Se il fucile è donna

Madri di famiglia, venditrici di armi da fuoco e accessori specializzati, istruttrici: le donne americane che possiedono una o più pistole e che considerano il porto d’armi come il segno di emancipazione femminile, sono sempre più numerose
/ 31.10.2016
di Xavier Filliez. Foto di Didier Ruef

I jet privati attraversano il cielo sopra Scottsdale, periferia per ricchi di Phoenix, Stati Uniti, dove si trova un complesso residenziale blindato. Al suo interno Carrie Lightfoot possiede una casa con piscina XXL. Carrie sceglie l’arma da fuoco della giornata come se scegliesse i calzini da una scatola chiusa a chiave nascosta sotto il letto matrimoniale. Sei pistole semiautomatiche e un revolver attaccato al materasso sono il suo arsenale. Non mancano fucili d’assalto AK-47 e fucili da caccia.

Sembra un’immagine da vecchio Far West, in realtà si tratta dell’America di oggi, dove criminalità e terrorismo tengono alta la paura. E dove sono sempre più numerose le donne che comperano armi da fuoco e girano con la pistola, anche perché così consente la legge dell’Arizona fedele al Secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America (si legge nel testo: «Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi»). Secondo un’inchiesta della National Shooting Sports Foundation il 20 per cento di acquirenti di armi sono donne, che fra il 2010 e il 2013  sono aumentate del 15 per cento. Negli ultimi 15 anni quelle che praticano il tiro al bersaglio sono passate da 1,8 milioni a 3,3 milioni (+85 per cento). Lo fanno, dicono, per garantire la propria sicurezza personale.

Carri Lightfoot si è resa conto di questa tendenza e nel 2012 ha fondato The Well Armed Woman: nato come sito web, il portale è diventato un’organizzazione mondiale con 7500 membri attivi che offre alle donne programmi di formazione e istruzione all’uso delle armi. «Non c’erano luoghi, comunità, testimonianze di donne per le donne in questo mondo dominato totalmente dagli uomini. La donna continua ad essere considerata soltanto come puro oggetto sessuale. Dovevamo porre rimedio a questa situazione. Le donne hanno altri bisogni, perché non siamo uomini e quindi siamo diverse. Le nostre vite sono diverse», spiega Carri. Quanto racconta potrebbe sembrare una pubblicità per una crema anti-rughe, in realtà svela il lato militante del suo impegno. «Il gentil sesso è sempre stato messo sotto l’ala protettrice maschile. Ora basta, non vogliamo perpetrare all’infinito l’immagine di una donna vittima, debole, emotiva. Con il giusto allenamento la donne possono perfettamente prendersi cura di loro stesse».

The Well Armed Woman è anche un negozio online che vende accessori specializzati che vogliono andare oltre lo stereotipo femminile secondo il quale «il rosa e l’essere magre» appartiene al mondo femminile. Il business di Carri ha realizzato 2 milioni di cifra d’affari nel 2015 vendendo prodotti specifici per donne disegnati da diversi creatori di moda. Gioielli fatti con cartucce, decine di modelli di fondine adattati ai corpi e pensati per il gusto femminile. Un astuccio in vari colori da attaccare al reggiseno per 44.95 dollari è diventato l’articolo più richiesto e ha venduto 10 mila pezzi. Secondo l’NSSF le donne spendono in media 870 dollari all’anno per l’acquisto di pistole o di fucili semi-automatici e 450 dollari per accessori vari. Molte di loro ammettono di avere incominciato perché sentivano il bisogno di sentirsi sicure ma poi lentamente la necessità si è trasformata in passione, del resto confermata dalle cifre: il 42 per cento delle donne possiedono almeno tre armi da fuoco, il 6,5 per cento di loro addirittura dieci.

Educare, informare, far cambiare la mentalità sono fra gli obiettivi di queste donne attive in questo settore di mercato. Alla Fiera delle armi di Phoenix, organizzata da Crossroad of the West, il raduno più importante d’America in cui si incontrano i fan più sfegatati di Donald Trump, misoginia e rozzezza la fanno da padrone. Uno slogan che circolava presso un venditore di armi semi-automatiche diceva: «Mia moglie sì, il mio cane forse, il mio fucile mai», ossia «l’unica cosa che non abbandonerei mai è il mio fucile».

Al raduno le donne raccontano la propria esperienza. Cheryl Todd, moderatrice sulla sessantina, ama sottolineare che è laureata in psicologia per sfatare il mito secondo il quale le donne con le pistole sono virili e senza senso critico. Insieme a suo marito è proprietaria della più grande fra le più piccole armerie di Phoenix, Azfirearms,  ed animatrice il sabato mattina di una trasmissione radiofonica dedicata alle armi (GunFreedomRadio) sulla stazione locale «960 The Patriot»: «La maggior parte di noi donne è arrivata alle armi grazie ai nostri mariti. Un giorno capiterà il contrario», urla dal podio al centro della folla. Cheryl ha una Caltech 42 nella borsa e ha fatto suo il motto che è meglio prevenire che guarire. Lo spiega con una metafora: «È come le cinture di sicurezza. Quando non c’erano, non potevamo fare niente. Ma dal momento che si sa che ci sono, possiamo incolpare solo noi stessi se ci capita un incidente e non eravamo allacciati.

Idem con la pistola». E l’istinto materno? Le responsabilità di una madre? Di una nonna? La realtà degli incidenti domestici che costano la vita ogni anno a 62 bambini di età compresa fra i 14 anni, quattordici volte peggio che in altri paesi? «Non è un paradosso – ci spiega un’intevistata – siamo come mamme orso ancora più determinate e agguerrite quando si tratta di proteggere i nostri bambini. Anche i ragazzi ne hanno paura». Aggiunge un’altra intervistata, Marti Stonecipher, i cui figli Chance di 10 anni e Dakota di 7 – che possiede un fucile rosa per bambini –, sono stati addestrati a sparare dall’età di 4 anni: «È una questione di allenamento, di buon senso, di educazione precoce. Vi incoraggio a iscrivere i vostri figli ai corsi di sensibilizzazione organizzati dalla NRA (National Rifle Association). Così sapranno cosa fare se per caso si imbattono in un’arma».

Per facilitare le donne nell’acquisto di un’arma, le oratrici parlano anche di temi più tecnici come i dati balistici delle diverse munizioni o il tasso di velocità e di penetrazione delle pallottole nei muri. Ad esempio consigliano di usare un fucile da caccia per la difesa non letale della casa o meglio ancora un revolver Taurus apprezzato dai giudici americani, per cui gli è stato dato il nome «The Judge». Le sue cartucce si decompongono dopo l’impatto, così «il rischio di ritrovarvi con un proiettile nella camera di vostro figlio o nella casa del vostro vicino è minore che se usate una pistola semi-automatica classica». Ogni intervento è un po' impregnato di femminismo: «Se non lasciate andare un uomo a comperarvi la vostra biancheria intima, perché dovrebbe essere diverso con la vostra pistola?».

A pochi chilometri di distanza, nel Ben Varey Shooting Range, uno dei più grandi centri di tiro degli Stati Uniti, lavora Melodie A. Coffman, 34 anni, berretto Smith&Wesson sulla testa e cuffie anti-rumore a portata di mano, con esperienza nella marina militare dove ha imparato a conoscere tutte le armi. Melodie ha fondato un programma di istruzione Personal defense, Fitness&Wellness che dirige parallelamente ai suoi studi di diritto per diventare avvocato specializzato nella legge sulle armi. Ogni mese ai suoi corsi si iscrivono almeno una quarantina di donne di tutte le età. «Generalmente le donne lo fanno perché vogliono assumersi la responsabilità della propria difesa personale. A volte si sentono minacciate dai loro ex fidanzati o da qualcuno vicino a loro», spiega Melodie mentre prepara la lezione del giorno. Il corso della giornata è dedicato alla pistola, ma quando può Melodie opta per un AR o un AK 47: «È così divertente!».

Incontriamo anche Robyn Hazlewood e la sua compagna Tori Simpson: «Trent’anni fa, mentre ero al supermercato, qualcuno mi ha puntato una pistola alla tempia. Il trauma non è mai passato. Ora che viviamo in un luogo isolato, voglio potermi difendere dai ladri. Dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza. Ognuno di noi ha le proprie paure…».

Vicky Pratl, la compagna di un impiegato della NRA e allieva di Melodie, ricorda la strage di San Bernardino (California) dello scorso dicembre per giustificare il suo porto d’armi: «Essere lì come un facile bersaglio di un pazzo che apre il fuoco? No way…». Vicky non vuole dare l’impressione di essere una che si lascia influenzare, ma l’altro giorno a Chandler, in un sobborgo di Phoenix davanti a un giovane con felpa e cappuccio che le si avvicinava, Vicky ha detto di sentirsi molto più sicura con la sua pistola.

Le donne presenti al raduno sono d’accordo su un punto: una legislazione più severa sul controllo delle armi come vuole Obama non tiene conto del bene delle persone e non impedirà ai criminali di fare i criminali. Per definizione un criminale infrange la legge. Di fronte a gruppi di donne che chiedono un migliore controllo delle armi negli Stati Uniti come «Mom demand action», le seguaci di cinturone e armi trovano una eco sempre più forte. Secondo un sondaggio di Pew Reserch center, il numero delle donne che difendono il diritto di possedere un’arma è aumentato del 9 per cento fra il 2008 e il 2012, passando dal 30 al 39 per cento. A quelli che considerano il fenomeno come un segnale di regressione sociale, Carrie Lightfoot risponde che al contrario si tratta di emancipazione femminile. «È sorprendente vedere che cosa cambia per una donna essere in grado di usare le armi. Non soltanto allo stand di tiro, ma nella vita di tutti i giorni come difesa personale. Una donna armata affronta la vita diversamente. Ha più fiducia e può guardare gli uomini dritto negli occhi».