L’ordine del caos secondo Trump

by azione azione
15 Dicembre 2025

La nuova, azzardata strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti ha lo scopo produrre un mondo di pace basato sulla forza della superpotenza americana. Che ruolo dovrebbero giocare Russia, Cina ed Unione europea

La svolta geopolitica proposta dall’amministrazione Trump equivale al tentativo di virare di 180 gradi una colossale portaerei in uno stretto braccio di mare. Se funzionerà, passerà alla storia come modello di rivoluzione strategica per i decenni o secoli a venire. Se non funzionerà, il già rapido declino della Nazione a stelle e strisce ne sarà accelerato, fino a metterne a rischio l’esistenza.

Americani contro americani

Il recente documento che illustra la nuova strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, nella versione pubblica come in quella secretata (per quanto ne è filtrato), disegna un obiettivo e esplicita i mezzi per raggiungerlo. Lo scopo della manovra è produrre un mondo di pace basato sulla forza della superpotenza americana, capace con i suoi partner di indurre le altre grandi potenze ad adattarsi a un equilibrio della potenza basato sulla spartizione del pianeta in sfere di influenza. Quella americana sarà l’Emisfero occidentale, alias Panamerica. Questo nuovo mondo sarà sancito dal battesimo di un G5: Stati Uniti, Cina, Russia, India e Giappone (in ordine di potenza). Molto più realistico dell’ormai inerte G7: il Canada secondo Trump deve essere annesso agli Usa (più realisticamente, connesso), Germania, Francia, Regno Unito e Italia fatti accomodare in seconda o terza fila.

Il tutto a partire da una diagnosi allarmistica sullo stato degli Stati Uniti: grave arretratezza dell’industria manifatturiera, rischio di insostenibilità del formidabile debito federale, ormai oltre i 38 mila miliardi di dollari, con relativo indebolimento del dollaro, al punto che si considera di rinunciare all’«esorbitante privilegio» (Valéry Giscard d’Estaing) della moneta di riserva mondiale nel quadro di un riassetto degli equilibri fra le divise più importanti, a cominciare dallo yuan renmimbi destinato prima o poi a internazionalizzarsi. Ancor più preoccupante la crisi delle legature sociali e morali, con fenditure nel corpo della Nazione al punto che molti americani non riconoscono più in altri americani dei connazionali: la faglia rosso/blu – repubblicani contro democratici – è culturale più che politica. Inoltre, la difesa del carattere bianco/anglogermanico/cristiano dell’americano «vero» implica stop all’immigrazione, certo non a costo zero – in termini economici (ad esempio, riduzione della mano d’opera disponibile, specie della bassa forza) e culturali (chiusura in sé stessa della «vera» America).

Il Trump Deal

L’ambizione del Trump Deal ricorda, quanto ad ambizioni, il New Deal rooseveltiano. Solo che Roosevelt si ritagliò un quindicennio per realizzarlo, mentre l’attuale presidente avrà al massimo altri tre anni, a meno di non reinterpretare la costituzione per conquistare un terzo, improbabile, mandato. Anzi, già le prossime elezioni di mezzo termine, fra meno di un anno, potrebbero sancirne la riduzione ad anatra molto zoppa. Considerando enormità dell’ambizione, condizione della Nazione e tempo a disposizione, onesti scommettitori potrebbero oggi tendere a investire sul fallimento della manovra.

Ricordiamo come si articola la nuova strategia, di cui in Europa si è data un’interpretazione spesso apocalittica. Il perno del ragionamento è «pace attraverso la forza». A cominciare da un accomodamento con la Cina che eviti una guerra nell’Indo-Pacifico che oggi gli Stati Uniti non sarebbero in grado di vincere. Questo significa concedere a Pechino una sua sfera d’influenza, vedremo quanto limitata: certo a Taiwan vengono i brividi pensando al rischio di essere lasciati da Washington nelle mani di Xi Jinping. E ai giapponesi diviene sempre più chiaro che se vogliono impedire la «riunificazione» della Cina devono prepararsi alla guerra, ma che se la provocassero difficilmente potrebbero contare sul sostegno americano.

A Taiwan vengono i brividi

Segue la Russia. Trump vuole chiudere subito la carneficina ucraina e stringere un patto di non aggressione (di fatto, non di diritto) con Putin. Di qui la promessa di non allargare la Nato, anzi di diluirla se non proprio abolirla. Dividendo così Mosca da Pechino, dopo averla spinta nelle sue braccia con il colpo di Stato del 2014 a Kiev, cui il Cremlino pensava di rispondere con il contro-colpo di Stato del 2022. Russia e America potranno stabilire rapporti di cooperazione in campo energetico e condividere la gestione della rotta dell’Artico, di cui si prevede la fruizione effettiva entro un ventennio.

Quanto all’Europa. Nato e Unione europea, due facce della stessa medaglia, ovvero dell’impero europeo dell’America costruito subito dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, sono obsolete. Il principio delle relazioni transatlantiche sarà l’accento sul bilaterale. Washington selezionerà i Paesi affidabili – tra i quali si citano oggi Polonia, Ungheria, Italia e Austria – in attesa che anche in Francia, Germania e Regno Unito prevalgano partiti e movimenti vicini al trumpismo. Obiettivo: una Internazionale dei nazionalismi, fondata sul motto: «Ognuno difende i propri interessi e non si intromette negli altrui» – naturalmente interpretabile a partire dai rapporti di forza. Questa visione del mondo si basa su allineamenti non su alleanze. Ci si può intendere con avversari e competitori su singoli dossier, pronti ad accordarsi con i loro avversari e competitori su altri temi. Questo è l’ordine del caos secondo Trump. Vedremo presto quanto caotico possa diventare questo ordine.