Motori: in Europa l’infrastruttura per le auto elettriche è drammaticamente immatura
Che l’auto elettrica non sia per tutti è ormai noto. Non sono chiacchiere da bar. Si dice che l’utilizzatore ideale sia quello che può caricare le batterie nel garage di casa. Ma con il passare degli anni le cose sono un po’ cambiate. Le colonnine sono spuntate un po’ ovunque per le strade e l’autonomia delle auto è aumentata. Nel frattempo, i costruttori automobilistici hanno calcolato che l’utenza media europea percorre meno di 30 Km al giorno. Ed ecco allora che per favorire l’acquisto hanno spiegato che basta fare il pieno di energia una volta alla settimana, e quindi va bene anche una ricarica pubblica. Vero? Sì, ma fino a un certo punto. Bastano pochi giorni al volante di un’auto elettrica per rendersi conto che la situazione dell’infrastruttura è ancora drammaticamente immatura. Da una parte impianti che ti fanno attendere minuti prima di dichiararsi off line, dall’altra ricariche che si interrompono senza motivi, cavi incastrati che non vengono restituiti al proprietario, call center incompetenti, software inaffidabili. E se si gira per l’Europa, tariffe incomprensibili e spesso carissime. Se si è possessori di un mezzo che è in grado di caricare velocemente, bisogna anche trovare una colonnina che sia in grado di farlo. Spesso le potenze erogate sono molto lontane da quelle dichiarate e la ricarica in pochi minuti diventa una chimera.
Dall’immissione sul mercato delle prime auto elettriche sono passati oltre 10 anni, eppure ci si scontra con un contesto di sperimentazione permanente. Vero, il numero di colonnine rispetto al circolante delle auto è confortante. Ma bisogna poi vedere quante sono utilizzabili. Pare che solo una colonnina di ricarica su tre in Europa sia realmente fruibile. Un paradosso che sta costando al settore fino a 46 miliardi di euro di ricavi potenziali da qui al 2030. Migliaia di stazioni risultano tecnicamente operative, visibili sulle mappe eppure rimangono di fatto inaccessibili. L’abbiamo provato di persona: farci guidare dal navigatore per raggiungere una stazione di carica veloce per poi scoprire che in realtà non è mai stata accesa, oppure rendersi conto che carica «veloce» come una presa del nostro appartamento. Decine di applicazioni sul nostro cellulare dedicate alla ricarica spesso accomunate dal fatto di avere interfacce poco intuitive.
La differenza tra quello che si potrebbe fare e quello che realmente è fattibile per gli «automobilisti elettrici» è al centro del nuovo usability index elaborato da Porsche Consulting e &Charge GmbH. Uno studio che misura non solo la disponibilità tecnica ma la reale fruibilità dell’infrastruttura di ricarica. Analizzando oltre 17’000 punti nei cinque principali mercati europei per la mobilità elettrica, che coprono oltre il 60% dei processi di ricarica Fast e ultra Fast, emerge un dato inequivocabile: l’indice di usabilità è del 91%. Non male no? In realtà dietro alle percentuali si nasconde un problema strutturale che rischia di compromettere l’intera transizione elettrica europea. Ciò che conta è la capacità dell’utente di completare senza intoppi l’intera esperienza di ricarica. Più del 90% delle criticità si concentrano nelle fasi iniziali: ricerca della stazione e avvio della sessione. Informazioni errate sulle mappe digitali, accessi bloccati, interfacce poco intuitive o problemi di autenticazione sono gli ostacoli più comuni. Per non parlare di quando si raggiunge una colonnina con la nostra auto full electric e troviamo parcheggiata un’ibrida plug-in che ricarica lenta, anzi lentissima. La colonnina diventa un parcheggio comodo per il proprietario della ibrida. Insomma è necessaria più cooperazione anche tra gli utenti della strada.
Porsche Consulting propone il framework ChargeXcellence che è basato su quattro fasi: prevenire, rilevare, risolvere e sostenere. Si va dalla manutenzione predittiva all’IA per la diagnosi remota fino alla costruzione di reti di servizio integrate. L’obiettivo è passare da una logica di semplice fornitura a una di governance condivisa. Secondo lo studio se un automobilista incontra problemi durante la ricarica nel 44% dei casi non tornerà più in quella stazione. Continuare ad affrontare la questione in termini quantitativi è una comoda scorciatoia che permette di mostrare progressi numerici senza affrontare la sostanza del problema. La filiera sembra ancora frammentata, divisa tra costruttori e operatori che si muovono in parallelo con difficoltà ad incontrarsi. Tesla a parte, che ha una rete di colonnine proprietaria, la distanza tra chi costruisce le auto e chi ne riempie le batterie resta abissale.
