Le vetrate di Léger a Courfaivre

by Claudia
4 Dicembre 2023

Per contemplare come si deve le vetrate di una chiesa, guardate prima il meteo, ci vuole una giornata senza tanto sole. Alle quattordici e cinquantasei di una giornata bella grigia come oggi, il treno entra nella stazioncina di Courfaivre. Paesino del Giura a pochi chilometri da Delémont, sulla sponda destra della Sorne, il cui toponimo, un tempo, era associato alle biciclette Condor. E infatti, appena sceso dal treno, in faccia alla stazione, lo sguardo agguanta sulle mura della fabbrica in disuso, la scritta rossa della marca di bici rapaci. In vita dal 1896 a fine anni Novanta, la fabbrica di bici Condor, tra l’altro, sarebbe stato un soggetto ideale per un quadro di Léger.

In dieci minuti raggiungo la chiesa dedicata a Saint-Germain d’Auxerre dove si possono ammirare, dal 1954, le vetrate di Fernand Léger (1881-1955). Famoso pittore francese di cui non sono mai stato troppo fan ma che ho capito tardi, di colpo, dal vivo. Autore ad Audincourt, in Francia, non lontano da qui, a una cinquantina di chilometri, nel 1951, di diciassette vetrate per via delle quali è stato chiamato da Jeanne Bueche (1912-2000): architetta di questa chiesa dove entro adesso. Bastano pochi passi, lungo la navata scandita in colonne di beton bocciardato, per capire, con la luce niente male di un cielo nuvoloso chiaro e fermo a metà pomeriggio di fine novembre, che le vetrate di Léger a Courfaivre (473 m) sono abbastanza un capolavoro. Innanzitutto, al pianoterra, scorrono quindici semplici vetrate decorative che lavorano ai fianchi, facendo entrare luce colorata camminando. Mi avvicino e appoggio il palmo della mano sulle lastre di vetro incastonate nel tragitto irregolare del beton colato. Spesse fino a due centimetri e mezzo, la profondità produce un effetto vivificante nel colore, arricchendone la gamma di tonalità, osservabile soprattutto nei pezzi gialli: virano dal giallo pannocchia al giallo canarino. Oltre all’utilizzo di colori primari – verde, rosso, blu – è l’uso abbondante del vetro incolore a contribuire molto a questa luminosità di base. Per rimanere a bocca aperta però bisogna alzare lo sguardo, verso le dieci vetrate figurate rettangolari in cui quasi tutto accade in un medaglione di un metro e sessanta di diametro. Pesco, senza un ordine cronologico, gironzolando, delle chiavi, una mano, due piedi, una mucca, un asinello, un bambingesù, scritte qua e là, un frammento di una corona di spine che sembra quella della statua della libertà.

Il disegno è fitto, forte, attraversato da macchie poderose di colori primari come sempre. Man mano che vago tra i banchi cercando di acchiappare più simboli possibili dei dieci temi, cinque per parte, decisi dal curato dell’epoca e dall’architetta, specializzata in chiese moderne, si rivela tutta la forza innovatrice di Léger. Qui, per la prima volta, il beton colato di questa tecnica brevettata nel 1933 da Auguste Labouret, diventa disegno. In controluce, il beton appare come il nero vigoroso usato in tanti suoi quadri: non più sfondo, giuntura, contorno, ma raffigurazione sacra e fresca come rebus. In alcune parti, dove il disegno si allarga e prende piede, il beton è armato: ci hanno pensato all’atelier Aubert & Pitteloud di Losanna. A lato dei medaglioni, due notevoli vetrate contrappuntistiche, astratte, rafforzano il tutto. Mentre anche all’interno dei medaglioni, le classiche macchie di colore attraversano i disegni con la grazia di un arcobaleno. Veloce vado a dare ancora uno sguardo a inizio navata sud, a fianco dell’organo, la resurrezione stringata è magistrale: due piedi giganti sopra la tomba aperta e una banda verticale di rosso.

Il viaggio termina nel coro, residuo settecentesco della chiesetta ingrandita dove ci sono le ultime due vetrate, ad arco, di Léger: i miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci e della tramutazione dell’acqua in vino. Qui, degni di nota, ci sono pure il tabernacolo in bronzo con angeli spigolosi di Remo Rossi e il super arazzo di Jean Lurçat. Sullo sfondo di vetro incolore, attraversati dalle solite strisce rosse, blu, gialle, verdi e una sfera verde, scaturisce il tratto nero di mani scese dal cielo, filoni di pane, un pesce, tre brocche, grappoli d’uva, e il volto di Gesù con la corona che ora, senza ombra di dubbio, è come quella della statua della libertà di New York.