La Pinacoteca Züst di Rancate dedica una mostra ai complementi di moda tra Ottocento e Novecento
Nell’Ottocento, definito il «secolo della borghesia» per l’influenza che questo ceto ha nel plasmare la mentalità e lo stile di vita della società, l’abito affida più che mai agli accessori il compito di mantenere ed esibire le differenze tra le classi. Cappelli, bastoni, borse, scarpe, guanti, fazzoletti, parasole e ventagli, a dispetto di come vengono chiamati a quel tempo, «petits rien», «piccoli nonnulla», sono in realtà capaci di fare davvero la differenza, diventando segni distintivi che mettono in evidenza l’unicità di chi li indossa.
Testimoni delle tendenze dell’epoca, questi oggetti d’uso quotidiano, spesso di altissima qualità artigianale, parlano un linguaggio silenzioso che comunica immediatamente lo status e l’appartenenza sociale dei loro possessori. Non stupisce dunque che siano veri e propri must haves a cui le classi più abbienti non possono proprio rinunciare, forse messe in guardia dal prosaico monito del drammaturgo francese Honoré de Balzac, per il quale «la trascuratezza nel vestire è un suicidio morale», o forse attratte dalla concezione più poetica che degli accessori ha lo scrittore Charles Baudelaire: non semplici appendici, ma elementi essenziali che si fondono con la personalità di chi li sfoggia e che permettono di definire un ideale di bellezza contingente e insieme universale.
L’evoluzione di questi preziosi manufatti tra il 1830 e il 1930 è raccontata dalla mostra allestita alla Pinacoteca Züst di Rancate grazie al felice accostamento tra gli oggetti reali e la loro rappresentazione artistica, in un excursus tra moda, arte, storia e costume a cui l’istituzione ticinese non è nuova. Gli accessori realizzati in fogge ricercate e in materiali raffinati dialogano così con sculture e dipinti coevi, dando vita a un affascinante raffronto che ci consente di comprendere il gusto del tempo e di rivivere un’epoca caratterizzata dall’amore per il bello, in cui la ricerca di un’eleganza quotidiana è inseguita sia da coloro che con maestria concepiscono e confezionano questi complementi sia da coloro che li acquistano ed esibiscono con orgoglio.
Il re di questi accessori è sicuramente il cappello, che nell’Ottocento trova il suo modello maschile più in voga nel cilindro, copricapo da giorno, emblema della rispettabilità borghese, divenuto in breve tempo oggetto del desiderio anche delle altre classi sociali (che spesso lo comprano usato), come testimonia il dipinto Spazzacamino, datato 1883, di Spartaco Vela. I cappelli femminili, molto più esuberanti e fantasiosi (bello, tra quelli esposti, un esemplare in velluto di seta realizzato con piume di struzzo e di uccelli del paradiso), sorprendono invece per la varietà delle fatture: ci sono tamburelli, toques, copricapi a falde larghe e, soprattutto, la capote, modello che troviamo indossato dalle signore non più giovanissime nella tela del pittore Michele Tedesco intitolata Una ricreazione alle Cascine di Firenze, del 1863, vero e proprio compendio di tutti gli accessori che una donna nella metà dell’Ottocento non può non possedere.
Indispensabile nel guardaroba maschile, così come in quello femminile, dove è presente almeno fino agli inizi del XIX secolo prima di essere soppiantato dal parasole, è il bastone da passeggio. Realizzati in legni pregiati e in materiali preziosi, questi manufatti sono a volte sorprendenti capolavori dell’arte applicata. Delizioso, in rassegna, il bastone appartenente alla collezione di Luciano Cattaneo con l’impugnatura in avorio scolpita a forma di gatto che tiene un topolino tra gli artigli. Ingegnosi, poi, quelli accessoriati, chiamati «a sistema», che possono contenere il necessario per cucire o dipingere, come quello esposto a Rancate dotato di piccoli vani interni per custodire pennelli e colori. Quanto il parasole sia un oggetto d’obbligo per le donne dell’Ottocento, utile per preservare quel candore di viso e mani che è sinonimo di distinzione, è testimoniato dai tanti modelli presenti in mostra, confezionati con manici e puntali in avorio, corallo o legno, e con cupole in seta, lino o cotone finemente decorate.
Altro capo d’abbigliamento fondamentale è il guanto. Nel XIX secolo non si è un gentiluomo alla moda se non se ne indossano più paia al giorno, a seconda dell’occasione, e non si è una donna rispettabile se, nel pieno ossequio dell’etichetta del tempo, non lo si calza ovunque fuori casa e categoricamente non più di due volte in tutto, per il piacere delle cameriere che lo ricevono poi in dono.
La mano guantata di uomini e donne dell’Ottocento fa spesso sventolare raffinati ventagli, dapprima di piccole dimensioni, in seguito a pagina più ampia, realizzati con materiali preziosi, come la seta e il tulle, o meno pregiati, come la carta. Di questo complemento, divenuto nel tempo accessibile a molti, sono presenti in mostra alcuni esemplari, tra cui quello in piume di struzzo bianco appartenuto alla contessa Maraini.
Sebbene a lungo «vittima» delle ampie vesti femminili con tasche profonde che rendono vano il suo utilizzo, la borsa fa la sua comparsa nel XIX secolo in modelli piatti e di piccole dimensioni, comodi per riporvi fazzoletti, ventagli e portamonete. È solo a partire dai primi decenni del Novecento, però, con l’avvento di abiti dalla linea più semplice, che viene finalmente considerata dalle donne un oggetto indispensabile, come documentato nell’esposizione dai preziosi esemplari da sera in maglia d’argento provenienti da storiche famiglie luganesi.
Non possono poi mancare, ovviamente, le scarpe, che nell’Ottocento vedono trionfare in un primo momento le ballerine e a seguire lo stivaletto, quest’ultimo indossato da donne e uomini in ogni occasione. Tale accessorio, al pari della borsa, acquista un’importanza maggiore con il mutare della moda, grazie a gonne dagli orli sempre più corti che lasciano scoperta la calzatura.
Nell’accattivante intreccio tra moda e arte che la mostra rancatese propone c’è anche spazio per due interessanti focus che indagano gli aspetti legati alla produzione e alla commercializzazione di alcuni dei manufatti esposti.
Il primo è dedicato alla confezione di cappelli, borse e cestini di paglia nella valle Onsernone, uno dei territori ticinesi più appartati che custodisce una storia artigianale davvero unica. Qui, infatti, dal Cinquecento alla fine dell’Ottocento, l’attività della lavorazione della paglia, gestita come un vero e proprio sistema industriale, ha dato vita a un centro produttivo di rilevanza internazionale i cui manufatti sono stati esportati in Italia, Francia, Germania e nelle Americhe.
Il secondo approfondimento interessa la produzione e la vendita di copricapi e borse in Ticino, con particolare attenzione all’attività di alcuni negozi e cappellifici presenti nei principali centri urbani del territorio. Fotografie, attrezzi da lavoro, documenti originali e oggetti provenienti direttamente dagli eredi delle famiglie del commercio del Cantone – tra cui i Fumagalli, i Patuzzi, i Poggioli e i Poretti – raccontano la storia di un successo ottenuto con impegno, lungimiranza e creatività.
A chiudere la rassegna in maniera efficace è una piccola sezione che omaggia la figura della stilista luganese Elsa Barberis, self-made woman che, a partire dagli anni Trenta del Novecento, con estro e intraprendenza, crea una linea innovativa di capi femminili eleganti ma allo stesso tempo pratici e disinvolti. Autodidatta e profondamente legata alle proprie radici, tanto da dare ai suoi abiti i nomi di città e villaggi ticinesi, Barberis arriva a conquistare una clientela internazionale grazie a uno stile pensato per la donna moderna. Una donna indipendente e consapevole delle proprie capacità che lei stessa ha rappresentato in maniera esemplare.
