La storia della nostra consapevolezza forestale

by azione azione
15 Dicembre 2025

Ambiente: quarant’anni di ricerca sui boschi a Sud delle Alpi – tra abete rosso e castagno - con l’ingegner Marco Conedera

Reduce da una benefica immersione nei riposanti colori del bosco autunnale mi sono posta la solita domanda, che si rincorre di passeggiata in passeggiata, di stagione in stagione: ma noi siamo consapevoli del valore del patrimonio forestale che ci circonda?

Invece di lasciarla lì a mezz’aria come sempre, questa volta la domanda l’ho lanciata in rete. È così che ho scoperto che l’Istituto federale di ricerca per la Foresta, la Neve e il Paesaggio (WSL) la domanda sulla percezione del «patrimonio bosco» da parte della popolazione svizzera se la pone da quasi trent’anni. E oggi siamo ormai alla terza edizione di questo monitoraggio socioculturale sulla consapevolezza delle molteplici funzioni della foresta: dalla protezione dai pericoli naturali alla produzione di ossigeno, da habitat vegetale e animale a fonte di benessere per gli umani (il dato della percezione del bosco come rifugio per fuggitivi dallo stress quotidiano è in costante crescita!).

La prima edizione della ricerca a tutto tondo sull’ormai riconosciuta importanza dell’organismo-bosco data del 1997. Venne quindi realizzata all’indomani della conclusione del Programma Sanasilva, lanciato dalla Confederazione all’inizio degli anni Ottanta in seguito all’allarme Waldsterben (morte delle foreste). Un programma nazionale fortemente mediatizzato, che accese i riflettori sulla salute del nostro patrimonio verde.

Sanasilva è stato il tema di uno dei miei primi articoli di politica nazionale da giovane giornalista e contemporaneamente è stato il primo incarico da ricercatore del neo-diplomato ingegnere forestale ETH Marco Conedera. Con l’ingegnere (oggi neo-pensionato) ci ritroviamo a sfogliare i rapporti sul deperimento delle foreste a Cadenazzo, nella sede che il gruppo di ricerca Ecosistemi Insubrici del WSL Sud delle Alpi condivide con Agroscope nella campagna del Piano di Magadino sopravvissuta all’espansione dei capannoni della logistica.

L’opuscolo sul Programma Sanasilva, pubblicato nel 1985 dall’Ufficio federale delle Foreste e della Protezione del Paesaggio unitamente all’allora Istituto Federale per le Ricerche Forestali (IFRF, oggi WSL) evidenziava l’urgenza di approfondire le conoscenze sui danni dell’inquinamento atmosferico sulla salute di boschi (oltre a quelli sugli umani…). «Verso la fine degli anni 70 – si legge nell’introduzione dell’opuscolo – esponenti del Servizio forestale cominciavano a segnalare dei danni al bosco inabituali e inspiegabili. Quando infine nel 1983 i sintomi della malattia come descritti in Germania si manifestarono anche sull’insieme del bosco svizzero, ed in particolare sull’abete rosso, era evidente la necessità di prendere delle contromisure. Sanasilva è uno di questi provvedimenti».

Conedera, traduttore dell’opuscolo e tra i primi incaricati di raccogliere dati a sud delle Alpi, ricorda la morte improvvisa del direttore dell’IFRF quando si recò in visita di studio nell’allora Cecoslovacchia: «Si trovava nei boschi attorno a una centrale a carbone e fu talmente impressionato dalla moria delle foreste circostanti che ebbe una crisi cardiaca!».

Il colpo al cuore del direttore fu l’ultimo di una serie di episodi (anche a livello politico) che scatenarono alla fine dell’estate 1983 l’«allarme Waldsterben».

Dotato di ingenti mezzi finanziari, il Programma Sanasilva ha prodotto due cicli quadriennali di ricerche confluite in rapporti, inventari, documenti e conferenze, orientando scientificamente anche la politica, intervenuta con provvedimenti incisivi sulle emissioni inquinanti del traffico stradale e degli impianti di riscaldamento. Esauritosi nel 1992 per lasciare spazio a nuove prospettive di ricerca, Sanasilva ha contribuito fortemente a sviluppare l’attenzione per la salute e la cura del bosco e ha lasciato una preziosa eredità alla Svizzera italiana: la Sottostazione a Sud delle Alpi del WSL.

La storia della Sottostazione, infatti, è indissolubilmente legata a Sanasilva e alla carriera dell’ingegner Conedera, che ce la racconta riordinando le ultime carte degli ultimi incarichi da archiviare prima di lasciare definitivamente la sua «creatura» al suo successore: il dottor Boris Pezzati. «L’allarme sul deperimento delle foreste degli anni Ottanta – spiega Conedera – proveniva dalla Germania e riguardava principalmente le conifere e l’abete rosso in particolare, componente importante dei boschi a nord delle Alpi. I rilievi effettuati a sud delle Alpi nell’ambito del primo Inventario forestale nazionale (che si svolgeva in contemporanea con il primo rilievo Sanasilva sullo stato di salute dei boschi) misero in evidenza (se ancora ce n’era bisogno) le peculiarità dei nostri boschi, che peraltro si erano già evidenziate negli anni precedenti con la diffusione del cancro del castagno. Le differenze storiche, culturali e climatiche, insomma, imponevano ricerche specifiche. Approfittando della presenza di una “antenna Sanasilva Sud”, le autorità federali decisero quindi di assecondare le ripetute richieste di aprire una Sottostazione del WSL nella Svizzera italiana (e parallelamente una in Romandia). A me venne quindi affidato l’incarico di elaborare un progetto per orientare la ricerca e la divulgazione scientifica miratamente alle caratteristiche del nostro territorio».

La Sottostazione a Sud delle Alpi dell’Istituto di ricerca per la Foresta la Neve e il Paesaggio (che per oltre un secolo aveva accentrato la sua attività a Birmensdorf) venne creata nel 1991 a Bellinzona, ospite della Sezione forestale dell’allora Dipartimento dell’Ambiente, con cui si era già consolidata la collaborazione. Alla nuova «filiale Sud» venne attribuito un organico di sette persone: oltre a Conedera, ne facevano parte l’ingegnere forestale Fulvio Giudici per la ricerca e la divulgazione scientifica e una squadra di forestali e selvicoltori (fra cui due apprendisti) per la cura della piantagione sperimentale di Copera, creata sopra a Sant’Antonino negli anni Sessanta, in seguito all’allarme per i danni del cancro del castagno.

«Già allora, infatti – ricorda l’ingegnere – l’impianto per il rimboschimento di Copera vantava una notorietà a livello europeo per lo studio di specie alternative al nostro castagno, che si temeva dovesse soccombere alla malattia. Le attività d’esordio della neonata Sottostazione si orientarono strategicamente sui temi di cui a sud delle Alpi già si poteva vantare una notevole esperienza grazie alle attività del Servizio forestale cantonale: il castagno, appunto, e gli incendi boschivi. Poi, di decennio in decennio, le ricerche si sono allargate all’evoluzione del paesaggio e ad emergenze quali l’arrivo di specie esotiche invasive e di nuovi parassiti e malattie, che hanno via via messo sotto pressione il bosco, evidenziando la delicatezza del suo equilibrio nel quadro della molteplice importanza delle sue funzioni».

Dal proliferare delle nuove specie alle conseguenze delle annate di siccità, in oltre 30 anni di attività di ricerca, il Gruppo ecosistemi insubrici del WSL ha quindi dovuto rispondere tempestivamente al susseguirsi delle nuove sfide, ma ha anche potuto consolidare il suo tradizionale e riconosciuto ruolo di «centro di competenza» sul castagno e sugli incendi boschivi.

«L’inventario dei castagni monumentali del Ticino e del Moesano, cui si è dedicato il mio collega Patrik Krebs già a partire dal 1999 – sottolinea Conedera – racconta una storia socioculturale del nostro territorio, che parte sì da rilievi botanici sul terreno, ma spazia poi nei campi dell’etnostoria, della frutticoltura di sussistenza e dell’alimentazione della civiltà contadina sudalpina». È una fotografia a futura memoria di oltre 300 esemplari di dimensioni straordinarie, il più antico dei quali precede addirittura la scoperta dell’America! Oggi, a 20 anni di distanza, quasi il 15 per cento di questi patriarchi sono già scomparsi. Sono il simbolo secolare del ciclo vitale dell’organismo bosco, che, come tutti gli organismi, ha anche bisogno di rinnovarsi.

«E la vorace selvaggina non è una condizione favorevole. Alle nostre latitudini sono soprattutto i cervi a compromettere lo sviluppo delle giovani piantine di molte specie fondamentali per poter far fronte ai cambiamenti climatici. Per proteggere la crescita delle nuove piantine attualmente non esistono alternative alle costose recinzioni: bisognerà studiare nuove soluzioni. Ma questa è la sfida di cui si occuperanno i miei successori» – conclude il neo-pensionato ingegnere. «Una sfida che necessariamente si dovrà affrontare con un gioco di squadra fra tutti gli attori coinvolti. Un’azione multidisciplinare – aggiunge – che si muove in perfetta sintonia con l’evoluzione della formazione degli ingegneri forestali al Politecnico di Zurigo, dove la denominazione della materia è passata in 40 anni da “Economia forestale” a “Scienza forestale” fino all’attuale “Scienze dell’ambiente e della natura”».