10 anni di AreaPangeart: un centro culturale plasmato da visioni che convergono senza rumore, nel segno dell’autenticità
Dialogo e confronto sono parole fondanti per Loredana Müller che dieci anni fa insieme al compagno Gabriele Donadini ha fondato AreaPangeart, un «piccolo centro culturale», uno spazio in cui ogni mostra propone l’incrocio di sguardi di artisti e il fare di linguaggi espressivi diversi: «Il fatto creativo è anche fatica, una fatica di vivere, e quindi per me diventa fondamentale il confronto con chi condivide questa dimensione, dove si presentano delle impossibilità ed è lì che poi ognuno trova le proprie possibilità; qui si sono succedute personalità molto diverse, ma ciò che ci accomuna è l’autenticità, un valore sempre più raro nel mondo artistico odierno».
Uno spazio dunque che oppone resistenza alla fragilità, all’apparenza, al consumo immediato di senso. Questo moderno continente delle arti, che attira artisti anche oltre i confini locali, si nutre della ricerca di senso; già il suo nome – AreaPangeart – evoca una moltitudine di significati: Pangea come il supercontinente dell’era paleozoica con un rimando al solco preistorico del Monteceneri e alla linea dell’Insubria; gea come terra e Pan come il tutto e «area, perché è luogo e non-luogo». E perché entrando nelle piccole sale del centro si ha l’impressione di aver varcato una soglia spazio-temporale che trasporta in una dimensione in cui si coglie la densità del silenzio, che nella sua accezione più feconda è ascolto dell’altro e di sé: «Spesso mi chiedono perché restare in silenzio in questo periodo in cui bisognerebbe urlare, ma io rispondo che l’operazione che possiamo fare su noi stessi è forse molto più significativa, mettendoci all’ascolto, sottraendo, come è accaduto durante la pandemia».
Non è un caso che il titolo della mostra simbolica che segna il decennio di attività – e si aggiunge alle 33 passate e a 180 tra eventi e incontri – sia proprio Silenzi, in cui dialogano i teleri di Loredana Müller, i pastelli su carta di Giulia Napoleone e le sculture di François Lafranca, tre mondi che ruotano attorno al pensiero di Max Picard, scrittore e filosofo vissuto a lungo in Ticino secondo cui il silenzio è «un vivo animale preistorico»: dunque è una cosa antica, primigenia, presenza.
Per questa ricorrenza Loredana Müller ha voluto invitare un’amica e un’assidua frequentatrice del centro, l’artista di Pescara Giulia Napoleone, e François Lafranca, editore, stampatore e scultore che vive in Alta Valmaggia ed espone qui le sue sculture; la sua è una scultura di interventi minimi, che sembra stare in ascolto della materia, della concrezione della pietra. Le pietre raccolte nei suoi luoghi si socchiudono come scrigni, la loro compattezza è attraversata da fenditure e spaccature, quasi fossero continenti in formazione, con una parte «alloggiata» in una dimora, e una parte che resta più mobile, a simboleggiare il continuo spostamento del mondo naturale e la «fuga dalla forma». Nelle sue tredici carte, Napoleone esplora il blu cosmico dei cieli lontani, finestre sull’assoluto, in cui si distinguono costellazioni reali e immaginarie; sono opere in cui il colore diventa corpo con un gesto quasi meditativo che satura la superficie, pur lasciando sempre intravedere la grana della carta. Punti bianchi calibrati per disegnare croci, archi e cerchi, geometrie del silenzio appunto; superfici che oscillano tra la densità della stratificazione e la rarefazione del pensiero. In questo dialogo serrato si inseriscono i teleri pastosi e materici di Loredana Müller, che ha lavorato su lenzuoli di lino di fine Ottocento, appartenuti alla sua famiglia, costruendosi i propri colori e pigmenti, che raccontano di mondi aerei e liquidi allo stesso tempo.
Il progetto, a cui i tre artisti hanno lavorato per un anno, non può definirsi una semplice mostra collettiva, ci tiene a precisare Loredana Müller, artista e curatrice dell’allestimento e sempre attenta a mantenere in equilibrio le tre anime riunite nel segno del silenzio. E soltanto nel silenzio possono risuonare le vere parole, quelle che sono lontane dal «brusìo verbale» della vita quotidiana, lontane dal «dispendio» e più vicine al bisbiglio, secondo Antonio Rossi, in una delle poesie che accompagnano la mostra; per Rita Iacomino è il silenzio dell’infanzia, simile ad «acqua tra le falde, sotterranea», a essere riserva e risorsa per il mondo adulto; mentre Gilberto Isella, un alleato da anni del centro culturale di Camorino, recupera il silenzio nella fissità di un «manto di seta» o di «un falco imbalsamato».
Anche questa mostra è accompagnata da suoni pensati per l’occasione, grazie a Marco Colonna che esegue al clarinetto basso suoni Suizen ispirandosi ai monaci Komuso (e che sarà in concerto il 15 dicembre per il finissage).
Arte visiva, parola poetica e musica intrecciano invisibili trame, a formare una inaspettata alchimia, che funge da scudo all’entropia del mondo esterno. «I temi attuali li affrontiamo ma in maniera meno esplicita, cercando di trovare le parole che decostruiscono e che ritentano di riqualificare l’essere, perché noi esistiamo e anche se attorno a noi è un disastro, noi dobbiamo continuare a sopravvivere», conclude Loredana Müller, che sta già guardando alla prossima mostra, dedicata a due fotografe «atipiche», Daria Caverzasio e Paola Mongelli. Atipiche, proprio come lei.
