Narratore di molti libri, traduttore, autore di recente anche di una graphic novel da La luna e i falò di Cesare Pavese (Tunué), Marino Magliani è un affascinante scrittore-viaggiatore di diversi mondi, la Liguria natale e l’Olanda raccontata nel bellissimo reportage intimo Soggiorno a Zeewijk (Amos, 2014), dove attualmente vive, principalmente, ma è vissuto anche in Spagna e in America Latina, di cui ha tradotto molti suoi scrittori, facendo i mestieri dei nostri «spatriati» come il cameriere, lo scaricatore di porto oppure il marinaio.
Con Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma, 2021, 286 pp), adesso scrive anche un romanzo storico, o il tradimento di un romanzo storico, ma soprattutto un libro d’avventura dallo stile quasi classico e un conio letterario che sarebbe piaciuto a un suo conterraneo che per tanti motivi gli è affine, Francesco Biamonti, cesellatore di paesaggi e cantore dei passeur, perché proprio il paesaggio, più dei personaggi e la trama, è uno dei protagonisti di questo godibilissimo libro dal piglio assolutamente letterario. Reperto memoriale, documenti d’epoca, missive ritrovate, relazioni medico-scientifiche, mappe, dispacci militareschi convivono armonicamente in questo libro con partiture di narrativa d’invenzione, di luoghi, storie della Storia e paesaggi, soprattutto paesaggi, una geografia piuttosto definita, che è un’altra traccia di scrittura, dove appunto l’autore rivisita con stile personale il romanzo di viaggio e di scoperta, prendendo decisamente le distanze da una letteratura sempre più relegata nelle pieghe dell’io, condannata al registro del presente.
La storia comincia nel 1799, quando tre soldati napoleonici reduci dalla campagna d’Egitto dopo la battaglia di Marengo, Lemoine, Dumont e Urruti, «un capitano, un tenentino e un soldato mezzo basco» – il primo un uomo colto, il secondo un sognatore e il terzo molto rude – fuggono disertando, arrivando con dei piroscafi in Europa, girovagando dispersi tra il Piemonte e la Liguria di Ponente, luoghi popolati da pericolose spie, dove continuano a consumare hashish. Sono attenzionati da un medico olandese, il dottor Zoomer, che sta effettuando un «esperimento sanitario» voluto da Napoleone in persona, indagando le molte defezioni tra le truppe, certo che uno dei motivi della stanchezza della guerra sia l’uso di questa nuova sostanza stupefacente che i soldati hanno conosciuto sulle rive di un lago paludoso non lontano dalle acque del Nilo, il quale mette alle calcagna dei fuggiaschi il suo collaboratore Pangloss.
I tre picari sono colti nel momento di spaesamento umano ed esistenziale dopo la guerra, in un territorio popolato da uniformi nemiche, in quella che può essere letta anche come una favola antimilitarista; deposte le armi resta il cannocchiale del titolo, che però serve a osservare la natura lirica, crepuscolare, i tramonti struggenti. Fuggiti dai conflitti, dalla battaglia, feriti, i tre attraverso quello strumento di osservazione «scoprono la vita», le Marenche, le strade del sale, i torrenti, quello che il narratore con nostalgia definisce «lo spettacolo della vegetazione», il mondo animale di uccelli, persino la preghiera di una mantide, protetti dagli ulivi, che «riescono a riappacificare, consumano i fantasmi», quando «la venatura della lente ristabilirà tra l’occhio e il mondo un miracoloso equilibrio, annullando lo spavento». Vedono le poiane, «forme di rocce», quella campagna aspra costruita dai contadini arcaici, «i veri architetti della Liguria».
La narrazione pendolareggia tra fuga verso l’ignoto e scoperta, con una scrittura scabra e priva di orpelli, volutamente francescana, fortemente nitida. Insegue i movimenti, gli attraversamenti avventurosi dei personaggi, con vena visionaria e stralunata, e una prosa pittorica abilmente costruita sul mistero delle cose intorno, che insieme si intrecciano dentro il campo vivo della letteratura, tra il vero storico e un travestimento narrativo, l’invenzione di un personalissimo punto di vista.
Tra scoperta e fuga
Nel nuovo libro dello scrittore-viaggiatore Marino Magliani i protagonisti sono tre soldati napoleonici reduci dalla campagna d’Egitto
/ 11.10.2021
di Angelo Ferracuti
di Angelo Ferracuti