Il peso (e il valore) dei silenzi nell’intimità della famiglia 

by azione azione
15 Dicembre 2025

Il Leone d’oro "Father Mother Sister Brother" esplora le relazioni affettive e i piccoli segreti di casa con il tocco asciutto di Jarmusch

Jim Jarmusch è uno dei registi americani più amati degli ultimi decenni. Portabandiera fin dai primi anni Ottanta di un cinema indipendente che non era ancora diventato canone e moda, con titoli ormai di culto come Permanent Vacation o Più strano del Paradiso, ha alle spalle una carriera lunga, segnata dalla vicinanza alle avanguardie e al mondo musicale (importante la sua collaborazione con Neil Young). Sotto il segno dell’eclettismo, ha saputo passare dal western all’horror, anche se la commedia surreale e malinconica resta il suo tratto distintivo.

Con un po’ di humor amaro, tre storie famigliariin cui silenzi, segretie affetti lievitano tra Nord America, Irlanda e Parigi

Nel mese di settembre, Jarmusch è risultato vincitore un po’ inatteso del Leone d’oro dell’82esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, tra le polemiche di chi avrebbe voluto attribuire il premio maggiore al duro palestinese La voce di Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, destinatario invece del Leone d’argento.

Father Mother Sister Brother – che arriva nelle nostre sale come film di Natale a partire da giovedì 18 dicembre – è una commedia drammatica familiare, come può ben essere intuito dal titolo che riunisce tutti gli elementi di una famiglia tipo, mettendo in fila quelli dei tre episodi in cui è diviso, rispettivamente Father, poi Mother e insieme Sister Brother. Storie distinte, ambientate la prima nella provincia del nord-est degli Usa, la seconda in Irlanda e l’ultima a Parigi.

All’inizio, Jeff ed Emily (Adam Driver e Mayim Bialik), fratello e sorella quarantenni, viaggiano in auto per recarsi a trovare il padre Jeff (interpretato da Tom Waits) che vive isolato in una casa tra i boschi. L’anziano sembra tirare avanti in modo precario in un edificio malmesso, tanto che il figlio lo aiuta anche economicamente, ma forse l’uomo nasconde qualcosa.

Nella seconda storia, due sorelle raggiungono la madre nell’appartamento di Dublino per il loro appuntamento annuale, soltanto poche ore da trascorrere insieme davanti a un tè e qualche dolce: dopo tanto tempo lontane si intuisce che anche loro hanno dei segreti, soprattutto la minore Lilith (Vicky Krieps), la quale, pur essendo senza un quattrino, si sente costretta a fingere un tenore di vita che non ha. La maggiore, Tim, è interpretata da una quasi irriconoscibile Cate Blanchett, mentre la madre è affidata a un’impenetrabile Charlotte Rampling, sempre bravissima nello stare sul filo tra la freddezza e l’affetto, tra il sapere e il fare finta di nulla.

Infine, sorella e fratello, i gemelli afroamericani Skye e Billy (Indya Moore e Luka Sabbat) si trovano a Parigi dopo la morte dei genitori, avvenuta in un incomprensibile incidente aereo sulle Azzorre. Insieme vanno a visitare il vecchio appartamento di famiglia ormai svuotato e nel garage stipato di tutti gli oggetti, su cui dovranno decidere se disfarsene o conservarli.

Gli episodi sono all’insegna del minimalismo (in misura diversa fa ripensare a Patterson, sempre con Adam Driver), scritti e diretti in maniera asciutta e senza fronzoli. Il tema centrale è la famiglia nei suoi tanti aspetti, che Jarmusch ha saputo esplorare in diversi lavori precedenti (basti pensare a Broken Flowers del 2005), qui soprattutto affrontando questioni del passato rimaste irrisolte, in bilico tra la cattiveria e un tentativo di comprensione, anche se prevale un sincero volersi bene al di là dei limiti. Forse è questo calore, che si nasconde come un piccolo resto di brace sotto la cenere di una messa in scena geometrica e precisa, a distinguere il film da tante opere nichiliste, o quantomeno troppo disincantate, che affollano il panorama odierno. Jarmusch non è nuovo a trattare questi sentimenti, parla di incomunicabilità e affetti, segreti e piccole bugie, distanze e oggetti da conservare e tenere cari.

Le storie distinte sono legate in filigrana dal tocco del regista, tra battute che si ripetono, oggetti (i libri, le auto, gli orologi, le fotografie) che ritornano e il tormentone del brindisi senza alcol, bensì con acqua, tè o caffè.

Il cineasta si conferma a suo agio con la struttura episodica, come era pure Coffee and Cigarettes, l’unico suo precedentemente presentato a Venezia, nel 2003 fuori concorso, mentre quasi tutti i suoi lavori sono passati dal Festival di Cannes. Una pellicola natalizia un po’ sui generis, nella quale si ride e, soprattutto, si sorride un filo amaramente; una commedia che magari non sarà un grande film, ma è un bel tassello di una poetica personale e preziosa; un lavoro meno scontato di quanto possa sembrare.

Rispetto al suo solito, il rocker Jarmusch inserisce nella vicenda poche canzoni, ma belle e molto azzeccate (Spooky nelle due versioni di Annika Henderson e di Dusty Springfield e These Days ancora di Annika Henderson), come se volesse abbassare i toni e lasciar parlare i silenzi e i rumori di un film più raccolto e intimo. Un Leone che non alza la voce, ma ruggisce con le sue emozioni distillate.