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Informazioni
Per consultare la programmazione della Casa della Letteratura basta andare sul sito www.casadellaletteratura.ch
Una Casa della letteratura itinerante
In dialogo con Fabiano Alborghetti per i primi cinque anni di attività di questa importante realtà culturale
Natascha Fioretti
La prima volta che ho intervistato Fabiano Alborghetti risale al 2013. In quell’occasione parlammo de L’opposta riva – dieci anni dopo (Edizioni La Vita Felice), raccolta di poesie che uscì proprio quell’anno e come una Spoon River dei vivi raccoglieva voci e poesie d immigrati clandestini, sans-papiers, esistenze tessute nella povertà di chi vive ai margini. Ci ritroviamo per caso, o forse no, esattamente dieci anni dopo e Fabiano Alborghetti, classe 1970, nel frattempo ha ricevuto il Premio svizzero di letteratura nel 2018 per Maiser (Marcos y Marcos, 2017) romanzo in versi che di nuovo mette al centro le vite di persone comuni, ha pubblicato una nuova raccolta poetica, Corpuscoli di Krause (Gabriele Capelli editore, 2022) e, soprattutto, dal 2019 è diventato presidente della Casa della Letteratura che da poco ha inaugurato la sua nuova stagione e proprio il 30 marzo, tra qualche giorno, compie i suoi primi cinque anni di attività.
Va detto che lo sguardo aperto, la sensibilità e lo spirito critico di Fabiano Alborghetti non abitano soltanto la sua scrittura e i suoi testi ma anche il suo modo di vedere il panorama letterario e culturale svizzero. Nella nostra chiacchierata partiamo infatti con una riflessione sui due premi svizzeri importanti consegnati di recente che mi sembrano indicativi dello scenario attuale caratterizzato da una vivacità di voci e nuove uscite anche nella Svizzera italiana. Mi riferisco naturalmente al vincitore dello Schweizer Buchpreis, Kim de l’Horizon (sabato 1 aprile sarà ospite degli Eventi letterari Monte Verità) e alla vincitrice del Gran premio svizzero di letteratura Leta Semadeni. «Il premio a Leta Semadeni è pienamente meritato per una carriera letteraria profonda fatta di ricerca. Con la coerenza del linguaggio è riuscita a bilanciare bene prosa e poesia. Senza mai snaturarsi ha mantenuto una coerenza stilistica e di sguardo che con il premio le è stata riconosciuta. Peccato – fatta eccezione per Tamangur (Casagrande), opera molto bella che ha il passo lungo e il fiato largo della prosa ma anche la visione diagonale propria della poesia – che in italiano sia poco tradotta».
Più critico è il suo sguardo su Blutbuch, l’opera prima di Kim de l’Horizon «ne ho letto solo qualche estratto – aspetto l’edizione italiana che uscirà per il Saggiatore – ma continuo ad avere delle riserve. Non vorrei – e questo mi spaventa sia come scrittore sia come operatore culturale – che il fatto che sia un autore non binario a trattare un argomento trito e ritrito ma con un approccio completamente nuovo, sia la scusante per incensare qualcosa che non c’è». La traduzione nel segno dello scambio linguistico e culturale all’interno del nostro Paese è da sempre un tema caldo. Nel caso di Kim de l’Horizon vediamo che a pubblicarlo sarà un editore italiano, un’occasione persa (come tante altre)? «È un tema spinoso. Ci sono degli editori che operano bene con la consapevolezza – e questo dobbiamo sottilinearlo – che la massa critica di poteziale pubblico interessato ad un certo tipo di letteratura nella Svizzera italiana non c’è. Fare invece tradurre a editori italiani gli autori svizzeri romandi o germanofoni permette di raggiungere un bacino d’utenza molto più ampio. L’editore ticinese che vuole tradurre un autore francofono si trova a dover combattere con un mercato con delle complessità da penetrare». A svolgere un grande lavoro di diffusione e scambio in questo ambito, sempre al passo con l’attualità, da dieci anni a questa parte c’è Viceversa letteratura che però dal 2025 non riceverà più il sostegno federale alla cultura. «Mi spaventa il fatto che possa venire minata la solidità e la continuità di una testata come Viceversa che è da sempre attenta all’attualità delle pubblicazioni nelle tre lingue nazionali e con la sua piattaforma fa un lavoro esemplare come pure con l’annuario, unica pubblicazione distribuita a livello nazionale».
Veniamo alla Casa della letteratura che ha da poco inaugurato la nuova stagione con una programmazione dal titolo Ancora Luce nel segno di Goethe: «Nell’era della postpandemia e della guerra vogliamo perseguire la luce per dire che non sono estinte la speranza, lo stupore, la gioia. Con la ragione, con la letteratura vogliamo fugare il buio. Nella scelta dei temi e degli ospiti c’è stata la volontà di bilanciare voci e sguardi, non essere eccessivamente accademici ma convocare qualcosa che sia alla portata di un pubblico generalista avvicinandolo a temi che generalmente non frequenta o fanno paura, come ad esempio la poesia». Non ce n’è forse troppa di poesia? «Storicamente il Ticino è sempre stato terra di poesia ma è anche vero che negli ultimi sei anni c’è stata un’inversione di tendenza inaspettata con la nascita di nuovi prosatori e romanzieri. La prosa è più facile da tradurre – ci ricolleghiamo al discorso di prima – e vediamo come alcuni bravi autori ticinesi appena nati sono già stati tradotti nelle due lingue nazionali – Fabio Andina e la sua Pozza del Felice nella traduzione tedesca ha fatto il botto così come Virginia Helbling in francese». Pensando alle ultime pubblicazioni e a una certa vivacità in campo narrativo mi vengono ancora in mente Monica Piffaretti (La memoria delle ciliegie, Salvioni), Sabina Zanini (A una voce, Capelli), Sarah Rossi Guidicelli (Voi che avete visto il mare, IET) e Monica Claudia Quadri (Infanzia e bestiario, Casagrande). «C’è una grande vivacità rispetto a qualche anno fa in cui i grandi maestri facevano sentire la loro presenza. Oggi, liberati dal padre ingombrante, i figli riescono a camminare da soli e lo stanno facendo bene».
Cinque anni fa avete avuto l’intuizione di creare una casa della letteratura a Lugano al pari di altre città svizzere come Zurigo o Basilea: come vi relazionate con le altre realtà? «Siamo stati l’unica Casa della letteratura in Svizzera – anche rispetto a quelle più antiche per storia – a creare subito un dialogo, a proporre incontri e programmazioni con autori ticinesi. Lo stesso sul nostro territorio, abbiamo cercato di fare rete con molte altre realtà culturali per creare degli eventi in tandem». Cosa risponde a chi vi imputa che siete chiusi, una sorta di circolo ristretto che invita sempre i soliti noti? «Se significa che non invitiamo qualunque scrittore della Svizzera italiana alla Casa della letteratura non è questo il termine di paragone perché non è nata per presentare qualsiasi cosa esca sul territorio. C’è qualcosa a monte che guida la programmazione». Qual è stata la bellezza di questi primi cinque anni? «Direi bellezza e limite. Bellezza perché siamo riusciti a colmare un buco che era evidente ci fosse. I festival hanno un’importanza totale ma si aprono e chiudono in pochi giorni. Dando spazio alle più diverse voci – dal saggio alla traduzione alla poesia alla prosa – abbiamo creato una continuità. Il limite è che non riusciamo a girare per la Svizzera italiana quanto vorremmo e quindi portare i nostri incontri a Locarno, Chiasso, Mendrisio o Airolo. Vorremmo non essere soltanto la Casa della letteratura con sede a Lugano ma rispecchiare anche con l’azione quello che è il nostro nome e dunque essere presenti fisicamente nel resto del Ticino. A proposito di bellezza naturalmente c’è il pubblico, in questi anni abbiamo guadagnato la fiducia di un pubblico fedele e presente».
Il prossimo appuntamento in calendario è il 6 aprile alle 18:00 al Palazzo dei Congressi con Giorgio Boatti che presenta il suo nuovo romanzo Abbassa il cielo e scendi (Mondadori).