Fantasma, quo vadis?

by azione azione
15 Dicembre 2025

Il Kunstmuseum di Basilea propone una ricognizione culturale nei meandri di un universo impalpabile 

Partendo da un’ampia ricognizione che intreccia storia dell’arte ed esoterismo, i curatori della mostra Ghosts (fantasmi) al Kunstmuseum di Basilea hanno evocato nelle sale del museo un corposo numero di presenze fantasmatiche con l’obiettivo di indagare la valenza metaforica di una figura che oggi non sembra più esercitare lo stesso fascino che ha esercitato in passato sulla cultura occidentale. A fronte di una documentazione ragguardevole dal punto di vista iconografico, la mostra fatica però a coinvolgere lo spettatore sul piano emozionale: nessun brivido di terrore lungo la schiena, nessun trasalimento come quello che potrebbe generare l’improvviso sbattere di un tavolino durante una seduta spiritica. E così, uscendo dalla prestigiosa istituzione museale basilese, ci si trova a riflettere sul fatto che quella del fantasma, in fondo, è una figura che ci è ormai sostanzialmente estranea.

Se nel tempo accelerato e schiacciato sul presente in cui viviamo non c’è spazio per il passato, figuriamoci se ce ne può essere per un passato che non intende passare e che vorrebbe tornare continuamente a visitarci. Così, mentre i venti di guerra soffiano sferzanti e minacciosi, le impalpabili ed eteree figure degli spettri sembrano essere state completamente spazzate via dall’immaginario collettivo, costretto, dal canto suo, a fare i conti con le montagne di cadaveri che dagli schermi di televisori, computer e telefonini tracimano quotidianamente nel nostro orizzonte visivo. Del resto, un secolo di esasperata e incessante evoluzione scientifica e tecnologica ha espulso sempre di più dalle nostre vite il regno del soprannaturale, e così, anche i fantasmi, con i loro lenzuoli bianchi ormai demodé rispetto ai piumoni imbottiti, sembrano aver fatto definitivamente il loro tempo.

William Blair Bruce, The Phantom Hunter 1888 (Art Gallery of Hamilton. Bruce Memorial, 1914)

Eppure, c’è stato un momento, tra i primi dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, in cui fantasmi, spettri, spiriti ed ectoplasmi erano ovunque. Spintisi oltre i territori tradizionali del folclore e delle leggende popolari, i fantasmi, agli albori del Romanticismo, hanno iniziato a colonizzare sempre più massicciamente i territori dell’arte e della letteratura, inoltrandosi fin dentro i confini del mondo scientifico. Di tutto questo la mostra rende conto in maniera ampia e documentata a partire dai dipinti di William Blake e Johann Heinrich Füssli, i cui fantasmi di origine letteraria sono ispirati ai drammi seicenteschi di William Shakespeare, così come le litografie di Eugène Delacroix di alcuni decenni dopo. Ma già dalla metà del Settecento, quindi in piena temperie illuminista, con Il castello di Otranto di Horace Walpole, la moda del romanzo gotico aveva reso popolari atmosfere ben più cupe e spettrali che segneranno profondamente il gusto dei decenni successivi.

Non è però solo in ambito letterario e pittorico che si aggiravano i fantasmi ottocenteschi. Intorno alla metà dell’Ottocento fu infatti l’allora nascente linguaggio fotografico, che permetteva di fissare su un supporto l’immaterialità evanescente dei fenomeni luminosi, a offrire a medium, spiritisti e scienziati dell’occulto lo strumento perfetto per cercare di dare finalmente visibilità al mondo del soprannaturale.

La credenza che la fotografia, in quanto impronta temporale di un evento, potesse dare un certificato di autenticità a tutto ciò che raffigurava, così come la convinzione che il procedimento fotografico permettesse di cogliere cose che l’occhio umano non era in grado di percepire, la resero il «medium» ideale dello spiritismo, l’unico in grado di mettere in collegamento il mondo dei vivi con quello dei morti, come testimonia con dovizia di esempi, spesso straordinari, il percorso espositivo. Quasi come una sorta di reazione al dilagante positivismo scientifico, le fotografie di fantasmi di autori quali Frederick Hudson, F. M. Parkes, John Beattie, Édouard Isidore Bugue, testimoniano l’emergere in quegli anni di un bisogno di soprannaturale, le cui manifestazioni, tuttavia, sottoposte alla prova dallo sperimentalismo scientifico, finirono quasi sempre per rivelarsi trucchi, mistificazioni e imbrogli.

Ma non è stata solo la scienza a combattere i fantasmi, a stanarli dal buio in cui si celavano e a rivelarne l’inconsistenza. Tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, a contrapporsi alle false rappresentazioni e agli inganni delle narrazioni ideologiche dominanti sono stati i tre grandi esponenti del pensiero critico, quelli che Paul Ricouer ha definito i «maestri del sospetto»: Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud. Strappando il lenzuolo che ricopriva le presenze spettrali che popolavano l’immaginario collettivo, questi tre autori hanno rivelato le forze nascoste, ma per nulla soprannaturali che plasmano la realtà, ovvero l’inconscio, la volontà di potenza e i conflitti di classe.

Da questo momento di spazio per i fantasmi veri e propri ce n’è stato sempre meno, mentre nei decenni successivi le creature soprannaturali sono state progressivamente sostituite da quelle extraterrestri. Nell’arte moderna e contemporanea i fantasmi hanno invece continuato a sopravvivere come figure metaforiche, anche se ormai depotenziate, della paura, dell’ignoto e del rimosso, oppure come citazioni più o meno ironiche o divertite legate all’iconografia tradizionale.

Tony Oursler, Fantasmino
2017 (Coll. of Tony Oursler, Image Court. of Tony Oursler; Photo: A. Guermani)

Sono questi i fantasmi che popolano soprattutto la seconda parte della mostra nella quale, a parte qualche eccezione (Max Ernst, Rene Magritte, Marcel Duchamp, Meret Oppenheim, Sigmar Polke e Mike Kelley) troviamo soprattutto opere realizzate negli ultimi trent’anni. Tra queste, due si impongono sulle altre. La prima è costituita dal maestoso fantasma di Katarina Fritsche sospeso sopra una pozza di sangue a dare corpo a una delle tante vittime di violenza del nostro tempo. Un fantasma che, come tutti i fantasmi, potrà placarsi e liberarci della sua inquietante presenza solo quando otterrà finalmente giustizia. La seconda, quella che è stata scelta come immagine simbolo della mostra, è il Fantasmino di Tony Oursler. Anche in questo caso l’artista gioca con l’iconografia tradizionale proponendoci una scultura di una minuscola creatura nascosta sotto un telo bianco bucato in prossimità degli occhi. Lo sguardo umano triste e melanconico di questo essere misterioso non è altro che un’immagine video riprodotta su uno schermo celato sotto il telo.

Chi lo sa, forse potrebbe essere molto simile a questo il fantasma dell’umanità? Quello che, in un futuro forse non più così improbabile, popolerà i sogni delle macchine.

Dove e quando
Geister. Dem Uebernatürlichen auf der Spur.
Basilea, Kunstmuseum (St. Alban-Graben 8); orari: ma-do 10.00–18.00; me 10.00-20.00; lu chiuso.
Fino all’8 marzo 2026.
kunstmuseumbasel.ch