Pellizza da Volpedo, empatia e luce

by azione azione
1 Dicembre 2025

Un’esposizione a Milano omaggia il grande artista morto nemmeno quarantenne

Diciamolo subito, il titolo scelto dalle curatrici non brilla certo per originalità, ma grazie alla sua declinazione plurale, se non altro, ha il merito di dichiarare fin da subito che la mostra Pellizza da Volpedo. I capolavori, presentata negli spazi della Galleria d’Arte Moderna di Milano, intende ampliare lo sguardo del pubblico su di un artista la cui breve ma intensa carriera ha finito per essere ridotta a un’unica opera: quel Quarto Stato che nell’immaginario collettivo è assurto a icona assoluta delle rivendicazioni sociali d’inizio Novecento.

Da maggio, tornato ad avere stabile dimora proprio alla Galleria d’Arte Moderna dopo il quindicennio trascorso al Museo del Novecento in piazza Duomo, questo capolavoro, già solo per le dimensioni, finisce inevitabilmente per imporsi sulle altre opere e per attrarre gran parte dell’attenzione del pubblico, tuttavia Paola Zatti e Aurora Scotti sono riuscite a raccogliere attorno al Quarto Stato il meglio della produzione dell’artista Giuseppe Pellizza, così da offrirci una visione più completa dell’artista nato a Volpedo nel 1868 e morto suicida nel 1907, non ancora quarantenne, un mese dopo la morte della moglie.

Una produzione, quella di Pellizza da Volpedo, che si concentra nel breve arco di un ventennio e le cui prime prove risalgono alla metà degli anni Ottanta, quando terminati gli studi a Brera, decide di approfondire la propria formazione con soggiorni a Roma, a Firenze, dove per alcuni mesi è allievo di Giovanni Fattori, e a Bergamo, dove all’Accademia Carrara segue gli insegnamenti di Cesare Tallone.

Tra i dipinti più significativi di questo periodo – in cui l’artista si muove nel solco del verismo e del naturalismo lombardi – Ricordo di un dolore, ispirato dalla tragica morte della sorella minore avvenuta nel 1889 mentre Pellizza era a Parigi per l’Esposizione universale. Al centro del quadro una figura femminile accasciata su una sedia con in mano dei fogli (probabilmente delle lettere), la cui lettura ha risvegliato nella sua memoria il dolore per la perdita di una persona cara. Un dolore annichilente che l’artista ha saputo rendere magistralmente attraverso lo sguardo della protagonista perso nel vuoto di una Desolazione senza conforto, un po’ come nella scultura realizzata da Vincenzo Vela per il monumento funebre dei genitori dei fratelli Giacomo e Filippo Ciani che i luganesi conoscono bene.

Questa capacità empatica e questa forte intonazione sentimentale rimarranno uno dei tratti più caratteristici e riconoscibili di tutta l’opera dell’artista, anche dopo la svolta divisionista, ma saranno anche uno dei motivi che porteranno a molti giudizi negativi sulla sua opera, soprattutto da parte dei futuristi. Come ricorda Francesco Guzzetti nel suo saggio in catalogo, ai commenti poco lusinghieri, quando non addirittura sprezzanti, di Soffici, Boccioni o Carrà, fa però da contraltare l’evidente conoscenza della sua opera, dalla quale molti di loro trassero, spesso senza dichiararlo, spunti e ispirazioni. È il caso di Boccioni il cui debito nei confronti del Divisionismo non può certo essere ricondotto solo all’ammirato Previati.

Soprattutto negli anni che precedono la morte, i paesaggi di Pellizza, in particolare quelli dipinti nel parco di Villa Borghese, in cui la vibrazione luministica dei colori divisi in filamenti allungati e l’uso sapiente del controluce trascinano lo sguardo nel vortice di un dinamismo cosmico, costituiscono un evidente precedente della boccioniana pittura degli stati d’animo. La precoce attenzione al tema del movimento da parte di Pellizza è del resto attestata anche dal prefuturista Automobile al Passo del Penice del 1904.

Presente alla prima Triennale di Brera del 1891 – evento fondativo dell’arte moderna in Italia dove viene consacrato il movimento Divisionista e si affermano le tematiche sociali – l’anno seguente Pellizza aderisce con entusiasmo alla tecnica della pittura a piccoli punti o tratti di colori puri che permetteva di ottenere una luminosità vibrante, perfetta per chi come lui amava dipingere en plein air.

Dopo un breve periodo di approfondimenti teorici e di sperimentazioni pittoriche in cui inizia a utilizzare i nuovi colori industriali in tubetto, Pellizza diventa così uno dei principali rappresentanti di questa corrente assieme a Segantini, Previati, Morbelli, Longoni e Nomellini.

Autoritratto, 1897-99 (©Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi)

Come dimostra emblematicamente l’Autoritratto, in cui si ritrae vestito in abito elegante di fronte alla propria biblioteca e non, come era tradizione, tenendo in mano gli attrezzi del mestiere, a ribadire una visione per cui l’arte non può ridursi a pura maestria tecnica ma deve operare in stretta correlazione con l’elaborazione del pensiero in ambito filosofico e letterario, il Divisionismo di Pellizza mantiene un saldo e positivistico ancoraggio alla realtà visiva, ma nello stesso tempo cerca continuamente di rintracciare dentro questa realtà la dimensione ideale del simbolo. Ne è un esempio straordinario Il sole del 1904, in cui l’artista dipinge dal vero l’istante del sorgere del sole nella campagna intorno a Volpedo, offrendoci però allo stesso tempo con questo controluce abbacinante un’immagine mirabile e piena di speranza del «sol dell’avvenire», metafora di origine marxiana del progresso sociale che in Italia ebbe grande fortuna grazie a Giuseppe Garibaldi.

Pellizza, che al tema del lavoro e delle condizioni delle classi più umili ha dedicato molte opere, è stato un fervido assertore di un socialismo umanitario che privilegiava la fratellanza tra gli individui e la solidarietà sociale rispetto alla rivoluzione e alla lotta di classe. Asciugando l’eccesso sentimentale che in alcune opere finisce per calcargli la mano, nel corso del lungo processo di elaborazione che dalla prima variante, intitolata Ambasciatori della fame, passando per Fiumana, giunge fino alla compiuta realizzazione del Quarto Stato, Pellizza firma nel 1901 il suo capolavoro, che è in primo luogo uno straordinario brano di pittura divisionista intriso di riferimenti all’arte del passato. Nell’incedere lento ma fermo e risoluto di quel gruppo di operai che avanza verso lo spettatore, Pellizza è riuscito però più che in ogni suo altro dipinto a creare un’immagine in cui realtà e simbolo si uniscono così strettamente da risultare inscindibili. Un’immagine che in breve tempo si è imposta come un’icona della modernità perché è riuscita a dare forma visibile a un fantasma che si aggirava per l’Europa.

Dove e quando
Pellizza da Volpedo (1868-1907). I capolavori.
Milano, Galleria d’Arte Moderna (Via Palestro 16).
Fino al 25 gennaio 2026.
Orari: ma-do 10.00-17.30; lu chiuso; chiuso 25.12. e 1.1;
www.gam-milano.com