Non mi hanno stupito le parole di Livio Bordoli in una recente intervista rilasciata al portale TIO. L’ex tecnico del Lugano dell’ultima promozione in Super League, ha manifestato tutto il suo disagio nei confronti del ruolo di allenatore. «Non mi manca affatto allenare, oggi sto meglio. Recentemente ho incontrato Vlado Petkovic il quale mi ha detto la stessa cosa». Lo spunto dell’intervista è giunto dal siluramento di Marco Schällibaum dalla panchina del neopromosso Yverdon, nonostante un dignitoso inizio di campionato. «Immaginavo che prima o poi l’avrebbero esonerato. Ormai il calcio è diventato quasi esclusivamente un business e non ci si deve più stupire di nulla».
Il Mister è da sempre colui che paga per le colpe di tutti. Spesso, perché il suo credo calcistico non corrisponde alla filosofia societaria, che impone di acquistare giovani calciatori all’estero, possibilmente a basso costo, valorizzarli, facendoli giocare, in modo da rivenderli a prezzo maggiorato a club più ricchi. L’allenatore, questa filosofia, la può abbracciare, ma in un calcio ideale dovrebbe dare seguito soprattutto alla sua filosofia, alle sue percezioni sulle qualità dei giocatori con cui si trova a lavorare. Il più delle volte la Dirigenza prosegue sulla sua strada. Spesso corroborata dall’atteggiamento distruttivo degli ultrà. Questi si manifestano attraverso i blog. Osservano, valutano, commentano, insultano, minacciano, per fortuna solo rarissimamente passano alle vie di fatto.
Ne sa qualcosa Simone Inzaghi. In due anni sulla panchina dell’Inter ha conquistato due Coppe Italia, due Supercoppe italiane, ed ha portato la squadra alla finale di Champions League, impresa nella quale probabilmente neppure il più sfegatato dei tifosi avrebbe sperato. Ciononostante viene costantemente massacrato da una parte della tifoseria estrema, come se fosse il più impedito degli incapaci. Livio Bordoli parla di «pressione, stress, nervosismo». Si tratta tuttavia di situazioni amplissimamente ricompensate economicamente. Diego Simeone, l’allenatore più pagato in Europa, da tempo sulla panchina dell’Atletico Madrid, guadagna 34 milioni di euro lordi all’anno. Carlo Ancelotti, che guida il Real, squadra madrilena ben più prestigiosa e vincente, ne incassa «solo» 10,9. Come dire che a volte la differenza non la fanno le competenze e i risultati, bensì l’astuzia degli impresari. A lenire lo stress dei Grandi Mister, ci pensa anche la stesura di contratti blindati.
Roberto Mancini, con una gelida mail, aveva rassegnato le dimissioni dalla panchina della Nazionale italiana, dove guadagnava circa 3 milioni annui. Si sono comprese presto le ragioni. Il Mancio è stato assoldato dalla federazione dell’Arabia Saudita per 25 milioni a stagione, con contratto triennale. È come se un onesto e diligente impiegato con un salario di 6000 franchi mensili ricevesse un’offerta da 49’800 franchi. Ci sarebbe di che inebriarsi. Inoltre Mister Mancini, qualora fosse licenziato per scarsità di risultati, potrebbe restarsene spaparanzato su una spiaggia delle sue Marche, cocktail sul tavolino, «Gazzetta dello Sport» fra le mani, magari ostentando un sorriso malizioso alla scoperta che il suo successore sta facendo peggio di lui. Tutto ciò senza perdere un solo euro del salario pattuito.
Capita anche di assistere a un altro paradosso: la rinuncia al licenziamento di un tecnico palesemente in difficoltà, poiché manca la liquidità per continuare a pagarlo e per stipendiare nel contempo il suo sostituito. È il caso di Massimiliano Allegri, reduce da due stagioni negative con la Juventus, ma in possesso di un contratto che lo lega al Club bianconero fino a giugno del 2025. Molti allenatori che si sbracciano e sgolano suoi campi elvetici pagherebbero per poter vivere pressione e stress così lucrativi. Qualcuno, come Vlado Petkovic, Lucien Favre e Urs Fischer, sono riusciti a calcare palcoscenici più prestigiosi. Altri, come l’ottimo Mattia Croci-Torti, probabilmente ci sperano. Per ora, in perfetta sintonia con l’analisi di Livio Bordoli, si limitano a vivere gli aspetti più a rischio del loro delicatissimo ruolo. Chi, in questi ultimi anni, è transitato sulla panchina del Sion, o su quella del Lugano targato Renzetti, potrebbe esserne un testimone più che affidabile.