Francia, squadra che perde non si cambia

by Claudia
15 Settembre 2025

Il futuro Governo, con a capo il nuovo premier Sébastien Lecornu, ha tempo fino al 15 ottobre per presentare la manovra finanziaria; intanto continuano le proteste di Bloquons tout

Hanno gridato forte «Macron dimettiti» per le strade delle città francesi, mentre «bloccavano tutto», secondo il mandato del grande boicottaggio che si è tenuto in Francia il 10 settembre e che è stato sostenuto da circa 200 mila persone in tutto il Paese. «Macron vattene», «Macron dimettiti», «Macron sei finito», ma no, il presidente francese non se ne va, non si sente finito, non scioglie il Parlamento (il termine francese è «dissolve», che dà meglio l’idea dell’umore prevalente), non concede nulla: ora ha un nuovo primo ministro, Sébastien Lecornu, un fedelissimo evidentemente ben disposto al sacrificio, e tira dritto.

Non si può certo dire che le cose vadano bene, alla leadership della Francia, anzi: è andato tutto male, ma è quel male previsto e prevedibile che acciacca di meno. L’ex primo ministro François Bayrou era spacciato e lo sapeva: l’8 settembre è stato sfiduciato dall’Assemblea nazionale, dopo aver voluto fare – con leggerezza sacrificale – una conta sulla manovra finanziaria austera che non piaceva a nessuno. Ma Bayrou ha utilizzato quell’ultima occasione per fare un discorso bellissimo, in cui ha detto: i francesi possono anche illudersi che abbattere i Governi sia la soluzione, ma non possono ignorare la realtà, che è fatta di debito, disuguaglianza, produttività ferma, cinquantuno anni di conti pubblici non in pareggio. Si rivolgeva ai deputati attorno a lui che vedono nell’instabilità permanente la loro grande occasione, alimentando un cannibalismo che sta divorando il sistema francese; e si rivolgeva a chi si apprestava a bloccare la Francia, il movimento Bloquons tout e i suoi sostenitori nell’estrema destra e nell’estrema sinistra. C’è un che di paradossale nel voler fermare un Paese che è già impantanato e nel rivendicare questo «fermi tutti» come una proposta alternativa, quando si sa che la salvezza, per la Francia ma pure per molti altri Paesi, è una spinta forte a correre più veloce.

Bayrou ha parlato con la libertà di chi sa che la sua parentesi è presto chiusa, ma senza quel tono rivendicativo e rabbioso che di solito contraddistingue questi saluti. La rabbia e la rivendicazione, in una settimana di scombussolamento, sono state cose di piazza, non di palazzo. Mentre i cortei e i blocchi prevalentemente pacifici venivano dirottati dalle frange più violente – ci sono stati oltre 500 arresti, le forze dell’ordine molto allertate sono state decisive – la politica si è data una disciplina, per necessità: Bayrou è stato sfiduciato e nel giro di ventiquattro ore Macron ha designato il successore.

Sébastien Lecornu ha 39 anni e ne dimostra molti di più, viene dalla destra gollista ma è uno dei pochi sopravvissuti del macronismo degli inizi, quello della rivoluzione politica nella Francia bipartitica, ed è molto ascoltato da Macron. Anzi, il presidente lo voleva già nove mesi fa, quando poi fu invece selezionato Bayrou, e quindi nelle poche ore di interrogativi e toto-premier era proprio il nome di Lecornu il più citato. Ma nel Paese delle contraddizioni il più probabile era anche il più contestato, perché il ministro della Difesa rappresenta la continuità con una formula che si è mostrata vieppiù fallimentare. Il leader della destra estrema Jordan Bardella ha sintetizzato alla perfezione il senso della contestazione: «Squadra che perde non si cambia», ha detto, e in effetti ci si aspettava che Macron rinunciasse all’asse più a destra della sua coalizione centrista e aprisse a sinistra (Bardella si sarebbe lamentato comunque, è il suo mandato), proprio perché gli ultimi quattro Governi in due anni erano pieni di esponenti di destra, e non sono sopravvissuti. Ma i negoziati a sinistra, per i macroniani, languono, sono deformati dalla presenza dei radicali di Jean-Luc Mélenchon, non arrivano mai al punto. E Macron, al punto, ci deve arrivare e lo deve fare in fretta, perché altrimenti la sua strategia di sopravvivenza non può funzionare.

Il futuro Governo avrà tempo fino al 15 ottobre per presentare la manovra finanziaria, in modo da poterla approvare entro la fine dell’anno, ma intanto ci sono gli attivisti di Bloquons tout (si sono dati un nuovo appuntamento, venerdì mattina quando il giornale andava in stampa la data non era ancora stata annunciata) e il 18 settembre lo sciopero generale dei sindacati, che si annuncia politicamente ben più pesante dei «bloccatori». Nel frattempo Lecornu deve essere confermato dall’Assemblea nazionale e ovviamente questo è il problema più grande, perché se Macron ha scelto la continuità, lo stesso faranno i suoi oppositori che già minacciano mozioni di sfiducia. Con un unico barlume di speranza proprio a sinistra, dove c’è un malumore evidente ma dove resiste qualche sacca di razionalità e pragmatismo. E dove ci possono essere alcune ricompense, che sia qualche nomina nel Governo o qualche concessione sul budget. Come spesso accade nelle relazioni personali, anche tra Macron e la sinistra succede che ci siano solo dispetti e promesse non mantenute, e poi arriva il giorno in cui ci si salva insieme.