«Il bene comune sacrificato alla finanza»

by azione azione
1 Dicembre 2025

Con Sergio Rossi parliamo anche di criptovalute e della Banca dei regolamenti internazionali con sede a Basilea

Il disordine economico imperante, i «manuali sbagliati» seguiti dalle banche nazionali e le lezioni da trarre dalla crisi del Credit Suisse. Di questo avevamo parlato su «Azione» del 17 novembre scorso con Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friburgo che sarà ospite di un ciclo di conferenze al Liceo di Lugano 2 (vedi www.lilu2.ch). Torniamo ad interrogarlo oggi, su altre questioni che plasmano non solo i mercati ma la società intera.

Qual è, professore, il rischio di affidare troppo potere alla finanza a scapito dello Stato?

La finanza di mercato è orientata a massimizzare i profitti delle istituzioni finanziarie a breve termine, a discapito del bene comune. Si ignora così l’interesse generale in molti obiettivi socio economici come piena occupazione, stabilità finanziaria, equa distribuzione di reddito e ricchezza, contrasto ai cambiamenti climatici e correzione degli squilibri dei conti pubblici generati dalla finanziarizzazione dell’economia, causa anche dell’aumento degli interessi che lo Stato deve versare alle banche sul debito accumulato in questo modo. Anche la gestione manageriale dei conti pubblici è improntata a soddisfare la finanza di mercato prima dell’interesse generale e questo si ripercuote negativamente sugli investimenti statali, danneggiando soprattutto le generazioni future, ossia i giovani, tanto nel mercato del lavoro quanto riguardo alle conseguenze sociali e climatiche assolutamente dannose per loro. Il pensiero dominante ha privatizzato lo Stato – oltre a mercificare la salute e le persone che lavorano – per un mero tornaconto personale dei gruppi di potere politico-finanziari.

Può spiegare il «paradosso della ricchezza» in parole semplici?

Si tratta di un paradosso evidenziato da John Maynard Keynes negli anni Trenta del secolo scorso, durante la Grande depressione. Se lo Stato incentiva fiscalmente i suoi contribuenti a risparmiare maggiormente, ciascuno di essi avrà in fin dei conti minori risparmi, perché tale incentivo rallenta l’attività nell’insieme dell’economia, che così produrrà minor reddito nazionale. Ci sarà dunque un aumento della disoccupazione e perciò un calo del potere di acquisto della popolazione, i cui risparmi diminuiranno a danno di tutta la collettività. Questo paradosso può anche scaturire da una scelta delle economie domestiche che, di fronte alle grandi incertezze del futuro, riducono le loro spese per accantonare maggiori risparmi da usare in caso di necessità. Se tutti fanno così, però, le aziende avranno un crollo notevole della loro cifra d’affari e ridurranno perciò gli stipendi o l’occupazione, generando un calo del reddito nazionale, dunque anche dei risparmi nell’insieme dell’economia. Ciò che vale per un singolo soggetto economico, in realtà, non sempre vale per il sistema economico nel suo insieme. Ci sono delle leggi di ordine macroeconomico che la microeconomia ignora a scapito dell’intero sistema economico.

Come valuta l’impatto delle criptovalute e della digitalizzazione monetaria sul sistema economico?

Le criptovalute, generalmente, sono un attivo finanziario di carattere speculativo e non sono necessarie per sostenere l’attività economica orientata al territorio nazionale, visto anche il loro notevole utilizzo per svolgere delle transazioni illecite o per evitare tasse e imposte. Se una persona ha poco potere di acquisto, non è comperando monete digitali che potrà aumentare la propria disponibilità finanziaria, tranne nel caso poco verosimile che i prezzi di queste criptovalute continuino ad aumentare a lungo termine. La digitalizzazione monetaria però potrebbe avere degli impatti positivi nell’insieme del sistema economico, se le banche centrali emettessero delle monete digitali per tutti i portatori di interesse in questo sistema, in sostituzione delle banconote cartacee. In tal caso le banche potrebbero perdere una parte consistente dei risparmi della loro clientela, trasformati in moneta digitale presso la banca centrale, e ciò le indurrebbe a orientare maggiormente le loro strategie verso il territorio, concedendo più crediti alle piccole e medie imprese, capaci così di generare occupazione e reddito a beneficio della collettività, anche grazie a una minore instabilità finanziaria.

Non tutti sanno che a Basilea ha sede la Banca dei regolamenti internazionali (BRI), un’organizzazione internazionale che funge da «banca delle banche centrali». Qual è il suo ruolo reale nel sistema finanziario globale? In che modo la BRI influenza le politiche monetarie delle banche centrali nazionali? Quali sono le zone d’ombra e i rischi legati a questo «potere discreto» che ha scelto, appunto, la Svizzera come «casa»?

La Banca dei regolamenti internazionali fu istituita nel 1930 con l’obiettivo di isolare i flussi di capitale internazionali dalle rivalità e dalle guerre tra gli Stati, come pure dalle fluttuazioni delle scelte politiche nazionali e dell’opinione pubblica. La BRI organizza degli incontri in cui i banchieri centrali discutono apertamente del coordinamento delle politiche monetarie, delle riforme normative, della vigilanza bancaria, dei meccanismi di compensazione e delle innovazioni finanziarie nel mondo globalizzato. La sua forza strutturante è importante per orientare i flussi di capitale internazionali e rappresenta in maniera evidente l’intricata interazione tra le configurazioni finanziarie territoriali e lo sviluppo geografico disomogeneo nel mondo contemporaneo. I banchieri centrali che si riuniscono alla BRI operano sulla scacchiera geo-economica mondiale – all’ombra delle discussioni e delle scelte politiche – al di fuori della sfera di competenza degli Stati. Gli inconvenienti e i rischi di questo potere discreto sono legati all’assenza di responsabilità democratica delle scelte dei banchieri centrali, che possono operare a vantaggio di pochi ma potenti gruppi di interesse a discapito del bene comune, sfruttando la neutralità della Svizzera per nascondere questi interessi privati.