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«È importante conoscere le nostre antenate»

Intervista ◆ Sara De Simone, anglista e critica letteraria, ci dice perché le biografie femminili vanno di moda e con quali rischi
/ 03/07/2023
Natascha Fioretti

Da cinque anni a questa parte il mondo editoriale e non solo sta avendo una grande attenzione per le biografie al femminile. Sia le biografie di scrittrici dimenticate e poi riscoperte, sia quelle di figure femminili che hanno avuto un ruolo determinante per la società e il costume del loro tempo e sono state sistematicamente ignorate dai libri di storia e di letteratura. A questo proposito mi viene in mente il racconto di Dirk Kurbjuweit – scrittore e oggi direttore dello «Spiegel». Era partito alla ricerca del politico e poeta romantico Georg Herwegh pensando che sarebbe stato il protagonista del suo romanzo storico. Poi però indagando sulla sua vita scoprì che la vera eroina, la figura coraggiosa che giocò un ruolo determinante nelle rivolte del 1848 e fu un’abile amazzone – tanto da far invidia agli uomini – era sua moglie Emma (da qui il romanzo La libertà di Emma Herwegh, Bollati Boringhieri).

«È un dato di realtà che negli ultimi anni c’è stato un rifiorire dell’attenzione nei confronti non solo delle autrici che erano state dimenticate ma anche autrici che erano sempre state lette in un certo modo, secondo una lettura più comune che le femminilizzava troppo e ne minimizzava gli aspetti di originalità. Adesso c’è un recupero» racconta Sara De Simone, critica letteraria, presidente della Italian Virginia Woolf Society e autrice della biografia Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf, storia di un’amicizia (di cui Laura Marzi ci parla a pag. 35 di questo numero di «Azione»). Parte da qui la nostra chiacchierata sottolineando come nella storia - in particolare negli anni Venti e Settanta – ci sia già stata un’attenzione e una riscoperta delle biografie femminili. Oggi però a fare la differenza sono i social che da un lato ne aiutano la diffusione, dall’altro portano ad una semplificazione delle loro vite.

Possiamo dire che oggi viviamo un femminismo mainstream?
Moltissime giovani si stanno avvicinando al femminismo declinandolo a modo loro come lo declinano i loro idoli su Tiktok o Instagram. Stiamo però andando incontro a pericolose semplificazioni o equivoci. Oggi si promuovono modelli di empowerment femminile - quindi il recupero di vecchi modelli dimenticati o la proposta di nuovi modelli che hanno a che fare con nuove categorie, per esempio LGBTQ, o nuove identità di genere che attraverso la comunicazione diretta sui social si fanno conoscere. Spesso, oltre a far conoscere sé stesse, le giovani fanno opera di divulgazione su figure che ritengono particolarmente iconiche. Tra queste ci sono moltissime figure della letteratura femminile. Recuperano i nomi, li fanno circolare insieme ad alcune opere e citazioni ma d’altro canto non contestualizzano e questo succede un po’ a tutti i livelli, nei social come nell’editoria.

In che senso?
Al momento vengono ripubblicate molte scrittrici che per un certo periodo erano sparite dalle nostre librerie, penso a Gianna Manzini, Alba de Céspedes, Fabrizia Ramondino, scrittrici che sono state al centro della vita e della letteratura italiana e che però poi sono state dimenticate. Ora piccoli editori indipendenti ma anche pubblicazioni illustri e case editrici importanti le rilanciano.

Dunque una cosa positiva?
Sì, ma una cosa che sto notando spesso è che vengono introdotte da altre scrittrici italiane. Da un certo punto di vista è un’operazione interessante, al contempo però è anche un po’ miope se pensiamo che abbiamo delle figure che si occupano di questo che sono le figure delle critiche letterarie. Probabilmente sono di parte, ma sono dell’idea che si dovrebbe trovare sempre una mediazione tra l’aspetto di comunicazione e l’aspetto di sostanza. Certo ci interessa sapere come una scrittrice di oggi legga una scrittrice di ieri e come la possa portare verso il pubblico, ma non dobbiamo dimenticare che per fare un vero servizio ai lettori e alle lettrici quella scrittrice va contestualizzata, serve qualcuno che l'abbia studiata, ne conosca le opere. Dunque l’interesse per le autrici del passato è un fenomeno fondamentale perché ci permette di fare quello che la Woolf evocava in Una stanza tutta per sé: ricostruire genealogie, tracciare chi sono le proprie antentate e guardando alle proprie antenate affrontare il presente e il futuro. Ma proprio perché bisogna conoscerle bene bisogna fare uno sforzo di approfondimento in più che va al di là dell'attualizzazione.

Cosa significa?
L’attualizzazione è un procedimento sempre un po' scivoloso perché da un lato ci consente di ragionare su come un’autrice di 60, 70 anni fa avesse già detto delle cose fondamentali per oggi e di come parlasse al nostro presente. Non dobbiamo però neanche dimenticare che i grandi scrittori e le grandi scrittrici sono sempre contemporanei. Non dobbiamo cadere nel tranello di volerli attualizzare troppo usando categorie che sono assolutamente dei nostri giorni dimenticando di fare una riflessione sul momento.

Viviamo in un mondo più femminista?
Non credo. Certo sarebbe miope non riconoscere i cambiamenti che sono stati fatti grazie alle lotte delle donne - però oggi c’è qualcosa di molto pericoloso. Mentre da un lato c’è una comunicazione molto palese di grandi libertà e di grandi conquiste, della possibilità di fare tutto, dall’altra persistono stereotipi, pregiudizi, violenze, e allora c'è qualcosa di schizofrenico. Pensiamo al grande recupero delle donne che viene cavalcato a livello commerciale dalle case editrici, dalle TV, dal cinema che però si prendono la licenza artistica di inventare molte cose. Come la serie americana Dickinson che ha avuto un grande successo. Poi però i teenager pensano che Emily fosse come la protagonista della serie che mette l’accento sulla sua relazione con la cognata con interpretazioni chiaramente faziose: in verità noi non sappiamo che tipo di rapporto avesse, sappiamo che nella sua vita era importante. C’è un forzare, premere il pedale su certe questioni banalizzando però le esistenze di queste donne, la complessità della loro vita che era più sfumata, più piena di tinte, fatta di luci e ombre.

Poi ci sono i social che spesso diffondono inesattezze.
Sul palco del primo Maggio trasmesso in diretta sulla RAI, una cantante pop italiana ha letto una poesia attribuendola a Virginia Woolf. Ma è una poesia che la Woolf non ha mai scritto, anche se in rete le viene attribuita. Con l’Italian Virginia Woolf Society abbiamo dovuto fare un comunicato per chiarire. Quindi da un lato si dice: «cChe bello, finalmente Virginia viene letta su un grande palco davanti a tanti giovani». Dall’altro passa un’immagine di lei completamente fasulla. Tornando al discorso di prima e al mondo editoriale, bisognerebbe coniugare la riscoperta di un’autrice contestualizzandone la vita e l’opera e introducendola con lo sguardo e la competenza di una critica letteraria. E poi dovremmo  interrogarci più profondamente sul perché adesso le donne vadano di nuovo di moda.