Che cos’è la felicità?

L’importanza della traduzione letteraria e di come una domanda possa cambiarti la vita. Anche se sbagliata
/ 07.11.2022
di Luca Pascoletti

La prima volta che lessi Figli e amanti di D.H. Lawrence non avevo grandi aspettative. Avevo 17 anni e, dopo una deludente lettura de L’amante di Lady Chatterley, non sapevo cosa dovevo attendermi da un autore talvolta giustamente considerato un minore del primo Novecento inglese.

«Ma può davvero una frase letta in un romanzo cambiarti la vita? A quanto pare sì. Devo ringraziare D.H Lawrence per questo? A quanto pare no. Perché…»

La trama tuttavia era intrigante per uno studente che era affascinato dal decadentismo, dalle vite irrisolte di personaggi adulti incapaci di stare al mondo, forse migliori della società in cui si trovano, ma inabili a starne al gioco: come qualunque adolescente di ogni epoca, insomma.

In questo romanzo, nello specifico, Paul (o meglio, Paolo, come riportato nell’edizione Dall’Oglio che avevo in mano) si ritrova per buona parte della storia a rinunciare a vivere fino in fondo la sua vita e i suoi amori a causa di un rapporto di morbosa dipendenza da una madre troppo egoista e attaccata, con la quale Paolo ha delle lunghe conversazioni degne del lettino di Freud.

Ed è nel bel mezzo di uno di questi dialoghi accesi e densi di significato che Paolo ad un certo punto pronuncia la frase che mi ha cambiato l’esistenza. Quando la madre, con bonaria ironia, gli dice: «Ragazzo mio, non mi pare che con tutta la tua intelligenza e la tua ribellione verso le vecchie cose e l’energia con cui ti costruisci una esistenza, tu sia poi molto felice», Paolo si inalbera e risponde con una serie di domande degne di Seneca: «Che cos’è la felicità? Nulla, per me! Perché debbo essere felice?». Voilà. E quel corsivo! Sembra difficile da credere, ma furono proprio queste domande, annotate nel mio quaderno di allora, a condurmi attaverso un cammino di studi personali e pensieri che dal buddhismo chan allo zen giapponese, e poi allo stoicismo classico mi portarono a essere oggi la persona che sono, nel bene e nel male con i miei pregi e i miei (tanti) difetti.

Una quindicina di anni dopo, sono un libraio alla Feltrinelli di Roma. Un cliente mi chiede dubbioso se valga la pena leggere L’amante di Lady Chatterley e io, con fare sicuro, afferro invece dallo scaffale il libro al suo fianco, l’edizione Garzanti di quel Figli e amanti per me così importante, descrivendone per sommi capi la trama mentre lo apro poco dopo metà libro, cercando quella frase, quelle domande, per leggerle ad alta voce al mio cliente. Figuratevi la mia sorpresa quando trovo il passo in questione e leggo: «E che cos’è la felicità? Non significa niente per me! Come posso, io, essere felice?».

Rimango senza parole. Il significato della frase è totalmente differente da come io lo conoscevo! Balbetto qualche parola poco convincente diretta al cliente che adesso non sa più se leggere questo polpettone del 1913 e chiedo al mio collega del settore internazionale se abbiamo una copia di Sons and Lovers in inglese. Puntualmente Riccardo me la porge con un sorriso. Cerco febbrilmente il dialogo tra Paul (perché adesso è finalmente Paul) e sua madre. Leggo: «What is happiness! It’s nothing to me! How am I to be happy?». Esattamente come si poteva leggere in italiano nella versione Garzanti di Paola Francioli.

Fu allora che ebbi la consapevolezza di aver basato la mia filosofia di vita (la felicità come medium e non come fine dell’esistenza) su di una domanda tradotta erroneamente, trovata per caso in un romanzo che era finito chissà come nella libreria di casa dei miei.

Ecco perché la persona che mi ha cambiato la vita con una semplice domanda non è Paolo, non è neanche D.H. Lawrence, bensì la traduttrice Alessandra Scalero che, con un personalissimo corsivo e un cambio di significato che anticipa concetti che verranno comunque ripresi più avanti nel libro, mi colpì dritto al cuore in quel pomeriggio estivo.

A onor del vero Alessandra Scalero fu un’ottima traduttrice attiva tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. Donna intelligente e colta, scomparsa prematuramente nell’Italia occupata dai nazisti nel ’44, aveva già collaborato alla prestigiosa collana della Medusa, aveva tradotto romanzi e racconti di Virginia Woolf, Alfred Döblin, Karen Blixen e Jacob Wassermann, portando in Italia una sensibilità letteraria internazionale proprio negli anni in cui ce n’era maggiormente bisogno. Una intellettuale sicuramente da riscoprire e ricordare. E questo a prescindere dal fatto che ha cambiato la mia vita.