Tra potenti ci si intende

by azione azione
15 Dicembre 2025

A volte capita che la sindrome da pagina bianca si tramuti in uno «tsunami» di idee. Per questo numero della rubrica «Sport in Azione», ho pensato alle vicende di Lara Gut, colpita ancora una volta dal destino. Alla sua immagine si è sovrapposta quella di Jason Solari, il primo tiratore ticinese a laurearsi Miglior sportivo del Cantone. Mi sono anche detto «abbi pazienza, ci saranno di certo le medaglie di Noè Ponti da celebrare» (e infatti). Nel frattempo, alla Gottardo Arena, andava in scena la lotta intestina tra la Gioventù Biancoblù e la dirigenza dell’Ambrì-Piotta, con le tribune apparentemente schierate dalla parte di quest’ultima. Insomma, tra local e global, c’era da ubriacarsi. Poi, sugli schermi del pianeta, è apparso lui, Gianni Infantino, avvocato vallesano nato 55 anni fa a Briga da padre di origini calabresi e madre bresciana. Il 26 febbraio del 2016, Infantino ha ereditato l’impero FIFA che dal 1998 era dominato dal suo conterraneo Joseph Blatter con piglio da padre-padrone.

Dopo gli scandali di corruzione, farciti di dubbi, accuse, bugie, mezze verità e processi, si pensava con ottimismo al nuovo corso. Infantino è stato abile nel condurre la sua campagna-simpatia. Ha favorito l’utilizzo della tecnologia a supporto della classe arbitrale (VAR). Ha fornito impulsi al calcio femminile. Ha ampliato il raggio d’azione del calcio, creando il Campionato Mondiale per Club e allargando da 32 a 48 il numero delle partecipanti alla fase finale della Coppa del Mondo, favorendo una più ampia ridistribuzione delle risorse. La buona volontà non è mancata, nonostante talvolta abbia rischiato di essere un’arma a doppio taglio poiché, lo si sa, il troppo storpia.

Tuttavia, venerdì 5 dicembre, attorno alle nostre 19, in un solo minuto, a mio modo di vedere, Gianni Infantino ha inferto un duro colpo alla sua credibilità e a quella dell’Impero che dirige. Dalla prestigiosa sala del Kennedy Center di Washington, in mondovisione, dopo aver posto in secondo piano i presidenti dei due Paesi che affiancano gli Stati Uniti nell’organizzazione del Mondiale, Claudia Sheinbaum per il Messico e Mark Carney per il Canada, il numero Uno del calcio ha consegnato al numero Uno della Casa Bianca il premio FIFA per la pace. Motivazione: il presidente degli Stati Uniti ha compiuto azioni eccezionali e straordinarie per la pace e ha promosso unità e armonia a livello globale. Le reazioni, nei media tradizionali, e soprattutto nei social e secondo la «vox populi», sono state di stupore e di indignazione.

Si tratta di un premio nato dal nulla, improvvisamente, per volontà dello stesso Infantino, per rendere omaggio all’amico Donald Trump. Credo però che la loro amicizia avrebbe potuto tranquillamente essere celebrata durante una cena intima, impreziosita dalle migliori sfiziosità della terra e bagnata dai più prestigiosi nettari. Gianni Infantino, leader di una potenza che, tranne l’esercito, non ha nulla da invidiare agli USA, alla Cina e alla Russia, non aveva alcun bisogno di esternarla con un gesto così plateale e soprattutto così discutibile. È risaputo che durante il primo mandato di Trump, gli Stati Uniti hanno lanciato operazioni belliche contro obiettivi sensibili. Nello Yemen, nel 2017, durante un raid anti Al Qaeda furono uccisi dei civili. In Siria, lo stesso anno, furono lanciati 59 missili Tomahawk contro la base aerea di Skhirat. Nel 2018, con il supporto di Francia e Regno Unito, la furia statunitense colpì alcuni siti del governo siriano. A tutto ciò vanno aggiunti gli innumerevoli bombardamenti contro Siria e Iraq nel tentativo di scardinare la resistenza dello Stato Islamico (ISIS). Non entro nel merito della valutazione politica di questi atti. Non mi compete. Ma come uomo di sport mi sento di poter dire che, in un’epoca in cui si viaggia a nervi scoperti, l’attribuzione di un premio per la pace a Donald Trump, suona come una provocazione bruciante.

Alla sua rielezione, il tycoon newyorkese ha dichiarato che in pochi giorni avrebbe posto fine a sette delle guerre in atto sul pianeta. La faccenda è complessa e controversa e, dal punto di vista dello sportivo, preferisco lasciare ai lettori la valutazione delle sue iniziative.

Ma più volte, in questa rubrica, abbiamo ribadito l’ineluttabilità della commistione tra sport, politica ed economia. Ci sono già troppe ragioni che la impongono. Inventarsene un’altra, assolutamente non necessaria, non farà del bene né al calcio, né allo sport in genere.