Settembre. È ricominciata la scuola. Primo Levi ricordava i nomi di tutti i suoi compagni di classe. Raccontava di uno che, al liceo, interrogato, rispondeva «il numero del nonno» al posto del «numero di Avogadro», poiché portava lo stesso cognome ed era un discendente del grande scienziato. Rievoco l’episodio intrattenendo i soci di un circolo.
Al termine un signore si presenta: mi chiamo Galileo Ferraris, sono il discendente diretto del geniale inventore del motore elettrico rotante. Gli faccio notare che il suo illustre antenato non era sposato e non aveva figli, ma lui ha la risposta pronta: Adamo, il fratello maggiore di Galileo, medico e garibaldino, aveva seguito l’eroe dei due mondi in Francia ed era morto in combattimento a Bligny nel 1871. Così Galileo, giovane professore, si era fatto carico della famiglia del fratello. E dopo quattro generazioni, nel 1995, era nato lui.
«Sono l’ultimo erede di un grande nome». «Deve essere difficile da portare», gli faccio notare. «Non me ne parli», risponde. «A Torino le famiglie che di cognome fanno Ferraris sono 385 e le persone 924, nessuna delle quali ha come nome Galileo». «Perché i suoi genitori hanno scelto un nome così impegnativo?». «Io ero il primo maschio dopo tre sorelle e i miei hanno deciso la mia vocazione». «Lo scienziato? L’inventore?». «No, l’elettricista. Mentre aspettava che io nascessi mio padre ha letto sul giornale che ci sarebbe stata una grande richiesta di elettricisti. Ha voluto garantirmi un avvenire sicuro. Con quel nome la gente si fiderà di te, diceva.» «È stato così?» «Chi lo sa? Per saperlo avrei dovuto fare l’elettricista». «E invece ha preso un’altra strada». «Proprio così. Io ho la vocazione dell’arte».
«Che tipo di arte?». «L’arte figurativa. Sono un writer». «Quelli che vanno in giro la notte con le bombolette spray a dipingere i muri di fabbriche e i viadotti senza che nessuno glielo abbia chiesto?». «Sì, quelli». «A casa come l’hanno presa?». «Non bene. Per venire incontro alle loro aspettative ogni tanto dipingo uno schema di impianto elettrico». «Saranno fieri di lei». «Fino all’altro ieri sì. Succede che dipingo su un muro lo schema di un impianto di fantasia che mi viene particolarmente bene. E lo firmo. Gli abitanti al pianterreno della casa di fronte vengono ad ammirarlo. Leggendo il mio illustre nome in fondo all’affresco pensano che lo schema sia più che valido, una garanzia. Da tempo meditavano di rimettere mano al loro vecchio impianto. Pensano: è inutile chiamare un elettricista, lo realizziamo noi. La casa è andata a fuoco e adesso andiamo per avvocati. È il destino di un vero artista essere incompreso».
Dopo quello di Galileo Ferraris un altro nipote di inventore si fa vivo con me dopo aver ascoltato una conversazione radiofonica con Piero Bianucci nel corso della quale rievocavo l’episodio. Sostiene di discendere da Alessandro Cruto, l’inventore della lampadina a incandescenza. Gli faccio presente che Cruto, nato nel 1847, si è sposato in tarda età e non ha avuto figli. Ha la risposta pronta: «Il mio antenato era molto affezionato alle due figlie femmine della sorella di sua moglie. Una delle due si è fatta suora. L’altra, Anita, si è sposata e ha avuto tre figli maschi e tre figlie femmine. Io discendo da una delle femmine».
«Perché vuole che la metta in contatto con il nipote di Galileo Ferraris?». «Fra le nostre due famiglie c’è un conto in sospeso. È una storia di destini incrociati: il mio antenato, Alessandro Cruto, assistette a una serie di conferenze tenute da Galileo Ferraris nelle quali lo scienziato sosteneva che, per far funzionare una lampada a incandescenza, sarebbe servito un materiale inesistente in natura, in grado di reggere le temperature generate dal passaggio di corrente». «E questa volta si sbagliava». «Sì. Cruto si sentì sfidato. Lui aveva provato a cristallizzare del carbonio per fabbricare dei diamanti e aveva ottenuto in cambio delle guaine durissime, che funzionarono benissimo come filamento». «Mi risulta che l’invenzione fu attribuita a Edison». «Sì. Purtroppo Edison riuscì a registrare il brevetto cinque mesi prima». «Perché desidera incontrare il nipote di Galileo Ferraris. Quel tipo di lampadina ha terminato il suo ciclo vitale». «Lo so. Alessandro Cruto arrivò alla lampadina perché cercava di fabbricare diamanti». «È così, la chiamano serendipity».
«Voglio proporre al nipote di Galileo Ferraris di costituire una società». «Per fare cosa?» «Cerchiamo di inventare un nuovo tipo di lampadina». «Non ci riuscirete mai». «Lo credo bene. Ma tentando invano di inventare un nuovo tipo di lampadina, scopriremo il modo di fabbricare i diamanti. È la serendipity bellezza».