Il progetto Ciceroni per Urban Art offre alle donne migranti l’opportunità di raccontare sé stesse e la città attraverso l’arte
Cielo grigio. Piove. Chiasso appare immobile, intorpidita. Le strade sono vuote. Saliamo le scale di un edificio consumato dal tempo, al primo piano. Apriamo la porta di un’aula: la luce ci investe all’improvviso. Incrociamo sguardi intensi di tante donne, le partecipanti a un corso di italiano organizzato dal Comune e (alcune di loro) al progetto Ciceroni per Urban Art Chiasso. Sono aperte, pronte a condividere storie difficili, segnate da perdite e fatica. Raccontano però anche la loro forza e la convinzione che, per ritrovare la felicità , spesso basta poco.
La docente chiede: «Se poteste essere un personaggio di fantasia, chi vorreste essere?». Una voce si alza: «Cenerentola, con i piedi piccoli. Non come i miei: la scarpetta di cristallo non mi sarebbe mai entrata, io non trovo mai scarpe decenti…». Sorride Yuliia, 38 anni. Grande energia, allegra e malinconica insieme. Ha lasciato Kharkiv, città martoriata dalla guerra, sei mesi dopo l’invasione russa. «Il 24 febbraio 2022 è un giorno che ha cambiato tutto, e non smette di fare male». In Ucraina, con il figlio di quattro anni, dormiva in cantina – «il posto più sicuro della casa» – mentre il cibo scarseggiava e la paura cresceva. «Non potevo accettare che il mio bambino vivesse quel disastro. Così siamo saliti su un bus…». In Ticino è stata accolta da una famiglia di Meride che le ha dato tanto: vestiti, sostegno, le prime lezioni di italiano. «Non ci conoscevano, eppure ci hanno aperto la porta e il cuore, senza esitazione», ricorda. Oggi vive a Chiasso con la nipote sedicenne, arrivata nell’estate 2024. I suoi parenti sono rimasti in Ucraina: «Non se la sono sentita di abbandonare ciò che avevano costruito in una vita». Un tempo economista e contabile, ora Yuliia sonda possibilità , cerca di costruirsi un futuro. Ma la strada è in salita: «Senza mezzi economici non si vive davvero, si sopravvive». Eppure, in mezzo alle difficoltà , la speranza resiste.
Arriva dall’Ucraina anche Valeria, di Odessa. Porta con sé un’eleganza d’altri tempi e una voce che, se vacilla nel parlare, diventa limpida nel canto. Intona per noi La Traviata, sorride. Ci abbraccia. Prima della guerra è rimasta vedova. Lavorava come agente immobiliare, accudiva la suocera malata e partecipava alla vita di più cori. «Non mi immaginavo lontano», racconta. «Senza amici, senza famiglia». Poi una bomba ha raso al suolo la chiesa di fronte a casa sua. Angoscia, la fuga. È arrivata in Ticino, dove già viveva suo padre. Le figlie hanno preso strade diverse: la maggiore è soldatessa in Israele, la minore è rimasta a Leopoli. Valeria ha conosciuto centri asilanti e appartamenti provvisori, trovando nella musica, nell’arte in generale, consolazione e un modo per imparare la lingua, sentirsi accolta. Oggi vive a Balerna tra «persone gentili», continua a cantare e si illumina quando ci parla dei suoi piccoli viaggi: Lugano, Monza, Porto Ceresio, Muggio. La bellezza nelle piccole cose.
L’essenziale: stare insieme
N., 41 anni, viene invece dalla Turchia. «La mia famiglia era in pericolo. Mio marito ed io siamo rimasti lontani per cinque anni, mentre nostro figlio cresceva nell’incertezza». Finché è arrivata la decisione di fuggire: prima in Grecia poi in Svizzera (lui), il centro rifugiati, fino al ricongiungimento famigliare. «Una volta arrivata in Ticino ho sentito la libertà , dopo anni di paura», dice N. La coppia ha perso tutto: radici, amici, lavoro (lei era una ricercatrice, lui un impiegato). Ma ha ritrovato l’essenziale: stare insieme. Oggi il marito studia informatica, lei prova a reinventarsi, il figlio frequenta la prima media. La loro vita è una sfida quotidiana, affrontata con una determinazione che non viene mai meno.
Mentre Holga, del Mozambico, ha vissuto otto anni a Lisbona prima di arrivare in Ticino. Sposata con un italiano, madre di una bambina di dieci anni, afferma: «Qui ho trovato la pace e la sicurezza che non conoscevo». Laureata in giurisprudenza, dopo un master in Portogallo ha lavorato nell’aiuto umanitario, ma in Svizzera ha dovuto ripartire da zero: imparare l’italiano, formarsi come assistente domiciliare. Ora ha iniziato uno stage in una casa anziani, decisa a costruirsi passo dopo passo una nuova vita.
Queste quattro donne coraggiose hanno, come detto, aderito al progetto Ciceroni per Urban Art Chiasso, ideato e coordinato da Stefania Fink, mediatrice culturale indipendente e storica dell’arte, con il sostegno di Chiasso culture in movimento (ufficio che dal 2001 lavora sui temi legati all’integrazione degli stranieri, ci spiega la responsabile Lucia Ceccato). Un’iniziativa che ha vinto il primo «Bando partecipazione culturale», programma cantonale interdipartimentale nato per ampliare l’accesso alla cultura e favorire il coinvolgimento delle persone con esperienza di migrazione, creando occasioni di partecipazione e scambio.
«Ciceroni per Urban Art Chiasso – spiegano Fink e Ceccato – si propone di coinvolgere un gruppo di donne migranti in un percorso di conoscenza del territorio, in particolare delle opere di arte urbana presenti a Chiasso. Dalla primavera 2026, terminata la formazione, le partecipanti condurranno visite guidate rivolte alla cittadinanza ai siti del percorso di Urban Art Chiasso, un festival di street art organizzato dal Comune di Chiasso dal 2023, che porta murales e installazioni nello spazio urbano. Le visite offriranno uno sguardo plurale e partecipato sullo spazio pubblico, valorizzando l’esperienza personale delle partecipanti e la dimensione di incontro interculturale».
Attraversare confini
L’iniziativa si pone in continuità con esperienze analoghe realizzate in passato dall’Ufficio integrazione del Comune, contribuendo a rilanciare pratiche di mediazione culturale e di coinvolgimento attivo della popolazione che negli ultimi anni – per questioni finanziarie – non era stato possibile proseguire. Tra le opere principali che presenteranno – continua Fink – spiccano Borders del collettivo Truly Design, con il volo di cicogne, i murales di Mona Caron e Sir Taki. Opere che raccontano Chiasso e, insieme, storie di migrazione e resilienza: le cicogne che attraversano confini, la pianta di Mona Caron che cresce lungo i binari e si diffonde ovunque, l’arte di Sir Taki che trasforma quartieri segnati dalla violenza. «Le donne che partecipano hanno voglia di raccontarsi», osserva dal canto suo Ceccato. «Spesso vivono isolate. Molte hanno figli, titoli di studio difficili da riconoscere; faticano a conciliare lavoro e famiglia. Mancano loro patente, reti di sostegno, amici. A questo si aggiungono il peso di quello che si sono lasciate alle spalle, traumi e problemi di salute. Sono donne intelligenti che desiderano riscattarsi e questa è un’occasione».
«Con Ciceroni per Urban Art possiamo condividere le nostre storie», osserva N. Valeria ricorda Odessa, «piena di murales fatti col cuore», e sottolinea come il progetto sia potente, capace di evocare bellezza e immagini che infondono benessere. Per Holga l’arte urbana è «un messaggio rivolto a tutti/e, non solo alle élite», e diventa un modo per occupare la mente. Yuliia conclude: «Riporta l’attenzione al presente: spesso camminiamo per strada distratti dal telefono, eppure i muri raccontano storie che meritano di essere ascoltate».
