La psicologia come fenomeno da prima serata

by azione azione
8 Dicembre 2025

Sebbene il suo popolarissimo show televisivo sia ufficialmente giunto alla sua ultima puntata già nel 2023, appena pochi giorni fa il celeberrimo Dr. Phil – all’anagrafe Phil McGraw, «psicologo televisivo» che per oltre 30 anni ha dominato i palinsesti americani – è tornato nuovamente alla ribalta, stavolta per via di questioni al di fuori del suo abituale campo di competenza. Il presentatore sembra infatti essere uscito sconfitto dal procedimento legale intrapreso contro il proprio distributore mediatico, Trinity Broadcasting Network, per violazione di contratto nell’ambito dell’istanza di fallimento presentata dallo stesso McGraw relativamente alla sua compagnia, Merit Street Media; istanza a cui la TBN ha risposto con una controquerela, affermando che il Dr. Phil avrebbe addirittura messo in atto un pluriennale piano fraudolento ai loro danni.

A risultare particolarmente aggravanti per Phil sono infatti le molte e-mail che la corte lo ha accusato di aver eliminato al fine di occultare le prove della garanzia di rimborso fornita al suo principale creditore: un dettaglio che ha immediatamente riacceso le polemiche intorno alla controversa figura di McGraw, il cui status di psicologo più amato dagli americani è da tempo minacciato da chi lo taccia di essere un esponente di spicco della tv spazzatura. Di fatto, sono soprattutto i colleghi – medici, psicoanalisti, eccetera – a criticarlo, accusandolo di aver costruito la sua fortuna sulle disgrazie di persone manipolabili e ignoranti, incapaci di concepire un modo più sano e meno esibizionistico di affrontare i propri problemi.

Sorvolando sulla dubbia connotazione etica che uno studio televisivo (con tanto di audience di milioni di telespettatori) può rappresentare nel contesto di un consulto psicologico, bisogna dire che la formula varata dal fenomeno McGraw sembra comunque un successo senza precedenti – certo favorito dall’appoggio della pressoché onnipotente Oprah Winfrey, regina dei talk show a stelle e strisce, la quale, nel lontano 1998, ha a tutti gli effetti «lanciato» il Dr. Phil come psicologo da piccolo schermo.

Eppure, nel corso degli anni il suo protetto ha dovuto difendersi dalle più svariate insinuazioni, soprattutto per quanto concerne il supposto sfruttamento di ospiti particolarmente fragili; adolescenti problematici o individui affetti da dipendenze, i quali sarebbero stati sottoposti a trattamenti ai limiti dell’abuso, al solo scopo di farli apparire come casi disperati e nobilitare così l’operato del Dr. Phil agli occhi degli spettatori.

In un certo senso, si può dire che quanto accaduto con la sua sfortunata causa legale sia soltanto l’ultimo dei guai in cui l’anchorman è incappato, soprattutto dal momento che, negli ultimi mesi, la sua abitudine a prendere attivamente parte ai raid dell’ICE (operazioni condotte dall’Immigration and Customs Enforcement) ha finito per renderlo inviso anche a parte del suo pubblico.

Tuttavia, la «caduta» di McGraw ha radici ben più profonde, e sembra offrire interrogativi inquietanti: su tutti, dove si colloca la linea di confine tra un genuino desiderio di aiutare il prossimo e lo sfruttamento in nome dell’audience? La psicologia applicata al singolo individuo può davvero considerarsi come materia da palinsesto televisivo, o rischia di trasformarsi inevitabilmente in materiale morboso, da «guardoni» dello schermo?

Forse è proprio questo che dovrebbe darci da pensare, perché al di là della reputazione più o meno traballante di personalità controverse quali il Dr. Phil, è l’atteggiamento a tratti predatorio mostrato dal pubblico a costituire il maggior elemento di disturbo all’interno dell’equazione: in fondo, nient’altro che quella nostra spinta a seguire con insopprimibile curiosità gli altrui problemi, quando ben sappiamo come, nella vita reale, la maggior parte di noi non avrebbe il tempo o la disponibilità ad ascoltare, né tantomeno aiutare, queste persone. Forse sarebbe necessario interrogarsi sul coefficiente di voyeurismo insito in una società che ha bisogno di uno studio televisivo per provare vera empatia nei confronti del prossimo – e in cui, spesso, le disgrazie degli altri diventano semplicemente un mezzo tramite il quale sentirsi più buoni.