Roger Federer è destinato a condividere con Rafael Nadal e Novak Djokovic il titolo di re del tennis. Ogni appassionato, secondo i suoi parametri tecnici e soprattutto affettivi, cercherà di stabilire il suo personalissimo podio. Di regola, due sovrani non regnano contemporaneamente. Le altre icone dello sport svizzero del passato non potranno mai fregiarsi dell’appellativo «il più grande o la più grande di sempre». Nelle loro discipline, qualcuno è riuscito a conquistare un bottino decisamente pingue, ma non sufficiente. Ad eccezione dell’orientista Simone Niggli-Luder, autentica regina del suo sport. In futuro, ce la potrebbe forse fare Marco Odermatt, a condizione che riesca a dominare la scena sciistica almeno per altre quattro o cinque stagioni.
Il titolo di Monarca assoluto, l’ha per contro conquistato Nino Schurter, il più straordinario Biker della storia. Dieci volte campione del mondo individuale, oltre ai sei ori a squadre. Tre volte sul podio olimpico, in crescendo: bronzo a Pechino nel 2008, argento a Londra nel 2012, oro a Rio de Janeiro nel 2016. Nove coppe del mondo, con 36 gare vinte. Tutto il resto sono briciole. Come ad esempio il secondo titolo europeo conquistato nel 2020 sull’affascinante tracciato del Monte Ceneri.
Nino è, per ora, inarrivabile. Ieri, a Lenzerheide, sulla pista grigionese che sente molto sua, ha fatto la riverenza e ha ufficialmente lasciato il mondo delle competizioni. Un universo autentico, schietto, lontanissimo dallo «star system» del ciclismo su strada, per non parlare di calcio, tennis, o altro.
Ventidue anni fa lo avevamo ammirato per la prima volta. Fra gli juniores, aveva conquistato l’argento iridato nell’edizione disputata sul Monte Tamaro. Bravino, pensavamo. Farà una buona carriera. Colui che lo aveva preceduto, il ceco Jaroslav Kulhavý, sembrava il suo incubo. Gli negherà in seguito l’oro ai Mondiali di Champery, nel 2011, e soprattutto quello dei Giochi di Londra, al termine di una volata nata male, che Nino, ne sono più che convinto, avrebbe vinto nove volte su dieci. Da quel giorno, la parabola del nostro asso è stata un continuo e costante viaggio nella leggenda. Demoliti i record del precedente monarca, il francese Julien Absalon, Nino ha dominato la scena anche quando si sono messi in gioco stradisti e ciclocrossisti di grande spessore come Peter Sagan e Mathieu Van der Poel. Solo nelle due ultime stagioni, ha sofferto la presenza del minuscolo ed esplosivo britannico Tom Pidcock. Ciò nonostante, l’aura del 39enne campione romancio di Tersnaus non è stata minimamente scalfita.
Ci mancherà. Alla nostalgia dovremo aggiungere anche un pizzico di rimpianto, per non aver celebrato sufficientemente le emozioni che ci ha donato in oltre vent’anni di trionfi. I suoi successi, al di là di un’innata e necessaria predisposizione fisica, non sono figli del caso. Nino è da sempre un combattente maniacale. Da bambino, dopo un brevissimo periodo in cui il calcio sembrava aver preso il sopravvento sulla bici, aveva virato decisamente verso le due ruote. Si dice che inseguisse il postino in salita per superarlo a tutti i costi. Si narra che durante una fase di team building, alla prima esperienza con l’arco, fece subito centro. «Con lui non si vince neppure alle biglie» sentenziarono gli altri. Del resto, Schurter si metteva in gioco ovunque e sempre. Anche par vedere chi era il più rapido nel caricare il bagaglio sul pullman della squadra.
Compagni e avversari li voleva e li doveva battere. Era il suo mantra. In compenso, dicono, e non stento a crederlo, è sempre stato un amico leale e generoso. Pronto a cucinare pasta al sugo per tutti. Pronto soprattutto a dispensare suggerimenti e consigli. Ne sa qualcosa il nostro Filippo Colombo, che dalla scorsa stagione gareggia nella sua stessa squadra diretta da Thomas Frischknecht.
Nino è entrato nei nostri cuori perché appartiene alla categoria dei campioni semplici, che non si nascondono dietro una maschera. Poco propenso alla spettacolarizzazione della sua non sempre agevole esistenza, lo spettacolo lo offriva in sella alla sua MTB; di poche parole, ma di sostanza; sempre sorridente, anche quando l’esito della corsa non lo aveva premiato; sempre disponibile nei confronti dei media e dei fans. Credo che aver potuto vivere la sua straordinaria carriera sia stato un privilegio, per entrambe le categorie. Per questa ragione il minimo che mi sento di dirgli è: grazie Nino.