Autogol per la Rai

In Italia Fabio Fazio lascia l’emittente per Discovery
/ 22.05.2023
di Alfio Caruso

Nel 1979 la Democrazia cristiana, allora perno del potere politico, e il Partito socialista decisero di allargare ai comunisti, in grande crescita elettorale, la gestione della Rai. Nacque così la terza rete e con essa i nuovi criteri della lottizzazione: ogni 5 assunti 2 dovevano essere della DC, uno del PSI, uno del PCI e uno bravo. Negli ultimi 20 anni questa suddivisione è entrata in crisi: hanno continuato a trovare posto i giornalisti d’area, se non con la tessera d’appartenenza, si sono perse le tracce di quelli bravi, soprattutto fra chi ha meno di 50 anni. Per esempio, il movimento Cinque Stelle, sorpreso nel 2018 dallo straripante successo e privo di classe dirigente e di apparati, s’accontentò di raccattare in Rai chiunque si offrisse. E non furono i migliori.

La Rai continua a rappresentare il bottino più agognato di ogni tornata elettorale: non c’è forza politica che non ambisca a impossessarsene, eppure la sua incidenza in termine di voti è leggermente superiore allo zero. Quando la Rai non esisteva, la DC viaggiava tra il 42 e il 48% dei consensi; dominandola per circa 40 anni si è estinta. Berlusconi, padrone assoluto di Mediaset, allorché vi aggiunse il controllo dei tre canali Rai perse le elezioni del 2006 e fu mandato a casa nel 2011. Il PD, dentro le maggioranze da una decina d’anni, è precipitato nel 2022 al 19%. Dopo 4 anni di assoluta supremazia, il M5S è stato dimezzato: dal 33 al 16%.

È bastata la mancata conferma di Fabio Fazio e della sua trasmissione, Che tempo che fa, per far erompere i consueti, altissimi lai sulla rovina della Rai, sull’ingordigia della Destra vincitrice, che non ha annunciato alcuna palingenesi dell’emittente nazionale, bensì la semplice voglia di sostituire gli altri con i propri. Insomma, occupazione bell’e buona di una roccaforte fin qui ritenuta avversa, alla faccia di ogni ipocrito progetto riformista. L’opposizione, i cui dirigenti ancora in carica alla Rai niente hanno fatto nel trattenere Fazio, ha comunque avuto la scusa per accusare il Governo Meloni, e soprattutto Fratelli d’Italia, di coltivare insani rigurgiti fascisti. Di conseguenza il perbene e moderato Fazio è stato trasformato nel santino dei perseguitati. Dimenticando che l’esistenza della Rai è lastricata di vittime illustri. Biagi, uno dei più famosi e apprezzati giornalisti del secolo scorso, perse dopo appena un anno la direzione del Tg1 nel disinteresse generale. Nessuno ebbe da ridire allorché il sulfureo Umberto Eco, celebre autore de Il nome della rosa, lasciò il suo posto da dirigente. A metà degli anni Settanta il più famoso conduttore televisivo, Mike Bongiorno, fu messo nelle condizioni di doversene andare con malcelata soddisfazione di colleghi e di politici. Bongiorno fece la fortuna prima di Telemontecarlo, l’attuale La7, poi delle reti berlusconiane.

Il trasferimento a Discovery è un affare per Fazio, guadagnerà il doppio (2,5 milioni l’anno), e un clamoroso autogol per la Rai: per la rinomanza internazionale della trasmissione; per i proventi pubblicitari, che garantiva; per evitare a questa Destra la fama di non fare prigionieri; per l’estrema difficoltà di trovare un sostituto dovendo il prescelto misurarsi con un’audience prevenuta nei suoi confronti. Purtroppo per essa, una Rai già abbastanza screditata è diventata lo strumento di parecchie rivalse. Ci sono gli sconfitti della Storia, per i quali non esiste differenza tra i patrioti che morirono nel combattere i nazisti e quanti invece servirono il Terzo Reich fino all’ultimo giorno. Ci sono i presunti intellettuali persuasi che a causa delle proprie idee non hanno ricevuto l’ossequio del piccolo schermo. Ci sono gli autori di libri, dei quali sono state vendute meno di cento copie, che ne fanno colpa ai mancati inviti in trasmissione. Ci sono i politici alla Salvini che, anziché ricevere il preteso servo encomio, hanno ricevuto ironie, battutacce, punzecchiature e se le sono legate al dito. E poi ci sono i tantissimi, che ancora non hanno fatto carriera in Rai, riscopertisi tutti fratelli italiani e scatenati nel pretendere una poltrona, una sedia, uno strapuntino, financo uno sgabello in condivisione. Sono i cultori della colleganza intesa quale odio vigilante; sostengono di voler vendicare l’emarginazione subita dai soliti noti nonché raccomandati di ferro. Così si perpetua la leggenda di una Destra ignorante e arrembante, priva d’intelligenza e di visione. La colpa principale è degli stessi moderati talmente autolesionisti d’aver cancellato Cavour, il papà dell’Italia moderna, e De Gasperi, il più grande statista della Repubblica, l’autore della straordinaria ricostruzione del dopoguerra. E se vogliamo attenerci a personaggi meno ingombranti, ecco Pirandello, D’Annunzio, Ferrari, Fellini. Insomma, non c’è bisogno di scegliersi Gaspari quale riferimento e ispirazione.

Benché avesse saggiamente optato per un blando passaggio di consegne con la precedente gestione, Giorgia Meloni dà l’impressione di esser stata travolta dall’onda soverchiatrice dei suoi. Lei è convinta, forse non a torto, di vincere anche le prossime elezioni, di poter durare più di una legislatura, ma chi le sta intorno si comporta come se il futuro avesse il respiro cortissimo: guai, quindi, a lasciarsi scappare l’occasione nel timore che non si presenterà più. Al Governo ne verranno soltanto grattacapi, rotture e maldicenze. Alle altre emittenti una manciata di spettatori in più: signora mia – avrebbe fatto dire a uno dei suoi personaggi il soave Alberto Arbasino, altro strepitoso talento sempre ignorato – faccia attenzione, a guardare questa Rai si rischia di finire in minoranza.