L’argilla opalina, bara ideale?

Scorie radioattive - Nel laboratorio sotterraneo Mont Terri, nel canton Giura, da quasi un quarto di secolo vengono svolti esperimenti per determinare le caratteristiche della roccia che dovrebbe ospitare il combustibile atomico esausto
/ 30.11.2020
di Luca Beti

A St. Ursanne, nel canton Giura, a colpire il visitatore sono la pittoresca città medievale, il placido scorrere del Doubs, ma anche un enorme squarcio nella montagna poco sopra la stazione ferroviaria. È la cava in disuso di una fabbrica di calce, oggi trasformata in uno spazio culturale, illuminato di notte da un faro posto in cima al camino della fornace. L’entrata del laboratorio Mont Terri si trova poco sopra. Le porte di questo mondo sotterraneo ci vengono aperte da Paul Bossart. Dal 2005 è il direttore del progetto di ricerca. Dopo aver percorso in macchina due chilometri della via di fuga della galleria autostradale Transgiurassiana che collega Boncourt e Bienne, parcheggiamo in uno slargo e proseguiamo a piedi. Muniti di casco e giubbotto catarifrangente ci addentriamo nel cuore della montagna, un dedalo di gallerie e nicchie lungo poco più di un chilometro scavato nel corso di quasi un quarto di secolo.

Il laboratorio assomiglia a una sala operatoria: apparecchi di misurazione e cavi ovunque. Ad entrarci nel naso non c’è però il tipico odore di ospedale, bensì quello del cemento di cui sono fatte le volte dei tunnel. «Gli ultimi 600 metri sono stati ultimati l’anno scorso. Serviva spazio per nuovi esperimenti», spiega Bossart che partecipa al progetto dal lontano 1996. «La montagna è il mio elemento. Riesce sempre a sorprendermi».

Paul Bossart non ha studiato, analizzato, testato la montagna, bensì si è occupato di una roccia particolare: l’argilla opalina. Forse sarà lei ad ospitare le scorie radioattive della Svizzera. È questa la proposta della Nagra, la Società cooperativa nazionale per lo smaltimento delle scorie radioattive.

L’argilla opalina è una roccia sedimentaria argillosa che prende il nome dai fossili dell’ammonite Leioceras Opalinum contenuti al suo interno. Durante il Giurassico, più di 175 milioni di anni fa, sul fondo di un mare poco profondo si depositò un fango fine, da cui si è formata questa roccia particolare. La si trova in varie zone della Svizzera settentrionale, tra cui sotto il Mont Terri. La galleria A16 ne attraversa uno strato compatto a soli 300 metri dalla superficie terrestre. «Proprio qui abbiamo trovato le condizioni ideali per realizzare un laboratorio», racconta Bossart.

I primi esperimenti scientifici risalgono a 24 anni fa, svolti nei fianchi della via di fuga. Nel corso degli anni, il laboratorio è stato costantemente ampliato per fare spazio ai ricercatori di mezzo mondo. Infatti, quello di Mont Terri è uno dei centri di ricerca più importanti a livello internazionale per quanto riguarda le rocce argillose, progetto gestito dal servizio geologico svizzero swisstopo. Vi partecipano attualmente 22 partner di 9 nazioni, tra cui la Nagra, nonché le agenzie omologhe di Francia, Germania, Spagna, Canada, Gran Bretagna, Giappone e Belgio, ma anche aziende petrolifere come la statunitense Chevron. In quasi 200 esperimenti, oltre 1000 scienziati hanno cercato di determinare le caratteristiche idrologiche, geotermiche e geotecniche della roccia opalina. Di recente, la ricerca si è concentrata anche su altri scopi, per esempio sullo stoccaggio delle emissioni di CO2.

«All’inizio degli anni Novanta, la Nagra credeva che il granito fosse una roccia ospitante ideale», ricorda Bossart. «In quegli anni ho partecipato a progetti di ricerca nella regione del Grimsel, ma anche in Giappone e Svezia». Le nazioni erano alla ricerca di una «bara ideale» per le loro scorie radioattive, ossia di una roccia in grado di trattenere a lungo termine le sostanze radioattive e chimiche velenose, garantendo così una protezione a lungo termine delle persone e dell’ambiente. Dopo vari studi si è scoperto che le rocce argillose presentavano caratteristiche ottimali per la Svizzera.

Nel centro di ricerca di Mont Terri, l’argilla opalina è sottoposta a vari esami. La domanda principale a cui gli studiosi devono rispondere è la seguente: è possibile depositare in modo sicuro le scorie radioattive nella roccia argillosa? Tra i vari test svolti attualmente, uno viene eseguito dal Politecnico federale di Zurigo. «Abbiamo riprodotto in scala uno a cinque un cunicolo per il deposito di scorie radioattive», illustra Martin Ziegler, il responsabile dell’esperimento dell’ETH che incontriamo in una nicchia durante la visita. «L’obiettivo è capire come ci si dovrà comportare durante la realizzazione del deposito se dovessimo incontrare una zona di disturbo, strato in cui l’argilla opalina è instabile. Saremo in grado di stabilizzarla? O dovremo richiudere il cunicolo?».

Nel corso degli anni e degli studi, gli esperti sono giunti alla conclusione che per la Svizzera la roccia argillosa ha caratteristiche ideali per lo stoccaggio di scorie radioattive in strati geologici profondi: ha una bassissima permeabilità all’acqua, una scarsa diffusione molecolare, ossia non trasporta le singole molecole, è in grado di trattenere i radionucleidi, nuclei atomici che emettono radiazione, e sigilla autonomamente fessure o crepe causate durante la realizzazione del deposito o da un terremoto. «L’argilla opalina assorbe l’acqua come una spugna, senza più lasciarla andare. Inoltre agisce come una calamita sugli elementi radioattivi, impedendo loro di raggiungere la biosfera», illustra Bossart.

Il laboratorio è una sorta di labirinto, un groviglio di gallerie tutte uguali per noi. Non così per Paul Bossart. Quasi ad ogni piè sospinto si sofferma a spiegarci a cosa servono le apparecchiature attaccate alla montagna, quasi volessero auscultarne il battito. Davanti a una nicchia ci illustra il prossimo esame geotecnico a cui è stata sottoposta l’argilla. «Qui vogliamo capire come si comporta la roccia se viene a contatto per un lungo periodo con il calore delle barre di combustibile esauste. Abbiamo scavato un cunicolo di 50 metri, dove abbiamo depositato dei fusti riscaldati. L’esperimento durerà dieci anni, fino al 2025». Gli specialisti hanno infatti scoperto che la roccia è fragile e si frantuma se viene riscaldata troppo, al di sopra dei 100° C, perdendo così la sua capacità di contenimento. Per evitare che ciò succeda, i fusti contenenti le scorie dovranno essere stoccati molto lontani gli uni dagli altri, una soluzione che farà lievitare i costi di un futuro deposito. La sua dimensione potrebbe essere di 2-3 kmq, pari alla superficie di oltre 300 campi da calcio.

Poco più avanti scopriamo l’esempio in scala uno a uno del progetto della Nagra per lo stoccaggio delle scorie altamente radioattive. È una galleria del diametro di 3,5 metri in cui è stato collocato un fusto vuoto con pareti di 15 centimetri di acciaio inossidabile (in realtà conterrà gli elementi del combustibile nucleare). Il fusto è avvolto da un ampio strato di bentonite, argilla grigio-bianca impiegata per le sue proprietà di contenimento. «Il sistema dovrebbe garantire la sicurezza del deposito di scorie altamente radioattive per un milione di anni», ricorda Bossart. Un milione di anni? Quante vite sono? Quante generazioni sono? Il calcolo ci fa andare in tilt il cervello. Ma siamo sicuri che ciò sia possibile? «Teoricamente potremmo costruire oggi il deposito», ci risponde il nostro cicerone. «Certo, rimarrà sempre un margine di dubbio. Ma a un certo punto si dovrà dire che si è fatto tutto il possibile. Altrimenti il deposito non verrà mai realizzato!». Intanto, la Nagra ha informato all’inizio di novembre che i risultati delle perforazioni svolte negli ultimi 18 mesi nei tre siti previsti sono promettenti. Sia l’area nel Giura orientale, nella regione del Bözberg nel canton Argovia, sia quella denominata «Lägern Nord», a cavallo fra i cantoni di Argovia e Zurigo, che quella di Zurigo Nord-est, nel Weinland zurighese, presentano strati sufficientemente spessi di argilla opalina che ne fanno quindi luoghi adatti per la realizzazione di un deposito di scorie radioattive. Nei prossimi anni, la Nagra continuerà ad effettuare analisi di laboratorio e a saggiare il sottosuolo. Test che entro il 2022 dovrebbero portare a una proposta definitiva del sito adatto da sottoporre al Consiglio federale.

Per fortuna non c’è fretta, perché si sa che non è una buona consigliera. I ricercatori hanno ancora quasi un secolo per dissipare gli ultimi dubbi. Stando a Paul Bossart, il deposito finale in strati geologi profondi per scorie altamente radioattive potrebbe essere pronto idealmente nel 2060. I ricorsi e i processi ne ritarderanno però la realizzazione. La data più realistica è il 2100. Mancano ancora ottant’anni! Prima di allora, ne sarà passata d’acqua sotto i ponti, anche sotto quello di St. Ursanne, che noi ritroviamo all’uscita dal laboratorio Mont Terri. La cittadina è baciata dagli ultimi raggi di sole e le ombre della sera si allungano sulle acque tranquille del Doubs.