Immaginiamo il viaggio d’istruzione come il punto più alto dell’intero percorso di studi: si lascia finalmente il chiuso dell’aula, si verifica sul campo quanto appreso, ci si misura con il mondo là fuori e le sue contraddizioni. In pochi altri casi tuttavia i risultati sono più distanti dalle aspettative, tanto che molti lo considerano il passaggio più difficile nel percorso formativo.
Come si arriva a questi risultati? Per cominciare si scontrano due visioni radicalmente contrapposte. Per gli studenti la gita (termine svagato rivelatore delle sotterranee quanto reali intenzioni) è soprattutto un momento di ricreazione con vaghi intenti di socializzazione. Le mete proposte sono già indicative: Barcellona, Amsterdam, Parigi. In questo modo tuttavia il viaggio d’istruzione finisce per assomigliare a qualunque altra esperienza turistica e la visita a un museo non basta per cambiare la situazione. Nel tempo delle compagnie low cost e delle prenotazioni online, chiunque può viaggiare facilmente e a costi contenuti verso le mete più popolari, senza bisogno di passare per la mediazione della scuola.
Quando invece gli insegnanti riescono a difendere il loro ruolo d’indirizzo (quanto meno nelle ore del giorno…), la deriva dei viaggi d’istruzione è meno evidente ma non per questo meno sostanziale. Guide anche preparate riversano sugli studenti una smisurata quantità di informazioni, destinate tuttavia a scivolare via come acqua sulla roccia. Il nostro non è solo il tempo dell’overtourism, è anche la civiltà dell’informazione. E dunque, per fare solo un esempio, le maggiori opere d’arte sono disponibili in rete con una nitidezza di dettagli impensabile dal vivo, in un museo affollato. Il nostro problema insomma non è trovare informazioni, ma capire di quali abbiamo bisogno, e quanto, e quando.
Due fallimenti dunque. Né questo né quello, né adulti né ragazzi. Meglio allora arrendersi all’evidenza e partire spogli alla ricerca di un nuovo modello, senza premesse né punti fermi, accettando di mettere tutto in discussione.
Proviamo a scrivere nuove regole del gioco? Per esempio sospendiamo il pregiudizio dell’età, che porta a proporre viaggi impegnativi solo agli adolescenti. In realtà i bambini sono spesso ottimi viaggiatori – motivati, energici, sensibili, curiosi, disciplinati – laddove gli adolescenti, specie in gruppo, sono di più difficile gestione.
Anche l’idea che i viaggi più interessanti siano quelli verso luoghi lontani potrebbe essere ripensata. Si viaggia per conoscere la propria casa, vi direbbero molti viaggiatori esperti. E quel che per noi è vicino, banale, quotidiano, per chi viene da terre lontane è strano, diverso, esotico. Portando il ragionamento alle sue conseguenze estreme, giocare a fare il turista nella propria città (si parla di staycation) potrebbe essere un’esperienza più formativa del solito viaggio.
Meglio poi adottare un atteggiamento produttivo. Comprendiamo veramente un luogo quando cerchiamo di raccontarlo ad altri, perché in questo sforzo siamo quasi costretti a distinguere cosa è essenziale, nella varietà di esperienze e incontri. In questa prospettiva, proponiamo agli studenti di trasformarsi in reporter per un giorno, chiediamogli di decifrare un luogo secondo le proprie coordinate e motivazioni. Naturalmente bisogna accettare il rischio che il risultato non corrisponda alle nostre aspettative o ai criteri abituali di giudizio. Ma questo accade sempre quando si apre una via nuova.
La scrittura e la fotografia sono gli strumenti principali nella narrazione dei luoghi. E di qui entra in gioco anche un diverso rapporto con la tecnologia. Lo smartphone in viaggio è spesso uno strumento di distrazione per gli studenti. Per cominciare quando siamo nello spazio virtuale dei social è come se fossimo a casa. Inoltre la ricerca di selfie ad effetto per Instagram ci porta nei soliti luoghi da turisti, quelli che chiamiamo con un neologismo Instagrammable. Utilizzare lo smartphone per scrivere e fotografare invece ha il duplice vantaggio di tenerci alla larga dalle tentazioni e mostrare che la scuola non teme la tecnologia, ma la mette al servizio di un percorso di conoscenza.
Ripensare il viaggio di istruzione è una sfida che molti istituti stanno già affrontando, specie dopo la lunga pausa della pandemia. Merita impegno, energia, fiducia; e perché no, ottimismo.