Con Sempre tornare (Mondadori), Daniele Mencarelli chiude la trilogia degli Anni giovani iniziata con La casa degli sguardi (Premio Strega Giovani, 2020) e Tutto chiede salvezza, tutti dall’editore di Segrate, tre libri uniti dallo stesso conio linguistico e taglio autobiografico in presa diretta, una caratteristica di questo poeta convertitosi tardivamente alla narrativa.
Anche in questo nuovo libro prevale la confessione, il disvelamento di un travaglio interiore che lo scrittore romano intreccia tra disagio esistenziale e generazionale, tensione mistica e tormento religioso, che vive come senso di colpa, in un’epoca di disimpegno e disincanto dopo quella turbinosa degli anni 70, dove «la nuova gioventù» vive l’abisso e l’alienazione senza rivoluzione dello sballo. Quel sentimento e bisogno d’assoluto che l’autore restituisce così al lettore: «Io è come se c’avessi dentro un cane che s’è perso il padrone, con quella nostalgia, come se c’avesse vissuto insieme. E lo cerca ovunque».
Ed è proprio da uno dei luoghi allora cult della Riviera romagnola, il Cocoricò di Misano Adriatico, che dopo una burrascosa e alcolica notte di Ferragosto del 1991 passata con i «nuovi libertini» sulle piste psichedeliche, il fallimento di un rapporto occasionale con una ragazza, Daniele, diciassettenne autore del libro e al contempo protagonista del romanzo, abbandona il gruppo e torna in autostop verso Roma in una giornata afosissima di caldo torrido, in mano una valigia che pesa come il piombo, ai piedi le «affezionate Superga», e una tremenda sete spia del suo disorientamento esistenziale.
Lì comincia il suo ondivago pellegrinaggio, e l’autostop diventa incontro con l’altro da sé, segno del destino, quella cosa misteriosa che il grande reporter polacco Ryszard Kapuściński chiamava «un indovinello», diventa ricerca interiore e naturalmente racconto, con quello stile ritmico, serrato, che è una caratteristica di Mencarelli, fatto di una lingua che di rado si concede divagazioni ed è tutta concentrata e al servizio della storia e della materia narrata, una lingua scarna, essenziale, mai leziosa, a togliere, come quella di alcuni maestri ispiratori, Penna e Saba in primis, naturalmente lirica quando l’acme dei sentimenti interiori irrompe all’improvviso sulla scena dei rapporti umani.
Infatti, questo più che un romanzo a trama come quelli precedenti, è un on the road con innesti anche reportistici e un libro di incontri, ma anche un racconto di formazione, un diario di viaggio, scoperta e catarsi, dove Mencarelli attraversa anche alcune geografie italiane riconoscibili e provinciali (Morciano, Urbino, Città di Castello, Gubbio, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni), tra le Marche e l’Umbria, luoghi dove è ancora forte la misura umana, dentro paesaggi naturali di grande fascino e bellezza, scenari di incontri del destino, relazioni fugaci e allo stesso tempo profonde, irripetibili di un’estate mitica, da sempre e per tutti «la stagione degli estremi, delle vacanze gioiose, degli amori improvvisi».
Tra gli strani personaggi che Daniele incontra e che gli danno asilo negli abitacoli delle loro automobili, Volvo, Ritmo, Tipo, piccole Fiat 126, Renault 4, o che lo alloggiano nelle loro abitazioni o in posti di fortuna, come tanti racconti conchiusi, racconti d’empatia, ci sono la solitaria Annamaria, che sembra il personaggio di un racconto de I veri credenti dell’irlandese Joseph O’Connor, Emma, un amore mai vissuto o, invece, talmente vissuto intimamente che diventa una poesia della «nuda bellezza», Veleno, l’allevatore rude che puzza di capra, il tappezziere Emilio, l’ex centauro Gianni, Agata, Manlio il postino erotomane, alla guida di un’Alfa, tra gli altri.
Daniele li incontra arreso, raccoglie le loro testimonianze, quelle di vedovi, separati, orfani, di persone sconfitte dalla vita che hanno subito offese o che sognano la fuga; sembra attraversarli, lui che dice di sé essere «capace di trasportarmi nelle vite degli altri senza mai chiedermi il permesso», che poi vive la gioia e il tormento di trasformare quelle esistenze in racconto, di portarle dentro la sua per farle vivere più che se fossero vere in carne ed essa dentro lo spazio della letteratura.
Mencarelli scrive un libro di grande forza espressiva, dove il protagonista, il suo doppio nella finzione romanzesca, prende coscienza di sé attraverso le vite degli altri, come in un gioco di specchi, perché proprio gli altri, umani e troppo umani, molte volte siamo noi.