A colloquio con l’ex Camillas (ora Crema) Vittorio Ondedei
L’offerta del Foce è a 360 gradi: dalla musica al teatro, passando per il ballo e il cinema, non resta che scegliere. Una serata, però, e lo dice il programma stesso, è «speciale», perché dedicata a un personaggio fuori dagli schemi, divertente, e che non si può o deve dimenticare. Il 31 gennaio 2026, infatti, si ricorderà il mitico Mirko Bertuccioli/Zagor Camillas, pilastro, appunto, dei Camillas. Ne abbiamo parlato con un altro membro della band pesarese, non sapendo quale dei tre alter ego ci avrebbe risposto al telefono: Vittorio Ondedei, Topazio Perlini o Ruben Camillas? In realtà ci hanno risposto nessuno e tutti insieme, riuniti nelle parole di un interlocutore attento, riflessivo, ma anche giocoso, leggero e gradevole.
Vittorio Ondedei, come avete fatto a ritrovare la gioia dopo la morte di Mirko, figura tanto importante dei Camillas? 
Dopo il Covid ci siamo ritrovati a non essere più in quattro, ma non era una questione di quantità: con la scomparsa di Mirko per noi era chiaro che i Camillas non sarebbero stati più. Al di là del dolore umano – che quello rimane – c’era anche il lato artistico professionale, e lì ho capito che bisognava tenere Mirko acceso. Perché Mirko era quello che accendeva le situazioni, che faceva succedere le cose. Siamo andati avanti per più di un anno senza un nome, anzi, lo cambiavamo a ogni concerto, un giorno eravamo i Johnny, quello dopo i Penny: non sapevamo più chi eravamo.
Alla fine, quello che ho imparato è che la persona che ti manca non puoi metterla in una specie di sarcofago, perché così la blocchi, e non è giusto, soprattutto perché Mirko era Zagor. Ma allora, come mantenere la «vivezza», come direbbe lui? Dopo un anno e mezzo abbiamo deciso che dovevamo darci un nuovo nome e un nuovo repertorio. Ho cambiato anche postazione sul palco: per dodici anni girandomi vedevo Mirko, ma ora c’era Daniel. Non che non voglia bene a Daniel, ma ogni volta prendevo un colpo. Piccole strategie di sopravvivenza.
La storia del vostro rapporto con i nomi è particolare… 
I Camillas sono nati perché una sera dovevamo suonare con un altro gruppo, ma l’amico Giuliano non ne aveva voglia, quindi Mirko a un certo punto ha detto, «chiamiamoci Camillas». Il nome doveva durare una sera, ma poi è rimasto. Secondo me a Mirko è venuto in mente perché in quei giorni era diventata ufficiale la storia tra Carlo e Camilla, anche se lui lo ha sempre negato. Per la nuova band volevamo dapprima fare l’anagramma di Mirko, e a un certo punto è uscito Crimo, che poi è diventato Crema.
Anche con la nuova band l’elemento surreale rimane. 
Sì, ma è una cosa quasi naturale, i testi a volte nascono da trasformazioni di suoni. Nel disco nuovo c’è anche un pezzo in giapponese: lo hanno scritto Enrico Liverani e Daniel Gasperini col traduttore, poi l’ha corretto la moglie di uno dei due, spiegando le pronunce. C’è dello spazio anche per me in quella canzone: grido e faccio dei coretti. 
Siete surreali anche nella vita vera?
 Siamo persone molto istantanee… l’altro giorno dovevamo fare delle riprese per dei reel su Instagram, ma poi abbiamo finito per registrare così tutto il video della canzone nuova. Siamo un po’ dei dadaisti.
I dadaisti però denunciavano, e voi?
Nelle nostre canzoni c’è una forma di critica alle modalità troppo razionali di pensare. Si ragiona su tutto e si cerca una ragione per ogni cosa, ma questo a volte porta a tagliare in troppi pezzi la realtà. Ormai il mondo va verso quello che conviene, e quando una cosa conviene vuol dire che te ne perdi un sacco di altre. Abbiamo un approccio che definirei vorticoso, una successione di discorsi e canzoni e interruzioni. Affrontare la realtà in modo surreale ti permette di tenere conto di molti aspetti non banali. Sia i Crema sia i Camillas sono molto giocosi, a volte le persone ridono per le nostre canzoni, a volte le nostre canzoni transitano dei contenuti potenti, anche se in maniera leggera e sorridente. Come diceva un mio amico, i Camillas tirano il sasso ma poi non nascondono la mano, quando li guardi ti sorridono.
Oggi molta musica passa dai social, i Crema a che punto sono? 
Ha presente TikTok come funziona? Ecco, se becchi quella roba dell’algoritmo sei a posto. La mia figlia diciassettenne un giorno mi ha fatto vedere che La canzone del pane era su TikTok, ma quasi tutti pensano che sia di Calcutta, che ne ha fatto la cover. Mia figlia allora va nei commenti e scrive che la canzone è di suo padre.
Ci parla della serata del 31 gennaio? 
L’abbiamo proposta appositamente a Lugano perché è lì che volevamo presentare il film e il nuovo album dei Crema. Sarà una specie di sintesi di tutto questo: da una parte la storia di Zagor/Mirko e dall’altra il nuovo disco. Poi nel film c’è anche Lugano, che per la storia dei Camillas rappresenta un passaggio fondamentale.
 
			         
			         
			        