Bibliografia
Paolo Ruffilli, Le cose del mondo, Milano, Mondadori, 2020.



Corpo a corpo col mondo

L’ultima raccolta dell’italiano Paolo Ruffilli a tratti ha un taglio quasi cinematografico
/ 26.10.2020
di Guido Monti

Paolo Ruffilli con Le cose del mondo ci lascia un’opera rilevantissima, composta come dice l’autore in nota, nell’arco di quarant’anni e che, a ragione, potrebbe essere definita un canzoniere della modernità per le sue varietà contenutistica, complessità linguistica, capacità di saper penetrare i vari piani dell’esistere. I versi del libro difatti si misurano in un corpo a corpo con quella che è la minuta storia e rivelano di essa quei movimenti interni fatti di luci, ombre, inaspettate folgorazioni; la grande storia invece, quella che sembra da sempre muovere e indirizzare il mondo, non ha come d’incanto in queste pagine più cittadinanza.

L’attacco della prima sezione, dal taglio quasi cinematografico intitolata, Nell’atto di partire, è fulminante per forza d’immagini alimentate: un ipotetico viaggiatore su un ipotetico treno, vede sfilare dal finestrino il variegato mondo di fuori cosicché egli riesce, attraverso la suggestione della visione, a immaginare e annotare una realtà molteplice. Vi è nel libro questo continuo misurarsi dell’autore e del suo intelletto con i dati d’esistenza sempre mutevoli che paiono da dietro il vetro in corsa, domandandogli audizione, interpretazione: «Dalla discesa della nostra corsa / rallentata, un qualche interno: / il letto sfatto, un bagno e la cucina. / … / Dalla vetrata aperta sul terrazzo / qualcuno che tenta di sottrarsi e / che si stende in fretta sul divano / … / la mano senza presa tra le tende al vento. / ...».

E qui è la forza di Ruffilli, riportare storie dalla pura osservazione dell’attimo, non concedersi mai ad astrazioni, rimanere sempre appeso al filo del vissuto, da quello semmai sempre ripartire, per poter parlare di emozione, miseria, esaltazione, paura, umiltà, eroicità; parole che potrebbero risultare nella loro accezione vuote e astratte, prive di mordente, se non vi fosse questa traboccante esperienza a sorreggerle.

E nell’esperire, provare il mondo, il poeta ci ha dato una prova magistrale, seppur non attraverso il mero e scontato travaso autobiografico; certo la parola dell’autore, tocca le relazioni anche personali con il variegato ventaglio di emozioni a corollario, facendone però dei movimenti dello spirito, degli spartiti lirici che camminano sulla pagina e per questo si staccano dal mero personalismo divenendo specchio per tutti noi: «Come eroe, lo sai, mi sono / defilato: non ho la faccia / per sostenere il ruolo, timido e / impacciato,… / Ma non importa che io sia perfetto / e onnipotente, allora non avrei / davvero niente da suggerirti / e non sarei presente come invece / spero di restare,… / …».

Nel libro corre parallela naturalmente, anche la riflessione irrinunciabile sulla parola, quella che certo ragiona sul mondo, ma anche su sé stessa, sulla sua capacità evocativa, ed ecco allora che l’autore da linguista di rilievo che è, formatosi su Heilmann, Barthes, Chomsky, ci fa intendere che il mondo esiste solo se nominato e quale parola, più di quella poetica, ha questa capacità?: «Fatale è il gelido potere che la parola / ha in sé, più nuda e più crudele / di qualsiasi altra cosa in bene e in male. / …».

Ma occorre sapere evocare e mi viene in mente a proposito di linguisti, il Saussure segreto, quello che parlava degli anagrammi, le parole sotto le parole, e difatti quella di Ruffilli in qualche modo è una parola che dicendo un poco cela e celando un poco svela, che è il proprio della più autentica poesia.

Tutto attraverso la nominazione dall’esistenza informe prende consistenza e nella sezione Le cose del mondo, una serie di manufatti umani, proprio perché nominati e ripescati dall’indistinto, assumono una funzione, rivelando il loro proprio. Ecco allora la capacità identitaria ma anche evocativa di questa parola, che tutto al suo interno è capace di ricomprendere; questo anche nel capitolo Atlante anatomico, dove appunto le parti del corpo vengono come sezionate, pronte ognuna dal particolare della propria funzione a riportarci a un’idea più generale della variegata storia dell’uomo. Prendiamo la «Schiena»: «Portarci su qualcuno di inatteso / scroccone sfruttatore parassita / … / Voltarla per fuggirsene senza respiro / lasciando qualcun altro al suo destino / ... / Metterci in groppa… / un figlio o un nipotino da portare in giro / o l’amante da gettare sopra al letto».

Ma il poeta, per poter dire davvero, deve anche avere talento nel fare assonare le parole; assonanza, massima in questo libro, come capacità più generale della parola di riprendere e rincorrere l’altra sopravanzandola, talvolta inglobandola, aprendone talvolta nuovi orizzonti di significato; la musicalità linguistica nel verso quindi come strumento sapienziale che concorre al discoprimento delle ragioni più nascoste del vivere di ognuno di noi.

Paolo Ruffilli nel suo corpo a corpo, non solo figurato, col mondo, ha dato prova di aver raggiunto con questa raccolta, un esito tra i più alti, un apice artistico.