(Keystone)
Andrea Ursuta (Keystone)
Katharina Fritsch (Keystone)
 

La guerra irrompre nella Biennale

A Venezia fra metamorfosi e conflitto
/ 02.05.2022
di Gianluigi Bellei

«Se voi siete liberi, come potete capire le persone che lottano per la libertà? Come vi immedesimate in chi può solo sognare la pace e portare aiuto?». Così ha parlato Volodymyr Zelensky in un videomessaggio trasmesso alla Scuola Grande della Misericordia di Venezia il 21 aprile durante l’inaugurazione di This is Ukraine: Defending Freedom@Venice 2022 voluta dal PinchukArtCentre e Foundation. Gli fa eco la moglie Olena che presenta un testo intitolato L’arte è un’isola nel Caos. E così la guerra entra prepotentemente nella Biennale di Venezia. Forse con l’opera più struggente: quel mucchio di sacchi di sabbia al centro della nuova Piazza Ucraina ai Giardini. Gli stessi che vediamo proteggere le opere d’arte pubbliche dai bombardamenti dell’orco russo.

Durante l’inaugurazione del Padiglione Ucraina la ministra aggiunta della Cultura ucraina Kateryna Chuyeva ha proiettato le immagini dei monumenti che per ora non si sono salvati: la Biblioteca di Kharkiv, la Chiesa della Natività della Vergine Benedetta, la scultura dedicata al poeta Taras Shevchenko a Borodianka e il teatro di Mariupol. Pavlo Makov di Kharkiv, dopo una rocambolesca fuga dalla bombe, ha portato a Venezia la sua opera intitolata The Fountain of Exhaustion del 1995. Simbolo di un fiume che sfocia in un altro fino a esaurirsi; come la cultura, l’economia e la politica. Durissime le sue parole e quelle del suo staff: «Finché questa guerra sarà in atto l’unico dialogo possibile con i russi è quello al fronte». Dopo che avranno lasciato il paese e verranno puniti per crimini di guerra ne riparleremo…

Una domanda rimbalza fra tutti i presenti: cosa può fare il mondo dell’arte per aiutare i nuovi partigiani ucraini contro l’invasore? Forse solo contribuire a inviare le armi necessarie per difendersi e contrattaccare. Nel frattempo il 18 aprile «Le Monde» ha pubblicato un appello di 80 scrittori e accademici di paesi la cui popolazione è abbastanza favorevole a Putin – fra i quali Tahar Ben Jelloun, Noam Chomsky, Arundhati Roy e Wole Soyinka – che invitano a sostenere la lotta degli ucraini «senza calcoli né riserve». Il resto sono chiacchiere da salotto.

Anche la Biennale, per voce del presidente Roberto Cicutto e della curatrice Cecilia Alemani, «esprime la propria ferma condanna per l’inaccettabile invasione dell’Ucraina da parte del governo russo».

Ma veniamo al Latte dei sogni, così si intitola la Biennale di Cecilia Alemani che si preannuncia parecchio affollata. Per farvi un’idea, nelle scorse edizioni durante le giornate dedicate alla stampa, partecipavano fra le duemila e le tremila persone; in quest’occasione si è parlato di dodicimila e, in effetti, lo si poteva dedurre dalle lunghe file alle varie entrate.

Facciamo una premessa. La Biennale dovrebbe essere la testimonianza fotografata di quello che sta accadendo nel mondo dell’arte. Nuove correnti, nuovi sommovimenti… e in effetti a volte è stato così, pensiamo alle edizioni dedicate all’arte povera o alla transavanguardia, per esempio, che testimoniavano la cultura delle gallerie di riferimento e dei dibattiti culturali. Poi via via i curatori sono diventati maggiormente individualisti e le Biennali esposizioni per rivendicare il proprio punto di vista. Sempre senza dimenticare le grandi gallerie e i collezionisti importanti. Anche in questo caso è così. Rendendo plasticamente evidente lo scollamento fra il momento storico e quello che si vede. D’altronde stiamo parlando di un’esposizione che richiede sforzi mastodontici e la cui organizzazione, dalla genesi al risultato finale, richiede anni. In questo caso uno in più dato che è stata posticipata di dodici mesi per via della pandemia.

Il titolo nasce da un libro di favole di Leonora Carrington (1917-2011) nel quale la vita è il riflesso di un mondo in trasformazione che muta costantemente. La curatrice si interroga su come stia cambiando la definizione di umano. «Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano?». Questi interrogativi si concentrano in tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie e i legami che si intrecciano fra i corpi e la Terra.

Lungo il percorso che va dai Giardini alle Corderie troviamo poi cinque mostre tematiche, dette capsule, con un approccio trans-storico. La culla della strega si occupa di artiste dell’avanguardia storica come Carol Rama e Dorothea Tanning. Corpo in orbita fa intrecciare corpi e linguaggi come la scrittura visiva di Mirella Bentivoglio e Giovanna Sandri. Tecnologia dell’incanto esamina i rapporti fra la Terra e la natura. La quarta capsula è ispirata agli scritti di Ursula K. Le Guin e l’ultima è dedicata alla figura del cyborg con personalità del Bauhaus e del dadaismo.

Per il resto gli oltre 200 artisti si ispirano, come scrive la curatrice, alla «fine dell’antropocentrismo» e a una nuova comunione con il non-umano, l’animale e la Terra.

Vale la pena notare che l’80% degli artisti è donna. Cecilia Alemani sostiene di aver scelto solo le opere migliori senza guardare il genere. Se così fosse vuol dire che i suoi predecessori non hanno seguito lo stesso procedimento meritocratico o la pensavano diversamente. In ogni caso il risultato è un’esposizione monotematica, a volte piacevole altre no, con in prevalenza dipinti e sculture. Pochi i video, le installazioni e i lavori concettuali. Una visuale tradizionale anche se «femminista».

Impressionante la gigantesca scultura di Katharina Fritsch Elefant che riproduce ogni piega del corpo di un animale tassidermizzato; sorprendenti e seducenti le sculture di Andra Ursuţa come Predators ’R Us che rappresenta una donna priva di alcune parti del corpo alla quale al posto dei piedi crescono strane appendici; Cecilia Vicuña dipinge figure fantastiche come Leoparda de Ojitos dove la felina si trova fra due alberi con la pelliccia piena di occhi e i genitali in vista; nelle piccole tele iperrealiste di Chiara Enzo troviamo dettagli di cute, ferite, colli lanuginosi; Paula Rego dipinge scene di vita domestica dominate dai conflitti; Precious Okoyomon realizza topografie scultoree con materiali vegetali vivi, animali compresi.

Leoni d’oro alla carriera sono andati a Katharina Fritsch e Cecilia Vicuña, mentre la giuria internazionale ha conferito il Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale alla Gran Bretagna, per il miglior partecipante a Simone Leigh e il Leone d’argento per il migliore giovane promettente ad Ali Cherri.

Dove e quando

Il latte dei sogni. A cura di Cecilia Alemani. Venezia, Giardini – Arsenale. Fino al 27 novembre. Orario: 10.00-18.00. Lu chiuso.
Catalogo edito da La Biennale di Venezia, euro 90. Guida euro 18. I/E. www.labiennale.org