Bibliografia

Jackie Polzin, Quattro galline, Einaudi, Torino, 2022.


Nel pollaio succedono miracoli

L’ultimo romanzo di Jackie Polzin tradotto in italiano ci racconta di gravidanze e di lutti in modo originale
/ 13.03.2023
di Laura Marzi

Fra gli animali domestici di certo le galline non sono le più attraenti: non esistono storie di galline che abbiano salvato qualcuno o di una gallina protagonista di un intero romanzo o serie televisiva, come accade ai cani. Le galline non sono famose per la loro bellezza o eleganza come i gatti e non si distinguono per la loro tenerezza, come gli agnellini per esempio. Eppure le galline sono state di recente protagoniste di due romanzi lodevoli: Capannone n.8 di Deb Olin Unferth, edito da Sur nel 2021 (di cui abbiamo parlato su «Azione» in un articolo dal titolo Un romanzo animalistahttps://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/un-romanzo-animalista.html) e il romanzo di Jackie Polzin, per Einaudi, intitolato Quattro galline, con la traduzione di Letizia Sacchini.

Attraverso le vicende delle quattro galline di cui è proprietaria la voce narrante e protagonista del romanzo, Polzin ci racconta la storia ordinaria di una coppia, di un matrimonio solido che resiste all’insensatezza dell’istituzione stessa: «Mettere la propria firma in calce a un sentimento volatile nella speranza che duri tutta la vita è in contrasto con qualsiasi esperienza del reale». Il romanzo racconta di un lutto, quello di un feto morto al quarto mese di gravidanza e a colpire chi legge è il fatto che in tutto il testo non si ritrovino parole di dolore o di lamento, solo la narrazione del trascorrere del tempo e dell’ineluttabilità della morte, attraverso il racconto delle vicende del pollaio. Ovviamente la cura che la protagonista dedica alle sue quattro galline, la sua ossessione di nutrirle nel modo più giusto ed equilibrato possibile, il fatto che al minimo rumore notturno sia in grado di scattare e di correre nel pollaio con la rapidità e l’efficienza di una ninja, dicono del desiderio di cura che la donna ha maturato nel corso della sua gravidanza interrotta e che non ha potuto riversare sulla neonata che avrebbe dovuto nascere.

Sono numerosi i romanzi che raccontano di maternità, soprattutto del rapporto tra madre e figlia. Di solito si tratta di storie molto difficili che danno conto della relazione tra due donne, che a volte si complica parecchio quando a unirle è il legame di sangue, il primo in assoluto. È raro, invece, trovare una storia sull’impossibilità di essere madre, in cui questo dolore viene nominato solo una volta e in modo del tutto sghembo, laterale: «Oggi non m’importa più così tanto di ciò che gli altri pensano di me, del mio aspetto o del mio potenziale di seduzione, che ovviamente sono tutte facce della stessa medaglia. Ma per qualche ragione mi fa male essere considerata una che non ha voluto figli». Ciò che addolora la protagonista del romanzo di Polzin è l’idea che gli altri possano credere che lei abbia scelto di non essere madre e aggiunge: «Non giudico quelli che non desiderano figli […] Magari sarei stata una madre terribile. Non ne ho la certezza né l’esperienza, e tantomeno un inderogabile voto di fiducia da parte di chicchessia. Ho solo l’idea che sarei stata brava, un’idea persistente».

La letteratura porta con sé un grande, incomparabile dono, quello di non indicare la retta via, di non dover mai essere politicamente corretta. Si sa quanto sia importante, infatti, dal punto di vista sociale, combattere contro lo stereotipo per il quale le donne che non hanno figli sono incomplete. E in questo preciso momento storico tale battaglia è ancora più importante, visti gli attentati sempre più gravi che vengono portati al diritto all’aborto, dall’Italia agli Stati Uniti, e le recenti invocazioni alla natalità, che paiono riportare indietro l’orologio di cent’anni. Le storie, però, non devono fare politica e possono raccogliere ed esprimere anche il dolore di chi, come la protagonista del romanzo, non ha nessuna posizione antiabortista o nazionalista, ma solo il sacrosanto desiderio di avere una bambina e l’inconsolabile dolore di non avercela fatta.

Quattro galline racconta del tentativo di elaborare questo lutto, o meglio, di come sia possibile farlo occupandosi della vita nelle sue forme meno emozionanti: delle pulizie, di monitorare la malattia di un albero, di allevare degli esseri del tutto indifferenti e incapaci di empatia, come le galline. Animali che hanno le ali ma non sanno volare, con un tratto preistorico e anaffettivo che le contraddistingue. Però fanno l’uovo: un oggetto compiuto, la cui forma viene associata all’idea stessa di perfezione e il cui contenuto nutritivo è incomparabilmente bilanciato.

La vita è misteriosa, si sa, regolata da leggi scientifiche e allo stesso tempo imprevedibile e Polzin sembra dirci che quando il disaccordo tra ciò che vorremmo e ciò che ci è dato raggiunge le sue massime vette, non resta altro che occuparsi di chi è completamente inerme eppure capace di miracoli, come le galline, perché «lì nel pollaio in un giorno qualunque era impossibile avere paura».