Lo sviluppo difficile

«Metamorfosi», ossia le trasformazioni che hanno accompagnato lo sviluppo socioeconomico secolare del Ticino, è l’ultimo libro di Angelo Rossi. Incontro con l’autore
/ 04.01.2021
di Fabio Dozio

«Buongiorno. Vi dico subito che questo non sarà un corso di economia marxista»: con queste parole il professor Angelo Rossi aprì la prima lezione del corso facoltativo di economia, una novità introdotta al Liceo di Lugano di viale Cattaneo. Correva l’anno 1970. Il nugolo di studenti in aula non aveva la barba come il filosofo di Treviri, ma si vede che dalle sembianze si poteva capire come la pensassero. Il professore, che lavorava a Zurigo, scendeva in Ticino una volta alla settimana per tenere il corso di economia classica.

Sono passati cinquant’anni e Angelo Rossi, fresco ottantenne, è sempre sulla breccia. Commenta, su questo giornale, ogni settimana dell’anno, senza perdere un colpo, i fatti dell’economia, con uno sguardo alla politica svizzera e ticinese. Ha insegnato, fra l’altro, al Politecnico di Zurigo, all’IDHEAP di Losanna ed è stato il primo direttore della SUPSI in Ticino. E nel 2020, per commemorare le ottanta primavere, ha dato alle stampe Metamorfosi, tre saggi sulle trasformazioni che hanno accompagnato lo sviluppo socioeconomico secolare del Ticino. L’opera analizza tre aspetti: le transizioni demografiche, le modifiche della struttura dell’apparato produttivo e l’accumulazione del sapere e delle competenze.

«Ho fatto 80 anni e da 60 seguo l’economia ticinese. Volevo quindi lavorare a una sintesi dell’evoluzione quantitativa della nostra economia», dice. Un lavoro «immane» lo definisce nell’introduzione Elio Venturelli, ex direttore dell’Ufficio cantonale di statistica. «L’approccio storico è fondamentale per individuare le opportunità che può offrirci il futuro. L’analisi di Angelo Rossi, – scrive Venturelli – rigorosa e sistematica, ci aiuta a prendere coscienza delle ragioni che sono alla base delle trasformazioni che hanno caratterizzato la realtà cantonale e a meglio valutare le strategie per affrontare le sfide che ci aspettano». Metamorfosi, uscito lo scorso mese di giugno, è edito dalla Fondazione Pellegrini Canevascini, che dagli anni Settanta si occupa di storia sociale e del movimento operaio della Svizzera italiana. (https://fpct.ch/)

Rossi conclude questa sua opera recente con tre osservazioni. La responsabilità di tanti ritardi dello sviluppo ticinese è da addebitare ai balivi, che hanno governato le nostre terre per quasi tre secoli. La concessione dell’indipendenza e la capacità di autogovernarsi ha permesso al Cantone di entrare nella modernità: «Per mettere in piedi un Cantone dal niente – scrive – l’aumento del debito pubblico deve essere sembrato un sacrificio accettabile». Infine l’abolizione dei dazi interni e la creazione del mercato nazionale hanno in definitiva avvantaggiato il Cantone durante tutto il Novecento.

«Se dovessi dare un giudizio sul ruolo e le responsabilità della politica e delle sue istituzioni, – ci dice il professore – rispetto al problema dello sviluppo dell’economia e del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, nel lungo intervallo di tempo intercorso tra il 1803 e oggi, direi che la nota più elevata spetta ai politici dell’Ottocento, nonostante la ferocia delle lotte politiche di quel secolo. Ai politici che hanno guidato il Cantone nel periodo delle “rivendicazioni” darei una nota media, mentre a quelli che gli sono succeduti dopo la seconda guerra mondiale accorderei la sufficienza, ma senza nessuna lode speciale. Non è perché i politici contemporanei abbiano fatto meno di quelli di 100 e 200 anni fa. Ma è perché quelli del passato hanno fatto tantissimo disponendo, a differenza di quelli di oggi, di pochissime risorse».

Angelo Rossi mette in luce anche le reticenze passate del Ticino nei confronti delle novità. In merito cita Stefano Franscini, che descriveva con toni sarcastici il fatto che i ticinesi, invece di dotarsi del parafulmine scoperto ormai da tempo, preferivano rifugiarsi in chiesa per proteggersi dalle intemperie.

«Lo sviluppo di un’economia, – ci spiega – posto che esista la domanda necessaria per i prodotti e i servizi che la stessa produce, dipende in misura molto elevata dalla crescita del fattore lavoro e dall’aumento della produttività. L’evoluzione del fattore lavoro e della produttività può essere a sua volta influenzata da diversi altri fenomeni. Di qui l’importanza della demografia nello studio delle possibilità di sviluppo di una determinata economia. Bisogna poi citare l’azione dello Stato. Si pensi, per fare un solo esempio, alla legislazione in materia di durata e protezione del lavoro, ma anche a quella in materia di immigrazione della manodopera. Tuttavia tra i determinanti più importanti dello sviluppo della produttività e del miglioramento qualitativo e quantitativo delle prestazioni di lavoro figura, in modo preminente, anche l’innovazione tecnologica. Dall’avvento della rivoluzione industriale a oggi l’innovazione tecnologica è sempre stata importante anche per lo sviluppo di un’economia dalle dimensioni limitate come può essere quella del nostro Cantone. Non v’è poi alcun dubbio che anche l’evoluzione futura della nostra economia sarà influenzata largamente dall’innovazione tecnologica e quindi dal cambiamento. Poiché innovazione significa cambiamento è normale che contro la stessa si levino le critiche di coloro che si vedono minacciati, in molte maniere diverse, dalle novità. Chiaramente di fronte a queste minacce non vi sono che due modi di reagire: quello dei ticinesi dell’Ottocento che, stando al Franscini, per combattere i fulmini si rifugiavano in chiesa, invece di affidarsi al parafulmine, perché dubitavano dei benefici del progresso scientifico, o quello dei ticinesi di oggi che, mi sembra, siano orientati da almeno tre decenni a colmare il divario che li separava da altri Cantoni in materia di istruzione a livello terziario, riconoscendo dunque che la scienza ha un posto importante nella società».

Rossi ha pubblicato in passato innumerevoli articoli e studi, ma in particolare tre libri con taglio divulgativo e anche più politico, rispetto a Metamorfosi. Si tratta di Un’economia a rimorchio del 1975, Dal Purgatorio al Paradiso del 2005 e di Tessere, una raccolta di saggi sull’economia ticinese, del 2010. In Un’economia a rimorchio, un titolo paradigmatico per il Ticino e un libro che figurò, all’epoca, fra i più venduti nel Cantone, il giovane professore scriveva: «Osserviamo che, per volontà di questa classe, (che domina i ticinesi n.d.r.) l’economia ticinese è un’economia a rimorchio. La si potrebbe definire un’economia del contrabbando, del segreto bancario, dell’evasione fiscale e degli scandali edilizi». E ancora: «In sostanza, i proprietari dei nostri mezzi di produzione non sono i ticinesi, ma persone che abitano e provengono da fuori Cantone. L’economia ticinese è dunque un’economia a rimorchio. Per questo aspetto la nostra situazione è simile a quella di una colonia». Non mancava, in quell’opera, la critica della speculazione fondiaria degli anni Sessanta: «speculazione diventata, in un certo modo, un fatto di costume».

In Dal Purgatorio al Paradiso Angelo Rossi concludeva affermando che l’economia ticinese sarebbe rimasta in Purgatorio. Conferma questo assunto?

«In una classifica, grossolana, degli stadi di sviluppo dell’economia possiamo definire il paradiso i periodi nei quali l’economia cresce a un tasso reale del 4% e più; il purgatorio corrisponde alle condizioni di crescita attuali, con tassi annuali reali tra lo 0.5 e il 2%; l’inferno corrisponde chiaramente a una crescita nulla o negativa. Se dovesse continuare ad esistere la domanda, la crescita della nostra economia nei prossimi trent’anni sarà influenzata , da un lato, dal progredire della produttività e, quindi, in ultima analisi dall’innovazione tecnologica. Dall’altro lato, la crescita economica dipenderà dall’aumento delle ore di lavoro realizzate dall’effettivo delle persone occupate e quindi dall’evoluzione della popolazione attiva e della legislazione che ne regola l’impiego. Già oggi sappiamo che la quota di popolazione attiva nella popolazione totale è in diminuzione. Lo continuerà a essere anche nel futuro per effetto dell’invecchiamento della popolazione e della politica restrittiva in materia di immigrazione della manodopera. L’innovazione tecnologica potrebbe compiere il miracolo di rilanciare la produttività. Per il forte ridimensionamento delle attività del settore finanziario, in Ticino, purtroppo, non sarà così, almeno nei prossimi dieci anni. La nostra economia dovrà quindi rassegnarsi a passare ancora qualche anno nel purgatorio».

Per garantire il welfare e finanziare la socialità, Angelo Rossi ha sempre ritenuto indispensabile un tasso di crescita del 2,5% / 3%. Senza crescita, nessuna riforma?

«Se l’incidenza fiscale resta quella che è oggi, – spiega il professore – per finanziare la politica sociale dei prossimi decenni occorrerà un tasso di crescita del Pil reale di questa portata. Se non dovesse esserci questa crescita, le vie d’uscita possibili sono tre: indebitarsi di più, ridurre le prestazioni sociali o aumentare la quota del finanziamento a carico del beneficiario di queste prestazioni. Siccome né la crescita economica continua, né l’aumento dell’indebitamento pubblico, né la riduzione delle prestazioni dello Stato sociale, né l’aumento dei premi a carico dei beneficiari sono soluzioni che potranno raccogliere una maggioranza di voti, in occasione di possibili votazioni popolari, su iniziative o referendum concernenti la socialità o la protezione dell’ambiente, è certo che in futuro avremo molte consultazioni popolari e molti insuccessi prima che un possibile compromesso possa emergere in favore di una politica sociale finanziabile in una società che invecchia. Il dilemma è che tutti sappiamo che lo Stato sociale va riformato, ma quando si va a votare la somma di coloro che si oppongono alle riforme è, per il momento, sempre superiore al 50%».

Angelo Rossi sottolinea che non ama guardare al passato, il suo sguardo è sempre rivolto al futuro, con un’energia vitale invidiabile. Fra i progetti che ha in mente non c’è solo l’economia, ma anche lo studio del greco moderno. «A ottant’anni è un buon momento per cominciare a studiare le lingue», dice, e mi racconta che intende andare a Corfù, l’isola greca con contaminazioni veneziane, a studiare la lingua. Ma non solo, anche lo spagnolo lo seduce. Ha già seguito un corso a Malaga due anni fa. Un settantottenne a suo agio fra un gruppo di giovanissimi, ai quali il professore avrà sicuramente trasmesso una ventata di energia positiva.