C’è un termine che dall’inizio del nuovo millennio si è fatto prepotentemente strada nei dibattiti scientifici e intellettuali: Antropocene. Si tratta dell’attuale epoca geologica in cui la Terra, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene condizionata in maniera profonda e su scala globale dagli effetti dell’azione umana.
La consapevolezza di essere giunti a una sorta di punto di non ritorno si è tradotta negli ultimi anni in un atteggiamento più rispettoso nei confronti della natura. Temi quali il cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale sono oggi molto sentiti e ci spingono a trovare modelli di comportamento alternativi e più virtuosi. Una nuova coscienza, questa, che si sta manifestando anche nell’arte, poiché l’inquietante scenario di crisi del rapporto tra uomo e ambiente non coinvolge solo la natura stessa ma altresì la possibilità di poterla percepire e rappresentare.
Un prezioso spunto per capire come gli artisti contemporanei interpretino questo complesso legame ci è offerto dalla mostra ospitata negli spazi del Museo Villa dei Cedri a Bellinzona. A essere posto al centro dell’attenzione è il mondo vegetale, attraverso uno stimolante dialogo tra arte e botanica (con un occhio di riguardo per gli erbari antichi e moderni) in cui le ricerche estetiche degli autori chiamati a esporre costituiscono un valido punto di partenza per una rilettura della società odierna connessa alle questioni ambientali.
Oscillando tra interesse scientifico e visioni utopistiche, gli artisti indagano la difficile coabitazione tra natura e società industrializzata, riflettono sulla relazione tra realtà e artificialità, esplorano l’impatto dell’uomo sul clima e sul territorio e i concetti di memoria, di preservazione e di ricostruzione delle forme di vita vegetale.
«Credo che ci stiamo riprendendo da un processo secolare di oggettivazione del regno della natura», ci racconta Alan Butler, artista irlandese, classe 1981, presente con alcuni lavori a Bellinzona. «Ciò è avvenuto attraverso la creazione di immagini che semplificano il vero stato dell’universo. Il modo in cui oggi vediamo il mondo è totalmente connesso ai sistemi tecnologici ed economici emersi dalla rivoluzione industriale. La natura si è evoluta in qualcosa che è una risorsa “per” gli esseri umani ma che rimane separata “dagli” esseri umani. In questo momento siamo all’inizio di una trasformazione radicale di coscienza del nostro ruolo nell’ecosistema planetario: il cambiamento climatico ci sta costringendo a pensare alle nostre azioni in termini di distanze temporali molto lunghe. La via da seguire può essere solo quella di appoggiarci a tale trasformazione e abbracciare i nostri intrecci ecologici con le entità non umane della Terra».
Tra le opere che Butler espone in mostra troviamo la serie dal titolo Virtual Botany Cyanotypes. Per realizzare questi lavori l’artista ha esplorato la natura presente all’interno di videogiochi e ambienti di realtà virtuale, legittimandone l’esistenza tramite le metodologie scientifiche abitualmente riservate alle piante del mondo reale. «Estraggo le immagini di alberi, fiori, foglie, rami ed erbe dal database del gioco e poi le espongo alla luce del sole su una carta fotosensibile che è stata preparata a mano per il processo cianotipico», spiega l’artista. «Questa tecnica fotografica è stata sviluppata per la prima volta nella metà del XIX secolo ed è divenuta molto famosa perché botanici come Anna Atkins l’hanno usata per documentare la vita vegetale. Con queste opere ho catalogato l’evoluzione della rappresentazione della natura nei videogiochi dagli anni Settanta a oggi, creando una sorta di erbario ibrido sospeso tra l’ambiente fisico del nostro pianeta e la sua ricostituzione nell’universo digitale».
Anche per Thomas Flechtner, artista originario di Winterthur e attivo tra Vallière e Zurigo, il recupero della minata armonia tra individuo e ambiente può partire soltanto dalla piena consapevolezza del nostro ruolo all’interno dell’ecosistema del pianeta. Uno dei principali temi che affronta con i suoi lavori è il rapporto tra il desiderio umano di dominare e possedere la natura e la tenace vitalità che caratterizza il regno verde.
Nella serie News, di cui a Bellinzona sono esposte due opere, Flechtner indaga le tracce lasciate dall’uomo sull’ambiente nel corso del tempo, sollevando dubbi e riflessioni sulla supremazia antropica. «Queste fotografie riproducono le pagine di giornali internazionali su cui ho sparso e annaffiato semi provenienti da diversi paesi.Lentamente ma inesorabilmente le notizie sulle riviste si sono sbiadite e sono state invase dalle piante germogliate dai semi stessi. Il microcosmo vegetale che si è sviluppato sulle pagine stampate diventa così metafora del costante riaffermarsi della natura nonostante l’invadenza dell’uomo», racconta Flechtner. Se l’essere umano sta dimostrando di poter modificare i sistemi fondamentali del pianeta e di avere una decisiva influenza sull’ecologia globale, la natura, da parte sua, rivela una grande capacità di difesa e di resistenza. «Penso che sia necessario ritrovare una condotta più attenta e premurosa nei confronti dell’ambiente, cercando di vivere e godere una vita semplice. L’uomo deve incominciare seriamente a meditare sui propri comportamenti e sulla propria supposta superiorità. La natura è molto paziente, forte e perseverante. E ha il respiro più lungo dell’umanità», afferma Flechtner.
Quanto poi la natura per alcuni artisti diventi l’anima stessa dell’opera lo dimostra il lavoro della ticinese Loredana Müller, che, in perfetta simbiosi con l’ambiente, utilizza esclusivamente materie prime ricavate da sostanze minerali e vegetali. Una pratica, questa, che si basa sull’estremo rispetto del mondo naturale e sulla profonda conoscenza dei suoi ritmi. «Alla base del mio lavoro c’è un’identificazione tra uomo e natura», spiega l’artista. «Come direbbe l’ecosofista Arne Naess, bisogna accorgersi che siamo delle “creaturalità” come lo sono i nostri monti, fiumi e laghi. Penso che sia necessario coltivare una forma di intesa con tutto ciò che ci circonda. Nella mia dimensione del fare cerco di recuperare questa armonia, che è voce antica nell’umano. Considero l’alleanza con gli elementi la via maestra. Riecheggiano nella mia mente come un mantra le parole di Marguerite Yourcenar, la quale scriveva che siamo acqua, amica e sorella dell’aria, e una manciata di minerali. Fare arte è per me ascoltare il territorio, riconoscerlo e rispettarlo. È un continuo dialogo con i cicli, gli strati, l’anima della geologia». Raccogliere, essiccare, polverizzare, sciogliere, coagulare… Sono tanti i passaggi che trasformano un fiore, una radice, un picciolo o la scorza di un frutto in elementi con cui dipingere.
È un’attività lenta e quotidiana, dal carattere quasi liturgico, che per l’artista non è finalizzata solo a predisporre ciò con cui dar vita ai propri lavori, ma diventa la loro vera essenza, parte integrante del significato che racchiudono. «Amo le tecniche pittoriche, i ricettari antichi, le conoscenze delle botteghe», rivela la Müller. «Mi sono nutrita di questi materiali tanto quanto della letteratura artistica. Posso pensare a un Cennino Cennini, a un de Chirico, a un Pontormo ma anche a un Philip Ball. Questo modo di operare genera un tempo sospeso dove aloni, odori e possibilità sono sostanza per lo spirito, si uniscono a un ritmo interiore e di prassi costante che alimenta il pensiero come continua oscillazione. La mia pratica mi permette di vivere quella libertà a stretto contatto con la natura che costituisce un percorso infinito di conoscenza».