Elaine dell’isola di Tablas

by azione azione
4 Dicembre 2025

Una piccola suora occhialuta dai lineamenti orientali, vestita di bianco, al volante di un pullmino pure bianco, tentò una manovra spericolata per non restare imbottigliata in un vicolo, ostruito da auto in sosta selvaggia. I romani assistevano scettici: donna, suora e straniera, non sarebbe mai riuscita a passare e avrebbe bloccato definitivamente la strada. Alcuni aiutavano, gesticolando. Il pulmino non aveva telecamera o sensori. Lei si sporgeva dal finestrino, valutava a occhio. Ce la fece, suscitando stupore. Non posso sbagliare, scherzò, ho ventiquattro pupille.

Non avevo fatto caso ai passeggeri e non ho capito cosa intendesse. Si allontanò sgasando. Ma il suo visetto ombreggiato dai giganteschi occhiali mi è rimasto impresso. A nord di Roma, oltre Santa Severa, una brulla brughiera domina la costa, interrotta da qualche caletta inospitale. Il pullmino bianco era parcheggiato avventurosamente sul ciglio della strada, e la stessa suora – scalza – zigzagava spavalda tra sabbia e scogli alla testa di un incerto corteo. Dal gruppo non si levava un suono. Erano, infatti, i sordociechi di un istituto del litorale. Con ferma dolcezza lei li guidò fino alla riva. Ho conosciuto suore centenarie, suore infermiere, suore dedite al contrasto della tratta, suore intellettuali. Mai una suora di trent’anni.

I filippini formano una delle comunità straniere più numerose e sfuggenti della nazione. Vi lavorano, benvoluti e assai richiesti per l’assistenza domestica, da almeno quarant’anni. Ma tendono a vivere fra loro e inoltre, se possono, non restano. Rientrano al paese – dove intanto, col loro sacrificio, hanno fatto studiare i figli nelle migliori scuole private, e costruito grandi case per sistemare la famiglia.

Il suo nome era stato Elaine. Veniva dall’isola di Tablas. Bellissima – con la montagna, la barriera corallina, la giungla: rimase delusa che la ignorassi. Ma le isole delle Filippine sono quasi ottomila e, per quanto molte benedette da mare cristallino e spiagge bianche, non sono una meta turistica per gli occidentali. I suoi erano agricoltori, non possedevano altro che la fede. Dopo la morte del padre, la madre era emigrata in Italia: mandava regolarmente soldi, ma non era mai tornata, e le videochiamate non esistevano ancora. Certi parenti insinuavano che si fosse risposata con un connazionale.

Ci sono più congregazioni religiose femminili al mondo che granelli di sabbia su una spiaggia, recita una barzelletta cattolica. Non conoscevo la sua, intitolata alla Madonna, ma la superiora di Tablas era una missionaria veneta. Le suore italiane assistevano gli anziani e i malati all’ospedale, e avevano aperto una scuola per i bambini poveri. Lei era una di loro. Voleva raggiungere la madre in Italia, e conosceva un solo modo. Le tre giovani suore filippine consacrate mentre lei frequentava le elementari erano state chiamate in Italia: la congregazione si estingueva – per mancanza di vocazioni e decessi. Così Elaine era diventata aspirante, e poi postulante e novizia. Tre anni dopo aveva recitato la professione ed era diventata suor Angelina.

L’Italia l’aveva delusa. Cresciuta nella foresta e poi in una città portuale, si era ritrovata in un pianeta di cemento. Niente bambini, né mare. Però, in quanto unica sorella ad aver superato l’esame della patente, era diventata autista. L’avevano trasferita nell’istituto sul litorale: per i sordi e i ciechi qualcosa di più di un angelo custode. Li aveva liberati. Li scarrozzava al mare e in campagna, gli insegnava a danzare. E la madre? L’aveva trovata? Sì, ma ormai era un’estranea. Si accingeva a rientrare nelle Filippine, e non capiva perché mai la figlia avesse «buttato via la sua vita».

Nell’emigrazione, della fede che le aveva insegnato non era rimasto niente. Al contrario, la sua era sbocciata. Dio – sorrise – mi ha davvero chiamata. Nella solitudine di un Paese non suo, credeva di morire di nostalgia. Invece era diventata la luce di persone prigioniere del buio e del silenzio. Devo essere felice, per trasmettere la mia gioia. La mia vita non è più solo la mia. Capisci? Ci provo, ammisi. Ma non è un miracolo, precisò. Nulla accade se Dio non vuole. Su quella spiaggia inospitale, spazzata dal vento, mi sono resa conto che negli ultimi anni solo gli stranieri mi hanno parlato di Dio.