Dove e quando

Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano. Mostra prodotta e promossa dal Comune di Milano e Skira editore, con il sostegno di Fondazione Bracco, curata da Sylvia Ferino-Pagden. Palazzo Reale, Milano. Fino al 5 giugno.

www.palazzoreale.it

TIZIANO 
1. Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere, 1537 circa
Olio su tela, 114x103 cm
Firenze, Galleria degli Uffizi
6. TIZIANO 
Lucrezia e suo marito, 1515 circa
Olio su legno di pioppo, 82x68 cm
Vienna, Kunsthistorisches Museum
10. TIZIANO 
Venere Marte e Amore, 1550 circa
Olio su tela, 97x109 cm
Vienna, Kunsthistorisches Museum
15. PAOLO VERONESE 
Lucrezia, 1580-1583 circa
Olio su tela, 109,5x90,5 cm
Vienna, Kunsthistorisches Museum
21. PALMA il Vecchio
Giovane donna in abito blu, post 1514
Olio su legno di pioppo, 63,5x51 cm
Vienna, Kunsthistorisches Museum
 

La querelle des femmes e le donne di Tiziano

La donna del Cinquecento ritratta in alcuni capolavori del maestro protagonista a Palazzo Reale di Milano
/ 21.03.2022
di Gianluigi Bellei

Durante il Rinascimento le dispute erano all’ordine del giorno. La teologia rivaleggiava con la filosofia, le arti con le lettere, la medicina con la giurisprudenza e naturalmente la scultura con la pittura. Vi è poi una disputa meno conosciuta, un po’ strabiliante ma cui vale la pena accennare: in Francia è conosciuta come querelle des femmes. In sostanza la contesa si svolgeva sul quesito basato sul fatto che le donne siano superiori agli uomini o viceversa. Come rileva Margaret L. King ne La donna nel Rinascimento la querelle si è svolta in latino e in volgare in Italia, in Francia, in Inghilterra, fra cattolici, protestanti ed ebrei. La scintilla è l’attacco contro le donne nel Roman de la rose di Jean de Meung del XIII secolo. Il volume viene spedito a Cristina de Pisan, veneziana trapiantata a Parigi. La reazione è immediata, come i dibattiti nei cenacoli parigini. De Pisan è sicuramente la più famosa fra le scrittrici dell’epoca; suoi sono la Cité des dames, dove le donne vivono in una città autosufficiente o il Livre des trois vertus del 1405 dove si tracciano le linee per un’educazione delle donne di ogni ceto sociale. È un periodo fertile per le letterate; citiamo Isotta e Ginevra Nogarola, Laura Cereto, Cassandra Fedéle, Alessandra Scala e Olimpia Morata. La tradizione femminista riprende nel XVI secolo con Moderata Fonte la quale esalta l’indipendenza femminile ne Il merito delle donne del 1592; Lucrezia Marinella con La nobiltà et l’eccellenza delle donne del 1600 che sostiene la loro superiorità. Poi Angela Tarabotti, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Veronica Franco, una delle «principali et più onorate cortigiane di Venezia» ricorda Montaigne, e la francese Louise Labé.

Anche diversi uomini si sono schierati accanto alle donne per i loro diritti, come quello allo studio; il principale è sicuramente Cornelius Heinrich Agrippa von Neetesheim il quale sosteneva che l’unica differenza tra uomini e donne era di carattere anatomico. Poi l’inglese Sir Thomas Elvot che era favorevole al diritto delle donne a governare. Insomma di donne, di amori e di erotismo si discuteva parecchio da Boccaccio ad Agnolo Firenzuola, da Pietro Bembo a Baldassarre Castiglione fino a Pietro Aretino. Ed è proprio «l’infame Aretino» che pubblica le oscene Sei giornate. Nel Dialogo nel quale la Nanna il primo giorno insegna alla Pippa, sua figliola, a esser puttana, scrive al gentile e onorato messer Bernardo Valdaura che si sforza di ritrarre «le nature altrui con la vivacità che il mirabile Tiziano ritrae questo o quel volto».

Ed è proprio Tiziano al centro di una mostra a Palazzo Reale di Milano che presenta l’immagine della donna nella Venezia del Cinquecento attraverso un centinaio di opere sue e di suoi contemporanei. Quell’immenso Tiziano che Bernard Berenson associa a William Shakespeare perché entrambi «costituirono ciascuno la più alta e completa manifestazione del proprio tempo».

Molte sono state le esposizioni monografiche a lui dedicate e al suo prolifico lavoro: otto decenni e circa 500 opere… Quest’ultima è dedicata all’immagine della donna, perché, come sottolinea la curatrice Sylvia Ferino-Pagden in catalogo, «l’atto creativo di Tiziano avrebbe la medesima intensità dell’atto d’amore», come descrive Antonio Persio nel Trattato dell’ingegno dell’uomo del 1576. Sappiamo che Tiziano era un donnaiolo anche se si sa ancora poco dei nomi delle sue amanti e modelle. La prima moglie si chiamava Cecilia e gli ha dato due figli; la seconda un’altra figlia, Lavinia. Da un’altra ancora ha avuto una figlia illegittima di nome Emilia.

In ogni caso dipinge dei nudi meravigliosi, tanto che Lodovico Dolce scrive a proposito di Venere e Adone (una delle versioni è in mostra) che è difficile trovare un uomo che vedendola «non la creda viva… e che non si senta riscaldare, intenerire e commuoversi nelle vene tutto il sangue».

L’esposizione propone alcuni quesiti della storia dell’arte. Uno pare importante: l’analisi dei tanti dipinti raffiguranti fanciulle che si scoprono il seno a partire dalla Laura di Giorgione del 1506. Diverse le interpretazioni; la più banale è che rappresentino delle cortigiane (ovvero delle prostitute di lusso) il che non è possibile perché in realtà queste amavano presentarsi come gentildonne. Altri le considerano delle amanti con i conseguenti problemi del marito fedifrago che vuole appendere il quadro a casa; altri ancora credono che rappresentino l’idealizzazione della bellezza femminile. Infine, la tesi esposta in catalogo da Enrico Maria Dal Pozzolo, coadiuvato da altri studiosi è che queste fanciulle rappresentino delle promesse spose. Dopo diverse citazioni Silvia Gazzola butta l’asso nella manica: Giovanni Bonifacio che nel 1616 ha scritto L’Arte dei cenni, un preziosissimo dizionario enciclopedico, nel quale ha descritto minuziosamente ogni piccolissimo significato dei gesti corporei. Dopo aver delineato un itinerario che parte dal piano fisico definendo l’oggetto «le poppe», si avvia verso quello affettivo con «il seno» per terminare con quello etico «il petto». Perciò «aprirsi i panni dinanzi al petto sarà gesto di voler mostrar il cuore e così di realtà et sincerità». Laura di Giorgione, oltretutto, è contornata da un copiosissimo lauro che ne indica verginità e pudicizia.

Ci sono poi le Belle veneziane ma anche Venere e gli amori degli Dei, le eroine e le sante. Undici le sezioni della mostra fra dipinti, sculture, stampe, libri, perché proprio a Venezia in quegli anni operavano quasi la metà degli stampatori di tutta Italia. Guardate la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna edita da Aldi Manutii nel 1499. Il racconto del percorso «arduo e mirifico – scrive Mino Gabriele nell’introduzione alla versione edita da Adelphi – di Polifilo e del pellegrinaggio dell’anima verso il corpo» in una sorta di curiositas-voluptas.

Due i dipinti sui quali soffermarsi lungamente: la versione della Danae del Kunsthistorisches Museum di Vienna del 1554 così provocatoria e orgogliosa e soprattutto Tarquinio e Lucrezia dell’Akademie der bildenden Künste di Vienna. Opera tarda, dipinta fra il 1570 e il 1576, nella quale la violenza diventa movimento, azione con i personaggi che nuotano all’interno di un disfacimento della materia fra colori indistinti ricchi di sfregazzi e velature. Capolavoro della senilità così vivo, vitale, impressionista, crepitante di fantasmagoria, violenza e dolore.

Allestimento con giochi di luce e penombra in un contrasto tra «luce d’accento e ambiente in penombra» organizzato dallo Studio Lisa Marchesi. Bel catalogo, utilissimo per la bibliografia di riferimento. Per cercare questi gustosi libri antichi, se vi interessa acquistarli, andate su www.vialibri.net.

PS: Dopo la recente vile aggressione della Russia di Putin all’Ucraina e le relative sanzioni per cercare di fermarla (compreso l’invio di armi a un paese che vuole combattere l’invasore) l’Ermitage di San Pietroburgo ha chiesto il ritiro dei dipinti prestati all’estero, compresi i due della mostra milanese. A seguito di intense trattative la decisione è stata poi ritirata. Il mondo dell’arte è in subbuglio e spuntano i primi distinguo per sganciarsi dai crimini di guerra che sempre più caratterizzano l’operato dell’armata russa.