Il fantasma atomico nella politica mondiale

by azione azione
17 Novembre 2025

Si stanno erodendo i meccanismi di contenimento della corsa agli armamenti costruiti dopo la fine della Guerra fredda

Le dichiarazioni del presidente americano Donald Trump sulle armi atomiche hanno riacceso il dibattito sulla necessità di una rinnovata deterrenza nucleare, ma soprattutto sullo spettro di una nuova potenziale Guerra fredda con la Russia e la Cina, a pochi mesi dalla scadenza del New Strategic Arms Reduction Treaty (il cosiddetto New START), il trattato sulla riduzione delle armi nucleari firmato da Stati Uniti e Federazione Russa nel 2010. È forse anche per tentare di mostrare un atteggiamento più diplomatico che poco più di una settimana fa il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha negato che Mosca abbia condotto test nucleari sotterranei di nascosto, replicando alle accuse formulate da Trump. In un’intervista trasmessa dai media di Stato, Lavrov ha aperto al dialogo sul tema, dichiarando che la Russia è «pronta a discutere con Washington le preoccupazioni sollevate dai nostri colleghi americani riguardo alla possibilità che stiamo segretamente facendo qualcosa sottoterra».

Le tensioni tra le due principali potenze nucleari globali si sono intensificate dopo che la Russia, a fine ottobre, ha testato almeno due sistemi d’arma a propulsione e capacità nucleare: il missile da crociera Burevestnik e il famigerato drone sottomarino Poseidon. Pochi giorni dopo, il 29 ottobre scorso, e solo un paio d’ore prima di incontrare il leader cinese Xi Jinping, Trump aveva fatto un annuncio a sorpresa sul suo social Truth, sostenendo di aver ordinato al Pentagono di riprendere i test sulle armi atomiche americane «a causa dei programmi di test di altri Paesi», riferendosi a Russia e Cina. Quello strano e poco chiaro messaggio aveva allarmato diversi funzionari, anche della stessa amministrazione americana. Il giorno dopo, parlando ai giornalisti a bordo dell’Air Force One, Trump aveva detto che «tutti stanno facendo test nucleari. Noi abbiamo smesso anni fa. Ma se gli altri fanno test, credo sia giusto che li facciamo anche noi», lasciando intendere che si trattasse proprio di esperimenti di detonazione.

Messa al bando dei test nucleari

La Russia ha effettuato l’ultimo esperimento di questo tipo nel 1990, mentre gli Stati Uniti nel 1992. La Cina ha effettuato l’ultimo nel 1996, l’anno in cui tutte e tre le potenze nucleari hanno firmato il Trattato sulla messa al bando totale dei test nucleari, che proibiva «qualsiasi esplosione di test con armi nucleari o qualsiasi altra esplosione nucleare». Per tentare di mitigare gli effetti sull’opinione pubblica americana – soprattutto quella dello Stato del Nevada, dove si trova l’ultimo sito di test nucleari del Paese – a inizio novembre il segretario all’Energia degli Stati Uniti, Chris Wright, è stato costretto a spiegare che gli esperimenti previsti non comporteranno esplosioni nucleari: «Si tratta di ciò che chiamiamo esplosioni non critiche: si testano le altre parti dell’arma per assicurarsi che funzionino, ma non si provoca alcuna detonazione atomica», ha chiarito. E poi ha aggiunto che gli abitanti del Nevada «non devono temere di vedere un fungo atomico».

Il problema è che, secondo diversi analisti, la combinazione di rivalità geopolitiche, instabilità interna e incertezza diplomatica sta via via erodendo i meccanismi di contenimento della corsa agli armamenti costruiti dopo la fine della Guerra fredda. Secondo la Federation of American Scientists, la Russia dispone oggi di circa 5500 testate nucleari, gli Stati Uniti di poco più di 5200 e la Cina di circa 600. La Corea del Nord resta l’unico Paese ad aver condotto test nucleari esplosivi dopo gli anni Novanta – l’ultimo dei quali, il settimo, avvenuto nel 2017. Le esplosioni «non critiche» di cui ha parlato il segretario Wright sono esperimenti nucleari che simulano le condizioni di un’esplosione atomica, ma senza mai arrivare a provocarla davvero: non essendo vietate esplicitamente dai trattati, sia gli Stati Uniti sia la Russia ne hanno eseguite diverse negli ultimi decenni.

Ma c’è di più. Perché il contesto è ulteriormente complicato dalla rapida espansione dell’arsenale nucleare cinese, poco conosciuto al grande pubblico ma particolarmente sensibile per i servizi d’intelligence occidentali. Secondo il Center for Strategic and International Studies, Pechino ha quasi raddoppiato il numero di testate negli ultimi cinque anni e potrebbe superare le mille entro il 2030. Il controllo e la trasparenza degli armamenti cinesi, però, sono complicati dalla recente ondata di epurazioni di alti funzionari delle Forze armate condotta da Xi Jinping, soprattutto all’interno della Forza missilistica dell’Esercito popolare di liberazione che sovrintende gli armamenti atomici. Secondo Georgia Cole, analista del programma di sicurezza internazionale di Chatham House, in questo clima «l’imminente scadenza del trattato New START è particolarmente preoccupante, perché non può essere prorogato nuovamente in base ai termini esistenti. Sebbene la Russia abbia sospeso la sua partecipazione al trattato nel 2023, sia Mosca sia Washington hanno continuato a rispettare i limiti numerici centrali relativi alle testate strategiche e ai sistemi di lancio schierati». Adesso, però, i messaggi confusi e poco chiari della Casa Bianca e del Cremlino potrebbero incentivare anche Paesi de facto nucleari ad aumentare il proprio arsenale, rendendo vani decenni di politiche di non proliferazione.