Tra Sicilia, Milano e Lugano

by azione azione
1 Dicembre 2025

Il furto del Caravaggio nella nuova serie RSI di Fulvio Bernasconi

Una tela di Caravaggio rubata, l’ombra della malavita e una famiglia attraversata da segreti che affondano nel passato: sono questi gli elementi che fanno da base a La linea della palma, la nuova serie proposta da RSI e che ci accompagnerà lungo il mese di dicembre. Fin dai primi minuti appare evidente come il progetto ambisca a mescolare registri diversi – thriller, dramma e poliziesco – riuscendo a far convivere questi mondi con naturalezza grazie a due capisaldi: l’interpretazione intensa e calibrata della protagonista Gaia Messerklinger e la regia limpida e solida di Fulvio Bernasconi, sempre attento alla coerenza narrativa.

La storia si ispira liberamente a un episodio realmente accaduto: il furto della Natività di Caravaggio dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo, avvenuto nel 1969. Un evento che, nel corso degli anni, ha generato investigazioni, supposizioni, testimonianze incomplete e un alone di mistero mai dissipato. Ne ha parlato sulle pagine di «Azione», anche Andrea Galli, nel reportage Caravaggio e il principe di mafia uscito il 21 aprile di quest’anno. È proprio da questo spunto che nasce la serie: decenni dopo, Anna – una giornalista che porta sulle spalle un passato complesso e irrisolto – scopre che suo padre potrebbe essere stato coinvolto in qualche modo nella sparizione del quadro. L’indagine diventa così un viaggio personale, una ricerca di verità che riguarda tanto l’opera scomparsa quanto la storia stessa della sua famiglia.

Prodotta da Hugofilm Features e coprodotta da RSI e ARTE, La linea della palma si muove tra Sicilia, Milano e Ticino. È proprio in Ticino che la troupe ha trascorso la maggior parte del tempo: 55 giorni sui 66 totali di riprese. Una serie, dunque, molto ticinese che emerge con evidenza nei primi due episodi. Il luganese in particolare non è semplice cornice, ma parte integrante della narrazione. Il titolo della serie richiama inoltre una celebre affermazione di Leonardo Sciascia – riportata nella citazione iniziale – secondo cui la mafia tende a spostarsi verso nord, proprio come le palme. Un’immagine interessante che trova un’eco sottile nell’intera costruzione drammaturgica.

Il cast funziona complessivamente bene, ma è la protagonista a imporsi con decisione. Gaia Messerklinger offre un’interpretazione misurata, priva di eccessi, sempre attenta alla coerenza emotiva del personaggio. Ogni scena sembra costruita con precisione: sguardi, gesti, silenzi raccontano il tormento di una donna divisa tra il desiderio di verità e la paura di ciò che potrebbe scoprire. Il suo sguardo malinconico, a tratti cupo, riesce a coinvolgere direttamente lo spettatore e a, come si suol dire, bucare letteralmente lo schermo.

Non tutti gli interpreti raggiungono lo stesso livello, e alcuni risultano meno convincenti, ma nel complesso l’equilibrio è abbastanza buono. Una menzione particolare merita Bebo Storti; qui abbandona la cifra comica (il famoso Conte Uguccione di Mai dire Gol) che lo ha reso popolare per dare vita a un personaggio ambiguo e misterioso, capace di restare impresso.

La regia di Bernasconi è uno degli aspetti più riusciti. Reduce dall’esperienza di Quartiers des Banques, il regista dimostra di aver maturato uno sguardo attento alla gestione delle tensioni narrative. I cliffhanger (finali sospesi per creare tensione) sono presenti ma mai abusati: la suspense nasce piuttosto dalla struttura generale degli episodi, dalla loro capacità di alternare momenti intensi e pause riflessive, scene madri e passaggi preparatori. L’equilibrio tra la trama famigliare e quella legata al furto del Caravaggio è curato, così come l’uso della colonna sonora, che intreccia brani italiani e partiture strumentali capaci di accompagnare le emozioni senza sovrastarle.

Va però segnalato che alcuni momenti risultano un po’ rallentati e che, soprattutto nel secondo episodio, compaiono alcune scelte didascaliche che appesantiscono il racconto e smorzano la tensione.

Altri aspetti da evidenziare dei primi due episodi è l’uso delle ambientazioni. Le location luganesi – tra lago, centro città, spazi più raccolti o periferici – donano alla serie un realismo spontaneo e coerente con il tono narrativo. Gli interni sono spesso luoghi di confronto o rivelazione: gli uffici, il solaio dove Anna scopre una parte del passato del padre, il punto franco dove intuisce che qualcuno è arrivato prima di lei. L’illuminazione notturna, basata su sfumature di blu, grigio e nero interrotte da luci al neon o da tonalità più calde, conferisce alla serie un’atmosfera moderna e inquieta, da noir contemporaneo.

In conclusione, La linea della palma si presenta come una serie ambiziosa e ben realizzata, capace di fondere generi diversi e di proporre una narrazione che mantiene una sua coerenza interna pur nella complessità degli elementi messi in gioco. Alcuni rallentamenti e qualche ingenuità narrativa, sono ben compensati dalla qualità della regia, dalla forza della protagonista e dall’interessante intreccio tra mistero artistico e vicenda familiare. Se la serie riuscirà a mantenere questo livello anche nei restanti episodi, potrà lasciare il segno nel panorama della fiction elvetica e magari anche europea.

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