Secondo uno studio di Pro Senectute il 25% della popolazione anziana si sente sola, la percentuale cresce tra gli over 85
Le festività portano gioia ma a volte anche una buona dose di malinconia, soprattutto per chi si prepara a viverle da solo. Ma essere soli non è la stessa cosa di sentirsi soli e sentirsi soli può diventare una condizione di sofferenza, che mina la nostra salute psicofisica. In Svizzera la solitudine colpisce in particolar modo la fascia di popolazione anziana. Ad affermarlo è uno studio di Pro Senectute che evidenzia come ne soffra il 25% degli over 65 e la percentuale cresce al 37% se si prende in considerazione la fascia di età superiore agli 85 anni. Non è solo l’età ad avere un influsso, contano anche lo stato civile, il genere (sono più le donne ad esserne colpite) e le difficoltà finanziarie. Sul tema abbiamo intervistato Francesca Ravera, psicologa e responsabile del Servizio promozione qualità di vita di Pro Senectute Ticino e Moesano.
Francesca Ravera, quando la solitudine diventa un problema e quanto colpisce la fascia di popolazione anziana nel nostro Paese?
La solitudine non è solo essere soli ma è sentirsi soli. È una situazione che non si cerca, come invece può capitare a persone che vivono sole con grande serenità, ed è uno stato di sofferenza strettamente collegato all’isolamento sociale e contraddistinto da mancanza di iniziativa, da sentimenti di tristezza e nostalgia. È un’esperienza soggettiva, fatta di mancanza di contatto, di ascolto, di reciprocità. Tant’è che una domanda che poniamo per comprendere se una persona si sente sola è: «In una situazione di difficoltà ha qualcuno da chiamare?». Se la risposta è negativa per noi è un indicatore chiaro.In Svizzera un anziano su quattro dichiara di sentirsi solo, sono cifre che si basano su dichiarazioni spontanee. Dal mio osservatorio dunque potrebbe essere anche una stima al ribasso.
Quali sono le caratteristiche della solitudine nell’età anziana? E quali sono le sue conseguenze?
Nella persona anziana la solitudine ha un impatto molto importante sulla salute e sulla qualità di vita. Al riguardo ci sono molte ricerche che evidenziano come chi soffre di solitudine abbia un maggiore rischio di depressione, di ansia, un declino cognitivo più rapido, un peggioramento della qualità del sonno. Sentirsi soli porta la persona ad avere un atteggiamento di negligenza verso sé dal punto di vista psicofisico, quindi un «lasciarsi andare» sia nel corpo sia nella mente. La solitudine, inoltre, riduce la fiducia in se stessi e negli altri perché con meno partecipazione sociale è come se si perdesse di esperienza. La solitudine, infine, porta alla perdita del senso di progettualità, non si riesce più a immaginarsi in un futuro. Come se la solitudine mettesse fra parentesi la vita di una persona, la sospendesse, lasciandola senza stimoli esterni e interni.
Quanto influisce sul sentimento di solitudine non essere più autonomi?
Meno la persona è autodeterminata, meno si sente protagonista della sua vita, più la sensazione di solitudine e di non riuscire a fare delle scelte per sé aumenta. Si può sviluppare un sentimento di inutilità nei confronti dell’altro o di dipendenza, che può portare la persona a ritirarsi piano piano e a non chiedere più niente. È però vero che una buona rete di aiuti riesce a intercettare la situazione di solitudine prima che questa diventi veramente problematica e crei dei danni irreversibili e un ulteriore peggioramento della salute.
Vedovi, single, divorziati sono più esposti alla solitudine?
Le contingenze della vita hanno ovviamente un influsso, penso ad esempio alla vedovanza. Ma sono importanti soprattutto gli aspetti legati a come le persone vivono l’anzianità. È questo il fattore che veramente discrimina fra le persone che riescono a vivere una socialità soddisfacente e quelle che subiscono la solitudine. Ad esempio chi ha dei pregiudizi sull’essere anziano (e a volte sono gli anziani stessi!) è come se interiorizzasse delle idee negative sull’invecchiamento: non valgo più come prima, non sono più capace, non posso permettermi di fare questa scelta alla mia età, ecc. Queste sono convinzioni che ostacolano la socialità. Mentre frequentare dei corsi (dallo sport all’alfabetizzazione digitale) perché ci si sente ancora capaci, ancora competenti, permette alla persona di costruire nuovi legami, nuove amicizie, avere momenti in cui non si è soli. Ognuno poi è libero di scegliere il livello e l’intensità della propria socialità, ma certamente stare chiusi in casa senza nessuno aumenta tantissimo non solo il sentimento di solitudine ma anche la sensazione di non poter far niente per alleviare questa sofferenza. E a volte in realtà basta poco, come uscire la mattina e andare a bere il caffè al centro diurno.
Dal suo punto di vista quali sono le buone pratiche o gli aiuti più efficaci per combattere la solitudine delle persone anziane?
Finora si è rivelato efficace avere la capacità e la sensibilità di percepire o di intercettare una situazione di solitudine dietro ad altre domande o richieste che non riguardano esplicitamente la solitudine stessa. Ad esempio l’assistente sociale che al momento della richiesta di un contributo per comprare l’apparecchio acustico parlando con la persona anziana si rende conto che è molto sola e che vive la solitudine come uno stato di angoscia. Da quel piccolo «aggancio» è come se si ricavasse un’altra storia. Oppure l’operatore che consegna i pasti a domicilio che coglie una frase o un momento di tristezza. Partiamo dal piccolo bisogno dell’apparecchio acustico o dal breve cenno fino ad arrivare fare un intervento a 360° per promuovere la qualità di vita della persona. Ovviamente sono più a rischio le persone più fragili che per tanti motivi non chiedono direttamente aiuto e non escono dal proprio stato di isolamento. In questi casi è la rete sociale che deve essere capace di leggere gli indicatori, come la trasandatezza di sé e della casa o l’isolamento. L’ideale è riuscire a far ritrovare nella socialità una motivazione di benessere, nel rispetto chiaramente della scelta personale di ognuno.
Ci sono modi per prevenire la solitudine?
In effetti ci sono dei momenti critici delicatissimi che andrebbero curati sia individualmente sia come società: sono i momenti di passaggio, come può essere il pensionamento. Sono queste le circostanze in cui piantare dei semi che possono far crescere delle piante di positività, di legami sociali, di interessi. Bisognerebbe che alcune fasi di transizione fossero ben curate, occupandosi di sé in modo da non avere quella convinzione che «ormai tutto è perso». E questo ha a che fare anche con il cercare di contrastare, come dicevo prima, tutti quei pregiudizi e quelle idee negative sull’invecchiamento, che spesso è proprio la persona anziana ad avere su di sé. È necessario continuare a sensibilizzare la società sul fatto che la persona anziana non solo ha tutti i diritti ma ha anche tutte le capacità e le possibilità per reinventarsi. Non si pensa mai, ad esempio, che un anziano possa rifarsi una vita, possa innamorarsi. Eppure poche settimane fa con Pro Senectute abbiamo organizzato una sorta di Speed date, in cui ci si iscriveva proprio per conoscere persone nuove. È stato molto bello raccogliere la testimonianza di donne e uomini soli, ognuno con la sua storia, che sentono questo slancio, che ammettono come la solitudine possa essere pesante, riconoscendo che sarebbe bello trovare una persona, un compagno di vita o una compagna di vita. È chiaro che se si coltiva il pregiudizio che a una certa età l’aspetto affettivo e relazionale è finito, si coltiva anche l’impossibilità di creare nuove relazioni. Se invece crediamo che le persone continuino ad aver bisogno della relazione e a godere delle relazioni, che l’uomo è un animale sociale da quando nasce fino a quando muore allora si troveranno degli strumenti per proporre eventi e partecipare a eventi senza aver paura di far troppo o far male.
