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Bibliografia

Gianluigi Simonetti, Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, nottetempo, Milano, 2023.


Anatomia del Premio Strega

Saggio  ◆  Nel suo nuovo lavoro Gianluigi Simonetti mette a nudo – tra pregi e difetti – il prestigioso premio letterario italiano
/ 16/10/2023
Roberto Falconi

Perché Walter Siti ha vinto il Premio Strega con Resistere non serve a niente, il suo romanzo meno suo, e non avrebbe mai potuto vincerlo con Troppi paradisi (men che meno con Scuola di nudo; lasciamo perdere con Autopsia dell’ossessione)? È una delle questioni su cui si interroga Gianluigi Simonetti nel (sin dal titolo) felicissimo Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario.

Lo scopo del libro è chiaro: ricostruire alcune tendenze di una parte della narrativa italiana più recente deducendole dall’osservatorio specifico del Premio Strega degli ultimi vent’anni. Altrettanto chiara è la tesi: i premi non vanno agli scrittori più bravi, ma, «nell’ipotesi più favorevole», a quelli che intercettano meglio la sensibilità del proprio tempo: il gusto della giuria e del pubblico, gli interessi degli editori.

La prima parte del saggio analizza le trasformazioni dei premi letterari in generale e dello Strega in particolare, senza che questo implichi di ripercorrere le chiacchiere e i pettegolezzi (spesso molto fondati) che da sempre accompagnano il verdetto: dalle manovre dei grandi gruppi editoriali alle beghe tra scrittori che hanno vinto o perso per un solo voto di scarto. Il problema, dice Simonetti muovendo da alcune cruciali acquisizioni de La letteratura circostante, è che ormai lo Strega garantisce un «bottino di capitale sociale» che il vincitore può investire in attività più o meno laterali rispetto al libro premiato: reputazione nel proprio giro di riferimento, cooptazione nel sistema dei media, firmacopie, traduzioni, trasposizioni dell’opera su altri vettori. Insomma, lo Strega diventa l’emblema di quella «festivalizzazione della letteratura» per cui contano sempre di più la contiguità (tra lettore e libro e tra libro e persona fisica dell’autore) e la contestualità (la capacità di un’opera e di un autore di integrarsi in sistemi esterni al campo letterario). La conseguenza è che ormai, come ha ironicamente scritto Alfonso Berardinelli, «il romanzo italiano oggi esiste perché c’è il Premio Strega»; cioè si riconfigura e si appiattisce sul gusto di un pubblico medio (ma molto largo, e quindi molto redditizio) alla ricerca di «nobile intrattenimento». Di racconti in cui la ricerca di letterarietà (spesso velleitaria se non d’accatto) si somma a qualche mezzuccio a buon mercato per sedurre il lettore (montaggi ben congegnati, tinte forti). La destabilizzazione stanca, chi scrive e chi legge: meglio allora scrivere e leggere un romanzo che confermi nei propri sistemi valoriali e nei propri orizzonti di aspettative (politicamente corretti, vagamente progressisti), ma con l’illusione di uno sguardo problematico sul Mondo. Insomma, quella letteratura del «neo impegno» su cui si è recentemente soffermato proprio Walter Siti, costruita su stereotipi incapaci di qualsiasi scavo. Aggiungo, restando in zone sitiane: per raccontare, anche con dovizia di particolari fattuali, le storie di Filippo Addamo e di Ruggero Freddi sarebbe bastato qualche bravo giornalista; per indagarne gli abissi ci voleva La natura è innocente.

Ecco allora che nella seconda parte Simonetti analizza in sei microsaggi altrettanti romanzi, cinque vincitori dello Strega negli anni Zero e Le assaggiatrici di Rosella Postorino, un’incursione al Campiello utile a dimostrare che alcune tendenze dell’ultima narrativa si sono ormai diffuse a tal punto da smussare anche le differenze tra i vari premi. Ora, se insistere anche qui sulle pochezze de La solitudine dei numeri primi e di Non ti muovere mi pare francamente ingeneroso, val forse la pena di notare come Simonetti – sempre con argomenti inattaccabili e senza guardarne dall’alto in basso i lettori – non consideri poi chissà quanto riuscito nemmeno M. Il figlio del secolo («sembra ispirarsi principalmente a Game of Thrones»). Lo dico perché ho l’impressione, forse mi sbaglio, che siano semmai i lettori di Scurati, per qualche motivo, a guardare dall’alto in basso chi legge Giordano o Mazzantini. Non è quindi un caso, tornando a ciò che dicevo in entrata, che Walter Siti abbia vinto lo Strega con un romanzo ammorbidito rispetto ai precedenti, ma solo all’apparenza più vicino ai gusti di un pubblico largo nella scelta dei temi (malavita e finanza) e dell’istanza narrativa (abbandono della prima persona). Operazione che potrebbe in realtà costituire una metariflessione proprio sulla genesi di un libro scritto su commissione (e Siti tornerà ironicamente sulla questione in Bontà, che secondo questa prospettiva può essere allora letto come un paratesto di Resistere non serve a niente). Non mancano pertanto, nella medietà (mediocrità) generale sin qui descritta, felici controesempi, né tra chi ha vinto lo Strega (Starnone, Trevi), né tra chi vi ha sempre girato alla larga (Mari, Trevisan).

Nella terza parte del saggio Simonetti mi pare che rintuzzi in anticipo le eventuali riserve sui criteri che lo hanno guidato nella scelta dei sei romanzi di cui sopra; di averli cioè utilizzati per dimostrare una tesi precostituita. Le acquisizioni delle analisi puntuali sono infatti verificate sulle cinquine delle ultime sei edizioni dello Strega, con risultati che confermano costanti e tendenze in atto.

Ne concluderei due cose, entrambe molto belle e non scontate, visti i tempi che corrono. La prima: a differenza di quel che fa certa critica vagamente autoreferenziale, Simonetti parla di libri e non di sé (o, meglio, rivela sì qualcosa di sé, ma parlando seriamente dei libri degli altri, come peraltro fa anche il più asettico dei filologi). La seconda: la prospettiva di Simonetti non è blandamente descrittiva, ma saldamente critica. Lo era anche ne La letteratura circostante, vale la pena di ricordarlo.

 

Cesare Pavese riceve il Premio Strega nel 1950 da Maria Bellonci. (Keystone)