giornata estiva mite e limpida, l’aria soffia solo debolmente negli stretti vicoli del centro storico di Praga, che a mezzogiorno arrivano a scaldarsi fino a 30 gradi. Per fortuna non è un caldo soffocante, le poche nuvole che si affacciano nel pomeriggio sono innocue, e cosi migliaia di praghesi attendono felici di trascorrere la calda serata in uno degli innumerevoli locali all’aperto godendosi la birra, il vino e la musica di ottoni».

Inizia cosi la biografia in tre tomi su Franz Kafka, con una ridente e moderna immagine di Praga il giorno in cui lo scrittore venne al mondo e di cui oggi, 3 giugno, ricorrono i 100 anni dalla morte. L’opera è a cura del letterato e critico Reiner Stach, classe 1951, nato a Rochlitz, di casa a Berlino, che allo scrittore boemo e ai suoi testi ha dedicato tutta una vita. Lo testimonia la biografia completa pubblicata in tedesco dal S. Fischer Verlag e ora in uscita in italiano per ilSaggiatore nei tre titoli: I primi anni, Gli anni delle decisioni, Gli anni della consapevolezza. Un lavoro enorme che si estende – se consideriamo le date di pubblicazione – dal 2002 al 2014. Proprio per questo Reiner Stach è considerato il massimo conoscitore dell’autore di indimenticati capolavori come La metamorfosi (1915), Il processo (1925), Il castello (1926), ma anche di racconti come Il fuochista (1927) o La lettera al padre (1952) che scrisse cinque anni prima della sua morte nel 1924, al culmine della produzione letteraria, e che viene considerata come una preziosa chiave interpretativa della sua opera.

Indimenticati e quanto mai attuali – come ci ricorda Giorgio Fontana in Kafka. Un mondo di verità (Sellerio, 2024) per il talento e la profondità di Kafka nel descrivere «la condizione dell’uomo contemporaneo», ma anche per «aver anticipato i totalitarismi» e per aver svelato «il cuore di società sempre più burocratizzate e disumanizzate».

Se della biografia di Kafka si è occupato e con grande successo, tanto da ispirare la miniserie austriaca Kafka, presentata quest’anno alla Berlinale e trasmessa in televisione dal canale pubblico tedesco ARD (sceneggiatore della serie è Daniel Kehlmann – l’autore de La misura del Mondo, Feltrinelli, 2006), Reiner Stach ora si dedicherà all’opera dello scrittore boemo pubblicando delle nuove edizioni commentate. La prima è già uscita ed è Il processo (Wallenstein, 2024).

La biografia
I tre tomi si leggono con leggerezza, Stach ha una penna fluida, le parole scorrono sulle pagine; si leggono con una curiosità crescente per via dei dettagli che vi vengono raccontati, così come gli incontri, le amicizie, gli amori.

Ad esempio veniamo a sapere che Kafka era curioso ma poco sensibile alla musica, frequentava gli eleganti caffè di Praga come il Montmartre e il Café Arco al Numero 6 di Plastergasse. Un suo testo sui caffè tramandatoci dal suo amico Oskar Baum ci rivela che Kafka considerava il caffè una delle soluzioni più ingegnose al problema della socialità e della solitudine insieme: avvicinava le persone ma non troppo. E, ancora, ci affascina leggere dei suoi incontri con Rudolf Steiner e Albert Einstein. Era il marzo del 1911 quando la comunità teosofica di Praga, proprio nella Niklasstrasse dove abitava Kafka, organizzò un convegno. Egli andò ad ascoltare il teosofo per poi concludere che «la teosofia era solo un surrogato della letteratura» o, ancora, che «la verità risiede in ciò di cui faccio esperienza e ciò che vivo, esperisco ha in sé la verità». Nello stesso periodo incontra anche Albert Einstein, lo scienziato che dal 1. aprile aveva ottenuto una cattedra di fisica teorica all’Università della città.

Il 1911 è anche l’anno in cui Franz Kafka e il suo grande amico Max Brod, giurista di giorno e scrittore di notte, persona socievolissima e abile nel tessere relazioni, visitano il Ticino. A questo proposito citiamo il volume dell’autrice basilese Barbara Piatti Da Casanova a Churchill. Viaggiatori famosi in viaggio attraverso la Svizzera (Hier und Jetzt, 2016), in cui si racconta come i due tenessero un diario di viaggio parallelo con l’intenzione di pubblicare un giorno una vera e propria guida in stile Lonely Planet. Un progetto che, avesse preso forma, avrebbe dato loro la possibilità di lasciare finalmente il lavoro da funzionari. Ne parlarono in particolare a Lugano in una delle serate trascorse sulla terrazza del Belvedere au Lac.

Tornando alla biografia, si legge anche con emozione – per la delicatezza e la profondità che Stach sfodera nel pennellare Kafka e i suoi abissi interiori – il suo vacillare; e con ammirazione, poiché al biografo riesce soprattutto di far brillare i talenti di Kafka, non solo letterari, mettendo in risalto la luminosità e lo spirito ironico della sua essenza.

Il lavoro del biografo
Che biografo è Reiner Stach? Prima di tutto empatico, e non potrebbe essere altrimenti per un autore che ha dedicato tutta una vita a conoscere Franz Kafka. E dell’importanza dell’empatia ci parla lui stesso ne Gli anni delle decisioni: «La parola magica del biografo è empatia. L’empatia aiuta laddove la psicologia e l’esperienza falliscono. Anche la vita più empiricamente documentata resta misteriosa se il biografo non risveglia nel lettore la volontà e la capacità di entrare in empatia con un personaggio, una situazione, un ambiente… L’empatia offre felici momenti di illuminazione».

Come e perché ce lo racconta lui stesso – Reiner Stach – che abbiamo intervistato. Prima però vale ancora la pena citare un passaggio che ci spiega come abbia concepito il suo lavoro: «Il biografo ha un sogno. Lo si potrebbe definire un’utopia, anche se forse non è altro che un vizio segreto, un’avidità. Vuole andare oltre ciò che è stato. Vuole sapere, no, vuole sperimentare come è stato vissuto quello che è successo da chi era lì. Com’era essere Franz Kafka. Sa che questo è impossibile. Quindi – alla fine – cosa otteniamo? La vera vita di Franz Kafka – certamente no. Ma uno sguardo fugace, uno sguardo lungo, sì».

Ed è quello che il biografo berlinese ci consegna non senza sorprenderci anche per le sue doti riassuntive e, infatti, fa sorridere il ritratto che in poche righe traccia di Kafka dicendoci che la vita dell’impiegato assicurativo e scrittore Dr. Franz Kafka, ebreo di Praga, durò quarant’anni e undici mesi. Di questi, quasi diciassette anni trascorsi tra scuola e Università, quasi quindici lavorando. A trentanove anni andò in pensione, morì a quaranta di tubercolosi in un sanatorio vicino a Vienna. In tutta la sua vita trascorse quarantacinque giorni all’estero, andò a Berlino, Monaco, Zurigo, Parigi, Milano, Venezia, Verona, Vienna e Budapest. Non sposò mai, ma si fidanzò tre volte: due con Felice Bauer (steno-dattilografa prussiana di origini ebraiche) e una volta con la segretaria praghese Julie Wohnryzek. Franz Kafka scrittore ci ha lasciato quaranta testi, nove dei quali possono essere considerati racconti.

Va ricordato che Franz Kafka aveva tre sorelle, Elli, Valli e Ottla (la sua prediletta) che – rispettivamente – nel 1941, 1942 e 1943, morirono nei campi di sterminio nazisti.

L’intervista

Reiner Stach, lei ha dedicato tutta una vita a Franz Kafka, più o meno 44 anni. Ne è valsa la pena?
Eccome! Non potevo saperlo all’inizio, quando negli anni Novanta dissi che era arrivato il momento di scrivere una biografia completa su Kafka, di colmare questa lacuna. Circolavano su di lui tanti luoghi comuni, tante storie inventate, falsi miti e mi dicevo: qualcuno deve fare ordine! In un secondo tempo sono stato investito di questo compito e mai avrei pensato di riuscire a realizzare un’opera che oggi è tradotta in undici lingue e ha raggiunto una diffusione e un impatto mondiali. Cosa può desiderare di più un biografo?

Non c’è il rischio di annoiarsi?
Studiando e leggendo Kafka non ho mai la sensazione di ripetermi, anzi, ogni volta i suoi testi sono una fonte inesauribile di insegnamento e nuova linfa.

Cosa le ha trasmesso il contatto con Kafka dal punto di vista umano?
Non è facile da spiegare perché non mi sono cimentato soltanto con la persona, ma con la sua epoca. Per prima cosa, dunque, ho letto molti libri storici e questo mi ha permesso di conoscere il contesto storico-sociale di Praga attorno al XIX secolo, un contesto che via via si è fatto sempre più animato e colorato. Ho potuto cogliere le somiglianze con la nostra epoca, ad esempio l’accelerazione tecnico/tecnologica, per cui molte persone si sentono sopraffatte. Sopraffazione, alienazione, eccessiva complessità sono sentimenti vissuti anche all’epoca di Kafka, che li esprime in modo potente. Dunque, non sorprende che oggi molti si riconoscano nelle sue atmosfere. Sono rimasto profondamente toccato dall’entrare in contatto con una persona così lucida e illuminata. Grazie a lui ho potuto riconoscere ciò che di cruciale caratterizzava quei tempi. Vorrei avere anch’io quella lucidità e quella visione che oggi sono fondamentali per non rimanere schiacciati dal flusso di informazioni che bombardano le nostre vite. Leggendo Kafka, questo modo di vedere e di osservare, magari anche di prevedere le tendenze, si può imparare. Io è tutta la vita che mi alleno…

Com’era Kafka di carattere?
Era una persona molto sulla difensiva, in parte perché da bambino non aveva acquisito fiducia in sé stesso, non veniva mai elogiato o premiato, ma semmai criticato. Sappiamo del difficile rapporto con il padre. Chi cresce in questo modo, anche più tardi, nel corso della vita adulta, si aspetta sempre che da un momento all’altro possa accadere qualcosa di negativo. Kafka fece suo questo atteggiamento difensivo, adottandolo nei confronti della vita.

Non era facile, per lui, avere delle relazioni umane?
Se ad esempio in una relazione con una donna l’obiettivo diventava quello di intensificare il rapporto, lui si metteva sulla difensiva, iniziava a elencare tutto quello che sarebbe potuto andare storto. Ecco perché nel penultimo episodio della miniserie Kafka, Milena Jesenska lo accusa esattamente di questo. Gli dice: «tu ti rendi le cose facili, semplifichi tutto, ti fai sempre piccolo».

Per contro, però, di Kafka si dice che fosse un uomo affascinante.
Questo suo atteggiamento difensivo e chiuso valeva solo per coloro che gli erano molto vicini. A notarlo erano i suoi amici più cari. Per gli altri Kafka era una figura molto affascinante e divertente, soprattutto era apprezzato per essere un attento ascoltatore. Dai suoi testi si evince che aveva una profonda empatia per le persone. Più d’una volta è successo che persone quasi estranee si rivolgessero a lui in cerca di consiglio. È accaduto in sanatorio o in ufficio, dove i colleghi si rivolgevano a lui per risolvere i loro problemi privati. Lo stimavano molto e, soprattutto, sapevano che li avrebbe ascoltati. Una caratteristica poco comune all’epoca, soprattutto tra gli uomini.

Dunque Kafka era molto popolare?
Sì, lo era, e molte persone lo trovavano affascinante. In vita non ha avuto avversari, il che è davvero sorprendente. Nessuno che su di lui facesse apprezzamenti negativi. Persino i superiori cechi che ebbe dopo la fine della guerra, intolleranti verso i dipendenti tedeschi – ne cacciarono molti – , non avrebbero invece voluto perdere Kafka. Non solo per la sua competenza e le sue conoscenze, ma perché era socievole e affascinante. Kafka era molto popolare e molte persone ne erano attratte.

Un ritratto totalmente diverso da quello che emerge dai diari.
Sono qualità di cui non sapremmo se avessimo letto soltanto i diari in cui Kafka si è sempre ritratto negativamente, ma i ricordi scritti di molte persone ci raccontano un altro uomo.

Non sembra possibile se pensiamo che dalla sua penna è uscito Gregor Samsa. Eppure lei racconta che anche le donne si rivolgevano a lui in cerca d’aiuto…
Donne molto giovani che non sapevano se dare ascolto ai genitori o seguire i propri interessi. Lo contattavano anche da oltre frontiera. Kafka inoltre era noto per apprezzare tanto il lavoro di tipo intellettuale quanto quello manuale. Se, ad esempio, una donna gli scriveva che il suo sogno era quello di diventare giardiniera e i genitori si opponevano, lui la esortava a perseguire le sue ambizioni: «Un uomo deve fare ciò per cui ha talento», diceva.

Oltre ai diari e alle lettere, quali fonti le sono state di particolare aiuto?
Sicuramente i giornali di allora, i quotidiani ai quali sono arrivato per necessità, dopo aver letto e confrontato i diari e le lettere. È stato sorprendente constatare come Kafka fosse coerente nel suo pensiero e nel suo rivolgersi agli altri. Non indossava mai una maschera, era una persona molto autentica. In ogni caso c’è stato un momento in cui, soprattutto per quanto riguarda i suoi anni giovanili, avevo solo poche informazioni. Molto era contenuto nei documenti lasciati da Max Brod, che però non erano accessibili. A quel punto mi hanno aiutato i giornali. Volevo assolutamente sapere se Kafka da bambino avesse visto di persona l’imperatore, perché ai tempi era considerato un evento eccezionale da raccontare e tramandare in famiglia per generazioni. Grazie a un quotidiano viennese sono venuto a sapere di una visita a Praga dell’imperatore e del percorso che aveva fatto in città con la sua carrozza. Dalla cartina ho visto che la carrozza passava proprio sotto la finestra al terzo piano della casa dove abitava la famiglia Kafka.

È vero che Kafka tentò il suicidio?
C’è stata una fase in cui Kafka non solo era malinconico, ma anche depresso. Era la primavera del 1915, fece una sorta di burnout per via della doppia vita che conduceva: di giorno impiegato assicurativo, di notte scrittore. In ufficio doveva fare molti straordinari, spesso doveva sostituire i colleghi assenti, a volte doveva andare in ufficio anche la domenica. Di notte lavorava per ore infinite finché non faceva giorno, e in quella primavera ebbe una specie di collasso. Non riusciva a finire Il processo o ad avviare nuovi progetti. Rimase in questo stato per circa un anno. Così, un giorno andò dal suo superiore e gli disse che la situazione non era più sostenibile. Vedeva solo due soluzioni: andare al fronte – e questo, Kafka lo sapeva bene, equivaleva a un suicidio – oppure un congedo non pagato di diversi mesi, in modo che potesse riprendersi. Chiaramente si è avverata la seconda opzione perché diversamente Kafka avrebbe fatto parte del reggimento che fu mandato in Italia e non fece più ritorno, eccezione fatta per poche anime.

La sua missione è quella di fare conoscere il Kafka inedito, quello più nascosto e, per così dire, simpatico. Quale opera consiglierebbe a chi volesse avvicinarglisi?
Non ho dubbi: Una relazione per un’Accademia (1917) in cui una scimmia racconta come sia stata fatta prigioniera dall’uomo, abbia ricevuto una formazione per diventare più umana e si ritrovi infine nei panni della curiosità di uno spettacolo di varietà. L’animale impara a parlare, fuma e beve, ma resta comunque solo. Ha imparato a essere come gli uomini, ma loro lo escludono, lo vedono soltanto come un’attrazione. È una storia che qualsiasi studente o giovane può capire, non suscita i tipici incubi kafkiani, ma mostra come le storie tristi possano avere un risvolto comico.