A pochi giorni dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) parliamo della violenza di genere online. Un fenomeno in costante espansione dagli effetti devastanti. Lo illustra bene Blacklash: misogyny in the digital age, un documentario canadese girato da Léa Clermont-Dion e Guylaine Maroist che sta facendo il giro del mondo e che racconta senza pietà le storie di chi quel trauma l’ha vissuto sulla propria pelle. A parlare sono l’ex presidente della Camera dei deputati italiana, Laura Boldrini, l’ex deputata democratica statunitense Kiah Morris, l’attrice francese Marion Séclin, la sorella del fondatore di Facebook Donna Zuckerberg, la maestra canadese Laurence Gratton e il padre di Rehtaeh, una ragazza che si è suicidata nel 2013.
Si racconta di minacce, denigrazioni pubbliche, persecuzioni, linciaggi sui social che portano le vittime a cambiare abitudini, ad avere paura di uscire di casa, fino appunto alla scelta di porre fine alla propria vita perché non riescono ad andare avanti. Il documentario dà voce a chi ha subito la cyber-misoginia, specificando che le vittime sono soprattutto ragazze e donne che osano prendere parola, esponendo pubblicamente le loro idee nei contesti più vari.
La prima a raccontarne i terribili risvolti è Boldrini, resa bersaglio politico in chiave sessista da Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle, quando sulla sua pagina Facebook seguita da milioni di persone postò la foto di un uomo in auto con una caricatura della presidente mentre si chiedeva: «Cosa faresti se fossi in macchina con la Boldrini?». Un post commentato con migliaia di minacce di stupro, morte e violenza. Non molto tempo dopo il leghista Matteo Salvini, oggi ministro del Governo Meloni, si presentò su un palco con una bambola gonfiabile chiamandola «la sosia della Boldrini». Esposizioni alla violenza pubblica che diedero il via a un’ondata di attacchi culminati nella busta con un proiettile recapitata per posta a casa di Laura Boldrini e nel commento sui social di Matteo Camiciottoli, sindaco di Pontinvrea, che consigliava di mandare degli stupratori da lei, «magari le mettono il sorriso».
Situazioni da incubo che hanno assillato anche Laurence Gratton, un’insegnante delle elementari perseguitata mentre era all’università da uno studente che, sotto mentite spoglie, durante le lezioni la intimava di stare zitta con messaggini su Fb. Un ragazzo che quando è stato scoperto e denunciato alla rettrice ha messo le sue foto su siti porno esponendola ad altri uomini, minacciandola di stupro e morte, rivelando di sapere il suo indirizzo di casa. Una storia simile a quella di Kiah Morris che durante la sua seconda campagna elettorale in Vermont come democratica alla Camera statunitense è stata vittima di una devastante campagna di odio, con molestie e atti persecutori online, che l’ha costretta ad andarsene e abbandonare la carriera politica, dopo che uno dei suoi «odiatori» si era nascosto nella sua cantina mettendo a repentaglio la sicurezza sua e della sua famiglia, distrutta dalle minacce continue. Tra tutte però è Marion Seclin, un’attrice parigina che ha deciso di fare del femminismo la sua battaglia sui social, a detenere il record dell’odio sul web con oltre 40mila aggressioni di ogni tipo. «È devastante leggere ogni giorno commenti con ingiurie, insulti e minacce», dice, confessando di aver iniziato a pensare al suicidio.
Per Laurence Rosier, linguista alla Free University of Brussel, più le donne parlano di diritti e rievocano il femminismo, più gli uomini decidono di insultarle: un «vizietto» cominciato già nell’antichità e che è esploso con le suffragette molestate pesantemente per strada durante le manifestazioni e insultate sulla carta stampata. Un fenomeno globale che per Donna Zuckeberg, esperta di violenza di genere nei social, colpisce soprattutto le donne di potere che vengono umiliate online anche attraverso figure che hanno il loro volto mentre vengono oltraggiate in ogni modo. Ma tutte ne possono cadere vittima.
La violenza fisica e online ha portato la giovanissima Rehtach a suicidarsi, come racconta suo padre: «Mia figlia era andata a un pigiama party dove c’erano anche dei ragazzi che l’hanno fatta bere. Quando si è svegliata il mattino dopo era mezza nuda, si sentiva strana e non sapeva cosa le fosse successo. Ma quando è andata a scuola tutti parlavano di lei perché i ragazzi della sera prima avevano mandato in Rete le foto mentre la stupravano e le mettevano la testa fuori dalla finestra perché stava vomitando». Rehtach ha appreso così di essere stata violentata e, invece di essere soccorsa per quello che le era successo, è stata oggetto di una vittimizzazione secondaria con un accanimento tribale da parte dei suoi compagni che sui social scrivevano: «Le putt*** non sono benvenute a scuola». Un martirio che è durato fino al giorno in cui i suoi genitori l’hanno trovata impiccata nella sua stanza.