A quattrocento anni dalla morte permane il mistero sul più importante umanista del Rinascimento inglese
Un fantasma si aggira per l’Europa e oltre. È quello di Giovanni o John Florio (1552-1625), linguista, traduttore, precettore, personaggio di spicco del Rinascimento inglese, contemporaneo di Shakespeare, italiano d’origine e in parte svizzero di formazione. Si celebrano quest’anno, piuttosto in sordina, i quattrocento anni dalla morte, ma il suo nome è noto soprattutto tra gli studiosi e gli appassionati di quella fragorosa temperie culturale che fu l’età elisabettiana.
Nessuna popolarità per John Florio, anche se resta l’autore di molte opere significative ed ebbe una vita a dir poco romanzesca. Giovanni era figlio di Michelangelo Florio, fiorentino di famiglia ebraica, convertito al protestantesimo che, per fuggire dalla condanna a morte per eresia, fu costretto ad andare esule prima in Inghilterra, dove nacque John dall’unione con una donna rimasta ignota, poi a Strasburgo dove conobbe Federico di Salis, membro di una potente famiglia della Val Bregaglia, che gli propose di sostituire nel ministero il defunto pastore di Soglio, così la famiglia Florio arrivò nel villaggio dei Grigioni il 27 maggio 1554.
Lì, tra montagne innevate e lunghe sere invernali, il bambino Giovanni trascorre la prima e la seconda infanzia, educato fino ai dodici anni dal padre, che a Soglio svolge anche attività notarile e che al figlio trasmette la conoscenza di numerose lingue, tra cui l’italiano, l’inglese, il francese, il latino e l’ebraico, poi lo spedisce a studiare a Tubinga, dove ha come tutore Pietro Paolo Vergerio, uomo di grande cultura e teologo, anche lui passato dal cattolicesimo al protestantesimo.
Nel 1571 John torna nella natia Londra e qui dalla professione di tintore, che esercita inizialmente, passerà a occupazioni tipiche dell’umanista del tempo, pubblicando il suo primo libro, First Fruits, sorta di manuale per inglesi colti appassionati di lingua italiana. Qui troviamo dediche di attori della compagnia dei Leicester’s Men, che rivelano il vivo rapporto di Florio con il teatro del suo tempo.
Importantissimo fu per lui l’incontro con Giordano Bruno, conosciuto all’ambasciata francese di Londra, dove John lavorò tra il 1583 e il 1585 con incarichi di precettore, ma anche di segretario, rappresentante legale dell’ambasciatore e perfino di spia per Elisabetta I. Dell’amicizia con l’umanista anglo-italiano si ha traccia nelle opere di Bruno, in particolare ne La cena delle ceneri e in De la causa, principio et uno, mentre Florio lo ritrasse nei Second Fruits, usciti nel 1591, dove si definisce Italus ore, Anglus pectore ovvero «Italiano di lingua, Inglese nel cuore».
In quegli anni John è riconosciuto come una delle menti più brillanti del suo tempo: viene assunto come tutore personale del conte di Southampton e collabora alla traduzione dell’Orlando furioso. Pubblica poi il dizionario A world of words (Un mondo di parole), per rendere accessibile ai non italofoni lo studio dei classici della letteratura italiana.
Nel 1603 esce la sua celebre traduzione dei Saggi di Montaigne, che tanto rilievo ebbero nella cultura del tempo e nell’opera di Shakespeare. Apprezzato dalla regina Anna di Danimarca consorte di Giacomo I, fu maestro di italiano e francese e fece da precettore ai loro due figli. A lei dedicò la seconda versione del suo dizionario, che conteneva 70mila parole italiane e 150mila termini inglesi. Prima di morire di peste a Fulham, dove si era ritirato dopo la morte della regina Anna, collaborò alla traduzione del Decameron del Boccaccio.
Una vita avventurosa e densa la sua, costellata di intrighi e incontri ad altissimo livello politico e intellettuale. Ma ciò che più colpisce della sua sfaccettata personalità è il rapporto con William Shakespeare, sulla cui identità moltissimo si è discusso e si discuterà ancora. John Florio è infatti uno dei molti nomi, e dei più accreditati negli ultimi decenni, proposti come autore delle opere di Shakespeare. Espressioni, proverbi, neologismi, strutture linguistiche riferite da Florio nelle sue opere vengono utilizzate da Shakespeare nei suoi lavori e alcuni studiosi rilevano il coinvolgimento di Florio nella stesura del First Folio, prima edizione delle opere shakespeariane, pubblicate postume nel 1623. Poi c’è quella prima descrizione del giovane Shakespeare fatta da Robert Greene in un suo scritto del 1592, che lo definisce, tra l’altro, un «corvo venuto dal basso» e un «Johannes factotum», laddove «Johannes» starebbe appunto per Giovanni (Florio) «tuttofare», in quanto ebbe incarichi di varia natura presso la corte.
La discussione è aperta e affascinante. Studiosi italiani e della Val Bregaglia sono convinti che John Florio e William Shakespeare siano la stessa persona. Dal 2018 è in vigore a Soglio un piccolo festival annuale dedicato all’illustre residente di un tempo, dal titolo «Florio vive» (www.florio-soglio.ch), che comprende conferenze, spettacoli, concerti. Quest’anno è tornata a tenere una conferenza di aggiornamento una delle più tenaci studiose di John Florio, la dottoranda Marianna Iannaccone, autrice del volume Resolute John Florio all’ambasciata francese, alla quale spetta il merito di aver ritrovato alla British Library la copia personale della Divina Commedia posseduta da Florio.
Per i primi mesi del 2026 si prepara a Roma un convegno internazionale a lui dedicato, promosso dal Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile, convegno di cui è responsabile Anna De Majo, già assistente ordinaria di antropologia all’Università La Sapienza di Roma. Dal 1963 esiste un premio biennale a lui intitolato, sponsorizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra e da Arts Council England, e assegnato dalla Society of Authors, per la miglior traduzione inglese di un’opera italiana di valore letterario. Ma, che lo si creda o no l’autore delle opere di Shakespeare, il nome di Giovanni o John Florio rimane un mistero non ancora scandagliato fino in fondo nelle sue innumerevoli possibilità .
