La sera del 24 dicembre tre poveri cristi soli, al freddo e al buio, si ritrovano casualmente al caldo nella casa di Maria
Quei sette cerini accesi, sul muro basso del vialetto d’entrata a una ventina di centimetri uno dall’altro, disegnano la pista d’atterraggio per la slitta di Babbo Natale o per la discesa dalle stelle di Gesù Bambino. I volteggi nella spiegazione in merito alla consegna volante dei pacchi nel quartiere bernese di Bethlehem, dove viveva da bambina, erano diversi ogni anno, ma sempre divertenti, quindi, ancora adesso che è adulta, Maria ripete da sola il rito dell’accensione delle candeline esterne, nella serata della vigilia di Natale. Fissando quei lumicini davanti alla porta d’entrata della sua abitazione ticinese, accarezza il pensiero bambino che, nell’infinito firmamento dell’inspiegabile dove sono ora, i suoi genitori partecipino divertiti alla distribuzione dei regali ai piccoli della terra.
Sono passate le 19.00: le finestre delle case sono accese. Sulla strada cantonale una colonna d’auto avanza lenta davanti alle vetrine illuminate ad intermittenza da insegne e ghirlande fluorescenti. Sam corre in tuta da ginnastica sul marciapiedi. Con le sue lunghe leve si muove a passi pesanti e il respiro a mantice: a settant’anni, incapace di rinunciare alla sua corsetta serale, l’ex giocatore di pallacanestro di due metri fa i conti con le sue ginocchia e con il fiato corto. I lavori in corso lo obbligano ad una deviazione: diminuendo l’andatura prosegue a destra per poi infilarsi in un vicolo, parallelo alla cantonale. Dei lumicini su un muretto attirano la sua attenzione. Rallenta fino quasi a fermarsi perchè una vertigine sconosciuta gli avvolge la nuca, costringendolo ad appoggiarsi con la schiena ad un cancello e a scivolare lentamente a terra. La sua vista è offuscata, ma quelle piccole candele impediscono al buio di avere la meglio.
In seguito solletico… umido sulla guancia. Si riprende.
– Pepe! Vieni qui… Ma guarda che bello!
Quella fila indiana di lucine non si può non vedere dal vicolo. Gianni sorride, dimentico per un attimo del gatto, affidatogli dal figlio durante la sua vacanza ai Caraibi, uscito furtivamente di casa. Anche Maria sorride. Si guardano.
– Un po’ di magia pure per noi adulti. È Natale in fondo… Vieni Pepe!
Pochi metri più avanti, in un lato del vicolo, il gatto sta leccando il viso di un uomo di colore, seduto sull’asfalto.
Maria lo guarda. D’istinto scatta verso l’uomo a terra, con poche domande e gesti decisi verifica la situazione e calma Sam, tornato vigile, sotto lo sguardo sorpreso di Gianni che, prendendo Pepe tra le sue braccia, la incalza:
– Cos’ha? Lei è un medico? Un’infermiera?
– Infermiera.
– È grave?
– No. È solo un po’ disidratato – poi, rivolta a Sam che la guarda serio – Riesce ad alzarsi? Entriamo in casa un momento. È proprio qui, al pianterreno.
Gianni posa il gatto a terra, si abbassa e con lei solleva l’uomo.
– Non c’è 12 qui! Io letto tante volte: numeri fino 10.
Per parlare con Vincenzo, Kamran tiene il telefono tra la spalla e l’orecchio. Con le due mani regge un cestone, l’ultima consegna a domicilio della vigilia che spera gli frutti una buona mancia.
– Ma la via è giusta? Sei in Via Stretta?
Il lampione illumina il cartello sul muro con il nome della via.
– Sì … Vi… colo stretto… ah… Vicolo è via? Uguale?
Vincenzo non fa in tempo a rispondere che Kamran sospira:
– E no! Diverso! Maestra d’italiano dice sempre a me… leggi fino in fondo… guarda desinenza… maschile e femminile… parola diversa… Ma dov’è Via Stretta? Io non ho trovato con mio telefono.
– Ci penso io. – la voce di Vincenzo è rassicurante – Vai a casa adesso, è tardi.
– E questo? Dove porto?
– Tienilo tu. È un regalo. Buon Natale!
Kamran guarda felice cosa c’è sotto la pellicola trasparente: riso, marmellata, paté di olive, tre salametti di cervo, sciroppo di sambuco, una scatola di tè alle erbe delle Alpi, caffè macinato, una bottiglia di vino frizzante, un panettone e due piccole forme di formaggio. Ce n’è per cena e anche di più!
Camminando nel vicolo, vede una fila di candele e tre figure che si muovono ingobbite. Il ragazzo si avvicina e posa il cestone accanto al vialetto illuminato.
– Aiuto io… signore è alto. Dove porto?
– Di qua.
Maria indica l’entrata di casa sua in fondo al vialetto e, svelta, precede i tre uomini aprendo loro la porta. Sam, gigante nero, ingiallito dalla luce timida delle candele, avanza lentamente appoggiandosi con le sue lunghe braccia sulle spalle di Gianni e di Kamran. Pepe rimane fermo annusando curioso il contenuto del cestone.
Arrivati in casa, Sam si lascia cadere sul divano del salotto di Maria, davanti al camino acceso. Mentre la donna versa dell’acqua in un bicchiere, Gianni si gira cercando Pepe.
– Prendo io gatto. C’è anche cestone fuori.
Con le gambe più veloci delle parole, Kamran esce dall’appartamento per rientrare subito dopo con il cestone fra le mani e il gatto al seguito.
– Ecco qui…caldo…– fissa il camino mentre appoggia il cestone sul tavolo. Pepe si muove tranquillo sul tappeto davanti al fuoco.
Sam si guarda intorno, non conosce l’ambiente e nemmeno le persone.
– Si è sentito male nel vicolo. Siamo in casa della signora… è infermiera. – Gianni guarda Maria e poi, indicando Kamran – Il ragazzo ci ha aiutato.
Il «grrrazie a tutti» di Sam con quella voce nasale e la rrr americana trascinata, accende un ricordo nella mente di Gianni che traduce immediato in parole.
– Ma sei tu: «Il re della lunetta»! Quarant’anni fa ti ho visto giocare a Milano e poi anche qui in Ticino. Eri fortissimo.
Bastano queste poche frasi perché i ricordi di un tempo di gloria si accomodino su quel divano con sorrisi e pacche sulle spalle tra i due uomini. Maria invita Kamran a scaldarsi davanti al fuoco e con lui ascolta i discorsi degli altri due.
– E già …. Basket, famiglia, pubblico… Adesso è finito… sono solo.
– Non sei l’unico. – Gianni scrolla la testa pensando al figlio lontano.
Kamran sorride con i suoi occhi stretti d’Hazara:
– No! Siamo quattro persone… poi c’è casa, fuoco e – indicando il cestone – anche tanto mangiare. Fortuna davvero!
Agganciando Maria con uno sguardo d’intesa, in pochi minuti dispone con lei sul tavolino vicino al divano il salame di cervo a fette, tartine di paté d’olive, pane e formaggio, pezzetti di panettone e una brocca di sciroppo al sambuco. Pepe accetta sornione una scatoletta di tonno. Presentazioni reciproche, sorrisi, un tè caldo alle erbe, poi parole, racconti morsicati in italiano, inglese e persiano, scaldati da nuovi pezzi di legno nel camino, allietano un’insolita vigilia.
– Senza bollicine non è Natale.
Maria inizia il turno in ospedale fra un paio d’ore, ma ha voglia di festa e fa stappare a Sam, che ha ripreso forza e colore, il vino frizzante del cestone.
Gianni fa un brindisi e poi, guardando il piccolo presepe di legno vicino al camino, si accorge che la statuina di Gesù è caduta dalla mangiatoia. La raccoglie e la rimette al suo posto.
– Oh! Povero Cristo e, fatemelo dire – sorridendo guarda Kamran e Sam – …anche noi prima eravamo tre poveri cristi: soli, al freddo e al buio, alla vigilia di Natale. Invece ora siamo qui, al caldo, a casa di Maria…
– E poveri no… – lo interrompe Kamran – Siamo insieme. Questo è Natale, giusto?
Sono passate le 21.00: i bicchieri sono nel lavandino, le carte nel cestino e le briciole sul davanzale. Maria accompagna i tre ospiti sul vialetto fuori casa. Dopo i saluti e la promessa di rivedersi, li guarda allontanarsi nel vicolo.
Tre uomini in cammino: uno alto, riccio e scuro di pelle che si muove molleggiato, l’altro bassotto, con pochi capelli e il passo anatroccolo, tiene un gatto sotto braccio. Il terzo è giovane, con gli occhi e il pensiero d’oriente, un po’ garzone e un po’ filosofo. Insieme avanzano in questa notte di Natale con i loro tre mantelli d’ombra disegnati sull’asfalto. Guardano seri le stelle nel cielo lontano: forse hanno un compito speciale…
Prima di rientrare in casa, Maria spegne le candeline nel vialetto: il suo regalo è già stato consegnato.
