Contrabbando: un filo invisibile tra Svizzera e Italia

by azione azione
1 Dicembre 2025

Intervista ad Adriano Bazzocco, autore del libro "Spalloni e Bricolle" che verrà presentato a Mendrisio il 6 dicembre prossimo

Il confine tra Italia e Svizzera non è mai stato solo una linea sulla carta. Per decenni è stato un varco di speranze, rischi e identità. Adriano Bazzocco, storico e autore del libro Spalloni e Bricolle. Storia sociale del contrabbando al confine tra Italia e Svizzera 1861-1939, ci accompagna in un viaggio tra sentieri impervi, osterie rumorose e storie dimenticate. Uno studio, il suo, durato vent’anni e per il quale è stato, tra l’altro, insignito del Premio Migros Ticino 2021 per le ricerche di storia sul territorio della Svizzera italiana.

Adriano Bazzocco, il suo libro si apre con una frase forte: «Nelle regioni di confine il contrabbando costituì in ogni tempo un’attività in grado di mobilitare ampie fasce di una popolazione disposta, senza troppe remore, a porsi al di fuori della legge».
Esatto. Il contrabbando non è stato solo un’attività illecita: è stato un fenomeno sociale. Fare la storia del contrabbando significa fare la storia delle società di confine. Mi interessava capire come un reato potesse compenetrarsi nella vita civile senza destare riprovazione morale. In queste terre, il contrabbando era percepito come un mezzo per sopravvivere, ma anche come un gesto di autonomia verso lo Stato centrale e perfino di riscatto, di eroismo.

Lei è uno specialista della Seconda guerra mondiale. Come è arrivato a occuparsi di un arco temporale che parte dall’Unità d’Italia?
Quasi per caso. Volevo scrivere una tesi sul contrabbando durante la guerra, ma per introdurre il tema ho iniziato a cercare cosa accadesse prima. Mi sono imbattuto in fonti affascinanti e ho deciso di allargare lo sguardo: dall’Unità d’Italia fino alla vigilia del secondo conflitto mondiale. È stato un percorso lungo, ma necessario per capire le radici di questo fenomeno.

I testimoni diretti del contrabbando fino al 1939 sono morti. Senza fonti orali come ha costruito la sua ricerca?
Ho scelto di non usare fonti vive per due motivi: caratteriale e metodologico. Personalmente sono piuttosto schivo e, dal punto di vista del metodo, le testimonianze sul contrabbando sono spesso avvolte da folklore e cariche di eroismo. Volevo arrivare al nucleo storico, non alla leggenda.

Adriano Bazzocco (Foto: S. Benzoni)

Qual è stata la scoperta più sorprendente?
Forse che il contrabbando non era solo economia: era politica. Per le comunità italiane di confine, rappresentava anche una forma di dissenso verso lo Stato centrale. Non si trattava solo di portare a casa il pane, ma di riaffermare l’identità locale contro un potere percepito come insensibile ai problemi del territorio e presente solo per drenare tasse e rubare uomini per l’esercito.

Nel libro emerge una differenza di atteggiamento tra Italia e Svizzera. Perché?
In Italia il contrabbando era visto come un reato grave, da reprimere. In Svizzera, invece, era tollerato, persino favorito. Perché? Perché rappresentava uno sbocco commerciale importante. Venendo a tempi che non includo nel mio studio, negli anni ’70 del secolo scorso, ad esempio, il mancato rimborso dell’imposta sui tabacchi contrabbandati verso l’Italia finanziava la rendita di un pensionato su venti in Svizzera! E poi c’era tutta la filiera del contrabbando: produttori, grossisti, negozianti, ristoratori. Tutti ci guadagnavano alla fine. E molto.

Quali erano le merci più contrabbandate tra Ottocento e 1939?
Una sorprendente stabilità: tabacco, caffè e zucchero. Sempre loro. Il tabacco è stato il re incontrastato. Il caffè, nel dopoguerra, ha avuto un ruolo enorme: in Val Poschiavo c’erano una dozzina di torrefazioni attive per alimentare il contrabbando verso l’Italia. Poi, a seconda delle epoche, si aggiungevano altri beni, ma il cuore era quello.

Ci racconta una storia emblematica?
Fra le tante citerei la storia di Clemente Malacrida, il «Duca della montagna», un personaggio della Val d’Intelvi attivo negli anni Trenta del 900. Capo di una banda di oltre cento spalloni, reclutati in modo quasi pubblico: «Chi vuole fare il contrabbandiere venga al paese». Partivano dal lago di Como e arrivavano fino ad Arogno, come una compagnia militare. Il Duca finì in carcere e morì durante un’evasione misteriosa, alimentando il proprio mito. Queste storie mostrano quanto il contrabbando fosse intrecciato con la vita sociale.

Vita dura, quella dei contrabbandieri.
Durissima. Camminate notturne su sentieri impervi, carichi pesanti, il rischio di cadere nei burroni o di morire assiderati. Molti sono rimasti sepolti da valanghe o sono morti di freddo. E poi il pericolo delle guardie di finanza: se ti prendevano, le conseguenze erano pesanti. Era un mestiere faticoso e pericoloso, ma per chi veniva dalla vita contadina, abituato alle fatiche alpine, era quasi naturale. Ci voleva prestanza fisica e del resto il termine «spallone» la dice lunga sulle caratteristiche di chi lo faceva: doveva avere spalle larghe e forti.

Perché ha scelto di pubblicare con i Quaderni di Dodis e non con un editore tradizionale?
Per garantire la massima diffusione. Con un editore commerciale, il libro muore quando il mercato si esaurisce. Con Dodis, invece, resta vivo: si può acquistare online a prezzo di costo, scaricare gratis in PDF, e-book, persino sul telefono. E resta legato a un centro di ricerca autorevole, che gli dà visibilità scientifica e lo rende utile anche per i giovani studiosi. Dodis ha pure messo online diverse fonti documentarie sulle mie ricerche.

Progetti futuri?
Ho già 150 pagine su un tema che mi appassiona: la censura durante la Seconda guerra mondiale e la costruzione della memoria in Svizzera. Voglio spostare l’attenzione da «cosa ha fatto la Svizzera durante la guerra» a «cosa ha fatto subito dopo», tra rimozioni e mistificazioni. E poi, forse, tornerò al contrabbando del dopoguerra, vedremo.

In una frase, perché leggere il suo libro?
Per capire che il contrabbando non è solo cronaca nera: è storia sociale, è identità, è il racconto di comunità che hanno vissuto sul filo della legge per sopravvivere e per affermare se stesse.