Durante l’emergenza sanitaria, il servizio pubblico radio-televisivo ha gremito il palinsesto di appuntamenti destinati a celebrare le bellezze e le (vere, presunte) «eccellenze» del territorio della Svizzera italiana, in un profluvio di programmi dedicati a musei, sentieri, capanne, funghi, grigliate, vini (e ogni altro edibile prodotto), canzoni e tradizioni. Una programmazione lievemente sovrabbondante, dalla quale non è stata esente una certa dose di campanilismo e di retorica ticinocentrica. Come diceva il vate di Sagno, il Ticino è terra dell’iperbole e, complice l’emergenza, l’impressione è che si sia spinto molto, troppo, sul pedale del nombrilisme e dell’autocelebrazione un po’ acritica.
Tutto questo per dire che chiederemmo, e la mitologica concessione radiotelevisiva lo imporrebbe, un interesse accresciuto per tutto quanto fa (in)formazione e coesione nazionali, nello specifico che può aiutarci a conoscere e capire la Svizzera tutta. In questo senso, sarebbe opportuno che si proponessero programmi che parlino del resto dell’Elvezia, e non per rileggerlo in chiave ancora una volta autoreferenziale (come è avvenuto di recente con il pur simpatico miniciclo dedicato alle città) ma proprio per comprenderne specificità culturali, sociali ed economiche. E questo anche per cercare di capire se sia vero che i nostri confederati vengono da Marte e noi da Venere, in questa bella Willensnation, oppure se – come è più che probabile – vi siano rallegranti elementi di fratellanza ideale, e quali, ma soprattutto stimoli che ci permettano di uscire dalla sclerotica insularità che ci affligge.
In questo contesto, l’attenzione a quanto succede al di là delle Alpi potrebbe svolgersi attorno a due direttrici: la prima che consiste nell’intensificare i contatti con le altre unità aziendali per collaborare in modo coerente e istituzionale e per portare al sud anche ciò che queste unità producono, la seconda da affidare a corrispondenti sul posto che abbiano compito e mandato sia di dare conto di quanto avviene sia di indagare con attenzione e con confederale ma critico affetto questi luoghi che alla maggioranza dei telespettatori ticinesi sono ignoti o oggetto di superficiale conoscenza. È incomprensibile, ad esempio, che non vi sia un congruo e attivo presidio giornalistico a Zurigo e nella Svizzera orientale, o che i corrispondenti da Berna si limitino a raccontare le gesta dei nostri politici e delle istituzioni federali, invece di andare sul territorio e di parlare del molto altro che succede in quei posti.
Insomma, un invito a prendere in mano un compito non privo di rallegranti promesse, di belle opportunità, di stimoli giornalistici e di benefici effetti sulla comprensione confederale.