L’estate mancata di Rainer Maria Rilke

by azione azione
8 Dicembre 2025

A centocinquant’anni dalla sua comparsa, resta l’eco del poeta apolide che cercò una patriadell’anima e un’estate per l’arte

Il 4 dicembre 1875, 150 anni or sono, nasceva a Praga Rainer Maria Rilke, considerato oggi il maggior poeta in lingua tedesca del Ventesimo secolo, che negli ultimi anni della sua tormentata vita scelse la Svizzera quale terra di elezione.

Lirico, prosatore, accanito epistolografo, Rilke fu anzitutto uno spirito in secessione dalle forme d’arte tradizionali, in urto con il classicismo nella ricerca formale di un espressionismo simbolista: ma fu anche in secessione dal Dio dei cattolici, privo di una Patria, dopo il crollo dell’Impero austro-ungarico. Per questo, per tutta la sua esistenza, fu un apolide, continuamente errante da una parte all’altra dell’Europa, fino all’Africa, alla ricerca non di un maschile e marziale Vaterland, quanto piuttosto di un’Heimat, una casa comune a immagine dell’anima femminile.

Sarebbe rimasto uno spiantato, se a soccorrerlo non fossero state quelle favolose donne che gli regalarono il calore del loro spirito, i denari per poter inseguire l’impetuosa vena creativa, e, non ultima, una dimora in cui posare il capo. Ecco perché in Rilke noi vediamo, oggi, forse l’ultimo homme de lettres che abbia giganteggiato nel nostro paesaggio contemporaneo, così arido di figure totalmente generose e dedite solo alla crescita dell’arte come ideale e fine ultimo.

«L’artista rappresenta l’eternità che si addentra nel tempo», scrive nel Diario fiorentino, vergato nel 1898, al tempo del suo viaggio giovanile nella Capitale del Rinascimento, che fu a tutti gli effetti un itinerario di iniziazione alla sua poetica, un testo programmatico che costituisce il bozzolo da cui si sviluppò una delle più ricche e fertili liriche del secolo scorso, di una musicalità melanconica ispirata a una nuova mistica cosmica, panteistica, che è stata troppo spesso associata al decadentismo. Ed è al Florenze Tagebuch, reso possibile, cioè finanziato, da una delle sue più grandi protettrici mecenatesche, amanti, muse e madri, Lou Salomé, che noi attingiamo per scoprire il mistero di quest’anima dominata dall’oscuro senso del dolore della vita.

Nella sua concezione filosofica, influenzata da Nietzsche e Schopenhauer, le cose non esistono se non come rappresentazione soggettiva, per il significato di cui si connotano alla luce delle nostre esperienze. E l’opera d’arte è un sistema chiuso, inaccessibile, oggi diremmo autoreferenziale, ma che contiene un tesoro di inestimabile consolazione in quanto riflesso del patimento e della gioia dell’elemento umano.

Già profondamente calato nelle avanguardie culturali europee, a cavallo tra Otto e Novecento, fu attratto dall’opera scultorea e pittorica di Auguste Rodin, tanto da fungerne, per alcuni anni, da segretario.

Tra i capisaldi etici e filosofici di Rilke vi è la convinzione che l’arte italiana del Rinascimento abbia rappresentato, metaforicamente, la primavera di un geniale slancio creativo che non ebbe sviluppo successivo in un’attesa estate. L’ansia della vaticinata compiutezza si avverte chiaramente nelle riflessioni del Diario fiorentino, laddove indica: «Forse non sono ancora destinato a vedere l’estate che sono sicuro verrà. Forse anch’io possiedo solo forza per la primavera, nonostante tutto. Ma possiedo coraggio per l’estate e la fede della beatitudine. Anche quelli del Rinascimento possedettero una forza crescente, che voleva essere quasi estate: Michelangelo crebbe. Raffaello rimase in fiore. Ma non seguì alcun frutto: era giugno, un caldo, chiaro giugno temporalesco».

Al tema dell’incompiuta esplosione primaverile, si sovrappone un altro concetto, interessante, che l’autore esprime. Le Madonne del Botticelli avvertono quasi l’umiliazione del loro essere state risparmiate da una vera maternità, per la loro natura di vergini, consapevoli di non maturare mai come madri. Ecco che il senso del mancato avvento dell’estate dell’arte si lega alla cristallizzazione di un genere figurativo che non contempla la piena realizzazione della vocazione universale della donna a una maternità naturale, non verginale.

Scrive Rilke, nel saggio Sull’arte (Über Kunst), anch’esso del 1898: «Questa fu la primavera. Dopo non seguì nessuna estate; e se hanno ragione coloro che reputano irrecuperabile quel Rinascimento, forse il nostro tempo potrà dare inizio all’estate che appartiene a quella lontana e solenne primavera, portando lentamente a frutto quanto allora si realizzò in candidi fiori».

E, di rimando, nel Diario fiorentino: «Le madri, certo, sono come gli artisti. Il travaglio dell’artista è quello di trovare se stesso, la donna si adempie nel figlio. E quello che l’artista trae a pezzi fuori da sé, la donna solleva dal suo grembo come un mondo pieno di forze e di possibilità. Il cammino della donna è diretto sempre verso il figlio, prima della maternità e dopo. Appena comprende se stessa, trae la sua meta fuori di sé e la pone in mezzo alla vita. Perché il suo sentiero deve condurre alla vita».

Il grande poeta vedeva nel movimento della Secessione viennese e nei fermenti analoghi che prendevano forma a Monaco, forse un’anticipazione di quella svolta estiva dell’arte da lui tanto agognata come una prefigurazione idealistica. Nel 1919, Rilke lasciò definitivamente la Germania, emigrando tra varie località elvetiche, da Losanna a Ginevra, da Locarno a Brissago, a Zurigo, a Muzot, nel Vallese.

L’autore di Elegie duinesi e di Sonetti a Orfeo, patì sempre la precarietà economica. Privo di casa, di beni, di ufficio, di onori, nel 1915, apprese che gli oggetti contenuti nei suoi alloggi di Parigi erano stati messi all’asta. Nel 1921, fece chiudere la sua dimora di Monaco, che rischiava di essere sequestrata, per salvare i propri documenti, trasferiti a Lipsia. Il 26 aprile 1926, i beni di Rilke, oggetto del sequestro a Parigi, tornarono nella sua disponibilità e riuscì a metterli in salvo grazie all’aiuto di André Gide, che li nascose nei sotterranei dell’editrice Gallimard.

Intanto, durante il 1923, le condizioni di salute del poeta cominciarono a peggiorare, tanto da rendere necessari i primi ricoveri ospedalieri. Sofferente di dolori intestinali, fu in cura dal dottor Hämmerli. Il decorso della sua malattia divenne spaventosamente drammatico, nel corso del 1926. Alcuni medici di Zurigo, consultati da Rilke, esclusero si trattasse di tumore, come temeva il letterato. Verso la fine di novembre di quel 1926, la «bestia» che gli divorava il corpo ebbe finalmente un nome: leucemia acuta.

Si spense il 29 dicembre successivo, a soli 51 anni, per essere sepolto nel piccolo cimitero di Raron, nel Vallese.