Svelami il tuo hobby e ti dirò chi sei

by Claudia
1 Novembre 2021

Tra il ludico e il dilettevole - Percorrere la linea sottile che unisce vita privata, svaghi, e professione può rivelare molto di noi

Nella società moderna, i passatempi sono fra i principali vettori attraverso cui, con un certo candore, diciamo al mondo chi siamo e cosa ci piace. Individuali e solitari, oppure collettivi e socievoli, gli hobby sono componenti formative della nostra identità. In modo molto semplice e diretto, lo metteva in luce un’esposizione di qualche anno fa al Fotomuseum di Winterthur: The Hobbyist, l’eloquente titolo dell’intrigante mostra fotografica. L’intento era di farci reagire agli hobby degli altri (che magari sono anche i nostri) immortalati da fotografi e artisti anche molto rinomati come Diane Arbus e Robert Frank, per citarne due.
Grazie a immagini molto suggestive, l’esposizione di Winterthur permetteva di entrare, per il tempo di uno scatto, nelle vite di altre persone, di scoprire i passatempi più triti così come quelli più bizzarri, pittoreschi o assurdi, sfidandoci comunque sempre a cogliere il rapporto indissolubile fra hobby e identità, e lasciandoci spesso intravedere la linea sottile fra vita privata, hobby, e professione.
Del resto, i nostri passatempi figuravano in prima linea già ai tempi delle medie quando, il primo giorno di scuola, un po’ a fatica ci si prestava al rituale della presentazione di sé, e a turno i compagni si alzavano, vagamente rintronati, i capelli arruffati e i vestiti un po’ in disordine per recitare il breve monologo.
La struttura era quella, riconoscibile, rassicurante, finalizzata a un unico scopo: raccontarsi in una manciata di secondi. Dicendo ciò che conta, distillando la propria identità senza una parola di troppo, per non sgarrare, altrimenti c’era il rischio di perdersi o, peggio, di ritrovarsi senza parole; addirittura derisi, o pietrificanti, con la gola riarsa e il respiro strozzato.
Quando finalmente arrivava il nostro turno, meccanicamente ci alzavamo, come automi che rispondono a un comando a distanza. In piedi, gli occhi puntati su di noi, non trovavamo nulla di meglio che abbozzare un sorriso imbarazzato e nervoso: «mi chiamo Giacomino, ho due fratelli, abito a Bellinzona e la mia materia preferita è ginnastica». E poi, con il piglio serio che avevamo mantenuto sin lì, aggiungevamo: «i miei hobby sono calcio e pesca». Superata la prova, stremati ci abbandonavamo sulla sedia, tornando a respirare regolarmente, mentre il compagno lì accanto incespicava su una consonante, e tutta la classe si metteva a ridere. Per fortuna che non è successo a noi, pensavamo rinfrancati.
Abbiamo vissuto tutti, credo, il rituale del «mi presento». Non avvezzi a parlare in pubblico, non trovavamo nulla di meglio che aggrapparci a quella semplice sequenza di informazioni. Nome, fratelli o sorelle, materia preferita, hobby. Grossomodo la struttura era quella: con alcune variazioni possibili, ma neanche tante. Certo è che, oggi come ieri, il termine hobby può rinviare ad attività anche molte diverse. Gli sport individuali o di squadra, la lettura, le serie TV, la collezione di francobolli, il culturismo, lo shopping, il birdwatching, il modellismo, le passeggiate in montagna, e molto altro ancora.
Al di là delle differenze, gli hobby esprimono in modo autentico, ancora di più rispetto a quanto faccia una professione, l’unicità delle persone. La definizione di un hobby passa, del resto, da una distinzione più o meno netta rispetto al termine professione. Là dove il passatempo è legato allo svago, al tempo libero, e alla spontaneità, l’attività remunerata è vincolata a un tempo di lavoro misurato, a una prestazione da fornire, a delle attese da soddisfare. E dove la professione esprime un senso del dovere e una serietà un po’ ingessata, i passatempi sono più affini alla spensieratezza e al divertimento.
Chi coltiva una passione può anche permettersi di non prendersi troppo seriamente. Come riconosce lo scrittore Haruki Murakami, appassionato di corsa: «chi ha partecipato a una maratona lo sa, in gara vincere o perdere contro un concorrente determinato non importa a nessuno. Ovviamente per un campione professionista sarà uno shock vedersi superare da un rivale, ma chi corre per hobby non vi dà molto peso». Alla sua passione, Murakami ha dedicato un libro dove racconta molto bene il ruolo di valvola di sfogo e la funzione rigeneratrice che l’attività fisica svolge rispetto al lavoro della scrittura.
Le persone tengono ai propri hobby e ne ricavano piacere. Lo scienziato tedesco Charles Proteus Steinmetz affermò, non senza ironia, che era riuscito «a ridurre le ore di lavoro a trenta minuti al giorno, così mi rimangono diciotto ore da dedicare all’ingegneria». Più prosaicamente ma non meno efficacemente, anche lo scrittore Pier Vittorio Tondelli esprime lo stesso concetto quando, di sé e dei suoi colleghi scrittori, ammette: «il nostro atteggiamento generale era di svacco, trasandatezza, noia. Il principio: fare tutto più in fretta possibile per mantenere uno spazio laterale per sé in cui parlare di musica, di libri, di “storie”».
Se c’è un’attività che forse più di altre ha dato l’occasione a sociologi e antropologi di descrivere la creatività, l’intraprendenza e il carattere esplorativo non solo dei grandi artisti o scienziati, ma anche delle persone comuni, questa è certamente il bricolage. L’antropologo Claude Levi-Strauss, per esempio, ha nobilitato il bricolage trasformandolo in metafora per eccellenza della cultura come processo creativo. Altri, come Sigmund Freud, e più recentemente l’autore inglese Geoff Nicholson, hanno invece messo a nudo un lato più oscuro dei passatempi, affermando che accumulare oggetti in modo compulsivo, dedicandovisi con eccessiva dedizione e passione, sia un modo, neanche troppo velato, per soddisfare bisogni legati al sesso.
Certo è che gli hobby non smettono mai di sorprenderci, e si rivelano quanto mai preziosi per cogliere le dinamiche delle nostre azioni e le ragioni più profonde del nostro essere. E chissà che allora, dietro agli hobby, non si celi qualche altra sorprendente verità; come sembra lasciare intendere Aldous Huxley, quando affermava che «non i filosofi, ma coloro che si dedicano agli intagli in legno e alle collezioni di francobolli costituiscono l’ossatura della società».