Una notte del ’74 che non resta mai la stessa

by azione azione
15 Dicembre 2025

Romanzo-saggio in parte biografico, "La pazza di casa" di Rosa Montero invita a riflettere sulla scrittura

La pazza di casa di Rosa Montero, edito da Ponte alle Grazie con una postfazione di Mario Vargas Llosa, riprende la definizione che la santa Teresa D’Avila dà della fantasia, che sarebbe, secondo la mistica vissuta nel sedicesimo secolo, appunto, la pazza di casa. Rosa Montero, scrittrice e giornalista spagnola di chiara fama, decide di usare questa espressione come titolo per un testo che nel suo Paese è un best seller, in cui racconta attraverso aneddoti della sua vita personale e di quella di scrittrici e scrittori di ogni tempo perché alcune persone non possano fare a meno della letteratura.

In un’epoca come questa in cui da una parte la pubblicazione di libri è sempre in espansione e dall’altra la lettura risulta essere un’attività che fatica a tenere il passo, questo testo rappresenta una vera e propria oasi nel deserto. L’autrice mette infatti in chiaro come di fronte a uno di quei giochi che vengono definiti da pistola alla tempia, in cui bisogna, cioè, decidere fra due opzioni, nel caso specifico se non scrivere mai più una riga o non leggere mai più una riga, per la maggior parte degli autori non può esserci dubbio: senza leggere, non si vive. Montero ha poi ben chiaro quali siano le ragioni per cui si scrive e le caratteristiche fondanti che deve avere un buon romanzo: «La critica o un’onesta analisi dei rapporti di potere fa parte del nostro mestiere, così come costruire dei buoni mobili fa parte del mestiere del falegname».

La pazza di casa, però, non propone solo riflessioni relative alla vita e ai demoni degli scrittori e delle scrittrici, come li definisce Montero, che perseguitano coloro che non possono fare altro che raccontare delle storie per trovare un senso all’esistenza e provare a fuggire dalla morte. Nel romanzo torna in diverse varianti, per esempio, un episodio della sua vita privata: l’incontro con M., un attore hollywoodiano che Montero ha conosciuto nell’estate del 1974, a ventitré anni quindi, e con cui ha trascorso una notte d’amore o di follia, a seconda della versione proposta. Non scopriremo mai che cosa sia successo veramente, considerato che alla fine del suo libro, Montero decide di porre una citazione da Roland Barthes: «Ogni biografia è fittizia e ogni fiction è autobiografica». Quello che emerge attraverso questo gioco di ripetere la stessa storia in diversi punti e con esiti diversi, però, è chiaro: la passione amorosa, insieme alla follia, è un ingrediente fondamentale per scrivere narrativa.

È decisiva anche la libertà, secondo Montero, intesa come capacità di non essere preda dell’ambizione letteraria né dell’ossessione di trasformare il proprio testo in un prodotto di mercato. Del resto, secondo lei, chi è un buono scrittore, resterà tale, nonostante tutti gli sforzi che proverà a fare per costruire a tavolino un libro commerciale e chi invece non sa scrivere non lo imparerà mai davvero.

Insieme a una serie di aneddoti su Tolstoj, Rimbaud e altri autori di fama mondiale, ciò che rende interessante questo libro è anche la praticità con cui Montero racconta il mestiere della scrittura, sintesi complessa e talvolta estremamente dolorosa tra l’astrazione del pensiero e la materialità delle parole, fatte di lettere e suoni, di realtà: «Finché sono soltanto idee e progetti, i tuoi libri sono assolutamente meravigliosi, i libri migliori che siano mai stati scritti». È solo dopo, però, quando diventano reali e qualcuno decide di pubblicarli, che inizia la letteratura.