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Bitcoin e «compagni» di fronte al fisco elvetico, ecco le regole

Criptovalute e tasse, come funziona in Svizzera? Ci risponde Giordano Macchi, direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell’economia del Cantone: «Dal profilo fiscale le criptovalute appartengono di principio alla sostanza privata del contribuente e sono da considerare come delle valute estere. Come tali devono figurare nella dichiarazione d’imposta come elementi della sostanza mobiliare, preferibilmente nella rubrica “Elenco dei titoli e di altri collocamenti di capitali” (eccezione se le compro e vendo per lavoro). Per quanto riguarda le compravendite, normalmente in Svizzera si tratta di utili in capitale esenti da tassazione o di perdite in capitale non deducibili, quando le criptovalute sono detenute nella sostanza privata. Faccio un paio di esempi: alcuni anni fa sono stati comprati 2 Bitcoin a 40’000 franchi l’uno. Se venissero venduti entrambi a 200’000, l’utile di 120’000 franchi sarebbe un utile in capitale esente. Se invece acquisto un Ether a 2500 franchi, e poi lo vendo a 2000, non posso dedurre la perdita di 500 franchi dagli altri redditi».

Le criptovalute aumentano le possibilità di evasione? Come mai?
In Svizzera vige ancora un certo segreto bancario (se ad esempio un residente detiene delle valute digitali in una banca elvetica è tenuto a dichiararle, l’istituto non trasmette automaticamente i dati alle autorità). Inoltre spesso le criptovalute sono conservate al di fuori delle banche, ad esempio tramite app dedicate sui telefoni cellulari. In questi casi, come appare evidente, è difficile per l’autorità fiscale scoprire questi asset. In ogni modo la Svizzera ha aderito al CARF, ossia il Crypto asset reporting framework, che è un’estensione tecnica dello scambio automatico di dati bancari tra i Paesi aderenti (questi ultimi si impegnano insomma a mandare informazioni anche sulle criptovalute). L’entrata in vigore del CARF è prevista per il 2026, con un primo scambio di dati nel 2027. Allora il fisco ticinese potrà ricevere informazioni tramite questo canale. A livello tecnico, disponiamo di interfacce che caricano automaticamente le informazioni ricevute da altri Paesi nel dossier del contribuente.

Sono molte le criptovalute «dichiarate» in Ticino?
Al momento non ci è possibile estrarre dalle banche dati questa informazione. In ogni modo si constata una maggiore presenza di questo tipo di attivi nelle dichiarazioni fiscali. Ci saranno sicuramente anche persone che posseggono monete digitali ma non le dichiarano. Quante non ci è possibile stimarlo, vista la facilità di nasconderle, almeno finché non entra in vigore il CARF.


Criptovalute: attenzione ai malintenzionati

L’avvento delle monete digitali ha reso più facile alcuni tipi di estorsione e truffa, come difendersi? La parola a Paolo Attivissimo
/ 30/06/2025
Romina Borla

Come funzionano i Bitcoin e le altre «monete» digitali, la loro storia, le politiche di alcuni Stati in materia. Questi gli argomenti di un articolo pubblicato su «Azione» qualche settimana fa (Criptovalute alla conquista del mondo, edizione del 16 giugno 2025). Oggi torniamo nel mondo delle valute digitali da una diversa angolazione, affrontando i temi legati alla criminalità e alle tasse grazie all’aiuto di due esperti. Partiamo da Paolo Attivissimo, giornalista informatico ed esperto di sicurezza: «La Svizzera è stata tra i primi Paesi al mondo a introdurre disposizioni legali sulla tecnologia blockchain (agosto 2021) ma è importante sottolineare che queste “servono” a chi intende operare nella legalità e quindi vuole essere sicuro di camminare nella giusta direzione. Ci sono ovviamente persone a cui le regole non interessano, che possono eludere le leggi e anche ingannare tanti ingenui cittadini e cittadine…».

Ma facciamo un passo indietro. Le criptovalute non sono tutte uguali (come del resto non lo sono le monete tradizionali quali dollari Usa, lire libanesi, euro, rupie indonesiane ecc.), evidenzia il nostro interlocutore. Non tutte hanno lo stesso valore e la stessa solidità. «È importante riconoscere la differenza: i soldi del Monopoli sono diversi dai franchi svizzeri. Scegliete bene, insomma…». Alcune «monete» digitali sono molto volatili – come i Bitcoin – mentre le stablecoin (ancorate a un certo valore patrimoniale) conoscono una discreta stabilità. Le prime sono attualmente usate soprattutto come riserva di valore e strumento speculativo, più che come effettivo sistema di pagamento.

Continua Attivissimo: «Con banconote e strumenti di pagamento tradizionali abbiamo una dimestichezza istintiva, li conosciamo bene. Sappiamo che esiste un sistema complicato che garantisce la loro autenticità e il loro valore. Sappiamo che quando inoltriamo un bonifico entra in gioco una banca (garante), sorvegliata da autorità come la Finma (Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari). Esiste insomma un’infrastruttura consolidata che funziona, anche se non è perfetta. Per contro le criptovalute sono ancora poco conosciute e soprattutto si tratta di soldi immateriali, di oggetti impalpabili che come tali si prestano a certi inganni e truffe».

In particolare all’intervistato capita spesso di essere contattato da persone disperate, «gabbate» da pubblicità di investimenti in criptovalute, pubblicate su Facebook o altri social: «Affidami 200 franchi e ne guadagnerai 400 in un mese, portamene 400 e diventeranno 800 e così via…». Attirati da quella che sembra un’interfaccia di tipo bancario (un’app, un estratto conto ecc.), ci cascano in pieno. I numeri compaiono sullo schermo grazie a un trucco informatico ma i soldi non ci sono. L’unico denaro reale è quello che «si regala» ai truffatori che poi scappano col malloppo. «Non fidatevi delle offerte troppo belle per essere vere trovate magari su Pc o telefonino», consiglia l’esperto. «Non lasciatevi sedurre dal miraggio di profitti facili. Verificate sempre l’affidabilità di chi propone acquisti/scambi. Meglio trovare un’istituzione di riferimento solida e reale che garantisca le transazioni, magari risparmiando sulle commissioni perché le criptovalute implicano meno intermediari».

E qui si arriva a una sorta di contraddizione: ad esempio Bitcoin, in origine, aveva l’ambizione di diventare un mezzo di pagamento senza intermediari (abbattendo non pochi costi e sganciandosi dalle banche e dalla politica che spesso fanno i loro interessi e non il bene della società) ma Attivissimo suggerisce in un certo senso il contrario per tentare di evitare esperienze sgradevoli: «Tornando a un sistema più tradizionale – che non è senza pecche intendiamoci! – si hanno delle garanzie, soprattutto in caso di problemi si dispone di canali legali per far valere i propri diritti».

Ora torniamo ai criminali. L’avvento delle criptovalute ha reso più facile mettere in pratica anche alcuni tipi di estorsione. Il nostro interlocutore ci parla, ad esempio, di attacchi informatici a piccole e grandi aziende. «Il malintenzionato blocca il tuo sistema di contabilità e ti ricatta: se vuoi che funzioni dammi soldi… Oggi questi pagamenti avvengono quasi sempre in criptovalute perché queste sono difficili da tracciare (il contante rimane comunque meno tracciabile in assoluto). Certo, la tecnologia blockchain – alla base delle valute digitali – fa in modo che tutte le transazioni siano pubbliche (è come se ogni banca del mondo rendesse noto un registro con chi ha pagato, cosa, a chi e quando). Il problema è che nel registro non ci sono i dati di chi ha effettuato l’operazione e di chi la riceve, si trova piuttosto l’indicazione dei wallet, ovvero dei portafogli (dal portafoglio A sono usciti dei soldi e sono finiti nel portafoglio B). A chi appartengono i portafogli? È complicatissimo scoprirlo. Ed esistono dei sistemi chiamati mixer che permettono di confondere le acque… Insomma, senza un’indagine complessa e molto approfondita i soldi persi sono praticamente impossibili da recuperare. Magari verranno messi in qualche banca compiacente in un Paese in cui vigono delle regolamentazioni blande in materia...».

Se però il criminale non usa la testa è più facile «pizzicarlo» (questo anche se ruba dei soldi materiali in una banca). L’intervistato ricorda un caso che ha seguito tempo fa: una banda di truffatori era riuscita a trafugare un milione di dollari in Bitcoin. Si è tradita perché si è data alla «bella vita» e ai «festini», invitando modelle, regalando gadget, spendendo e spandendo. Ha così attirato l’attenzione dei malavitosi, vogliosi di ricavarci a loro volta qualcosa, e degli inquirenti. Indovinate come si è conclusa la vicenda? Ma c’è chi è più furbo e, dopo aver intascato illegalmente criptovalute, le ripulisce con una certa facilità. «Un esempio tipico sono i casinò – spiega Attivissimo – i quali possono diventare punti di riciclaggio del denaro rubato o delle criptovalute. Arrivi alla cassa col tuo wallet in Bitcoin, nessuno fa domande, compri fiches: se perdi poco male, mentre se vinci o pareggi porti a casa dei soldi perfettamente puliti».

Infine due parole sulla sostenibilità. «L’apparecchiatura necessaria per generare una quantità significativa di criptovalute costa decine di migliaia di franchi: stiamo parlando di super computer», afferma l’intervistato. «Una macchina di base consuma energia come tre forni domestici accesi tutto il giorno; c’è chi la tiene in casa e la usa come riscaldamento… I calcoli molto complessi che bisogna risolvere per generare criptovalute (mining) portano ad un dispendio energetico molto elevato, con un impatto ambientale notevole. In gran parte dei casi, poi, è più il consumo di corrente del denaro che metti in tasca».