Da qui Vasco da Gama salpò per l’India

by azione azione
1 Dicembre 2025

Ilha de Moçambique, dichiarata nel 1991 patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è meta storica e monumentale

A 500 anni dalla sua morte, Vasco da Gama guarda ancora verso l’India, sorveglia l’oceano che per primo solcò con le caravelle, immortalato nel bronzo a Ilha de Moçambique, antica capitale coloniale e principale base africana per i navigatori portoghesi sulla rotta per l’Oriente.

Il Mozambico con 2500 chilometri di coste ha le spiagge più belle, estese e incontaminate dell’Africa. L’aereo che porta dalla capitale Maputo alla settentrionale Pemba sorvola il suo litorale tra arenili spopolati, baobab e villaggi di capanne. Non si vede nessuna struttura turistica perché – causa conflitti e sottosviluppo – il Paese è la Cenerentola nel Continente: solo l’isola di sabbia Bazaruto e l’arcipelago delle Quirimba sono diventati richiami balneari.

Ilha de Moçambique, dichiarata nel 1991 patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è l’unica meta storica e monumentale: tappa irrinunciabile per chi visita il Mozambico. Da Pemba, 450 chilometri più a nord, la si raggiunge viaggiando tra i villaggi delle province di Cabo Delgado e di Nampula: tra capanne di fango, baobab, bizzarre formazioni rocciose, fiumi popolati di lavandaie con abiti sgargianti e abbaglianti saline.

Ilha si allunga tra i promontori che disegnano una baia. È collegata alla terra ferma da un ponte di 3400 metri costruito nel 1967.

È un’isola di meno di due kmq – la si gira a piedi – che ha dato il nome a un Paese di 801mila kmq, venti volte la Svizzera (41.290 km²). Fu Vasco da Gama a chiamarla Moçambique storpiando Musa Al Big, il nome del mercante omanita che gestiva i commerci sull’isola quando, il 2 marzo 1498, vi sbarcò per la prima volta e la rivendicò al Portogallo. Dal X secolo gli arabi navigatori di Muscat – mercanti in Africa orientale con basi a Lamu, Mombasa, Zanzibar, Pemba, Comore e Nosy Be – avevano aperto una stazione di scambio sull’isola, abitata da pescatori Bantù.

La decadenza di Ilha iniziò nel 1898 quando i portoghesi spostarono la capitale della colonia a Lourenço Marques, l’attuale Maputo, per sfruttare la scoperta delle miniere d’oro in Transvaal, nel confinante Sudafrica.

Il ponte parte dalle saline e sfocia nel quartiere africano di Ilha, formato da capanne abitate da pescatori. Ma in pochi minuti si ha un miraggio d’Europa, nella Cidade de Pedra dove i palazzi che furono dei nobili si mescolano a chiese, edifici pubblici, al cancello del porto e al grande Hospital de Moçambique. Perché Ilha è un luogo della saudade, nostalgica e monumentale testimonianza dell’epoca delle scoperte geografiche lusitane, una piccola Salvador de Bahia sull’oceano Indiano: qui – come a Lisbona e a Goa – si coglie il fascino struggente di quello che fu un grande impero.

Vasco da Gama la raggiunse una seconda volta nel 1503, ma fu solo nel 1507 che i portoghesi vi costruirono un insediamento permanente: stazione commerciale e base navale con rotte regolari per Goa, Ceylon, Malacca, Timor, Macao e Nagasaki. È della seconda metà del Cinquecento la Fortaleza de São Sebastião, la cittadella che domina il nord dell’isola: la più antica dell’Africa subsahariana. Ancor più datata è la vicina Capela de Nossa Senhora de Baluarte (1522) in stile manuelino, il gotico fiorito inventato a Lisbona da re Manuel I per celebrare le scoperte geografiche: è il più antico edificio europeo nell’emisfero sud. Poche centinaia di metri e si è nella Cidade de Pedra, il cuore monumentale di Ilha con il Palácio e la Capela de São Paulo, la residenza del governatore del 1610 trasformata in museo. Restaurata con i fondi Unesco, attraverso le molte sale con mobili di foggia indo-lusitana e oggetti indiani, cinesi e arabi, oltre che europei, illustra la vita di agi della nobiltà portoghese dell’epoca.

La cappella fu decorata nel Seicento da artisti goani e cinesi. Un piccolo museo marittimo narra il rapporto di Ilha con la navigazione. La statua di Vasco da Gama domina il giardino davanti al Palácio. A pochi isolati s’incontra il monumento a Luís Vaz de Camões, autore di I lusiadi, il poema epico che glorificò Vasco da Gama e le scoperte portoghesi. Dietro il Palácio si trova la Igreja da Misericordia con oggetti di culto, dipinti e sculture nel museo di arte sacra. Nel sud dell’isola, sul promontorio che disegna la baia affacciata sull’oceano c’è l’Igreja de Santo António: quello di Padova, che nacque a Lisbona ed è anche uno dei suoi patroni.

La chiesa è di fronte al quartiere africano, dove i pescatori prendono il mare sui dhow (le barche arabe a vela triangolare) o cuciono le reti in spiaggia all’ombra delle moschee, perché – a differenza del resto del Mozambico, a maggioranza cristiana o animista – la popolazione di Ilha è soprattutto musulmana. I Bantù qui si sono mescolati con portoghesi, omaniti, persiani, pakistani, indiani e cinesi: c’è anche un tempio indù. È la sfaccettatura di un Paese creolo, frutto della politica di Afonso de Albuquerque, il creatore dell’impero commerciale portoghese che nel Cinquecento incoraggiò i matrimoni misti per saldare i vincoli con i popoli sottomessi. I figli nati da queste unioni diventavano portoghesi al di là del colore della pelle: un lungimirante stratagemma che permise alle poche centinaia di marinai sbarcati di controllare, nell’arco di un paio di generazioni, immensi territori.

Ecco perché a Ilha, a fianco di un Paese bantù ce n’è uno creolo: ragazzi con pelle nera e occhi verdi a mandorla. E non si avverte astio razziale: un’eccezione in questa parte di Africa che rende più facile e piacevole il viaggio. Insieme alla melodiosa lingua lusitana, idioma nazionale – nel Paese in cui si parlano vari dialetti e il swahili – con ritmi più musicali che a Lisbona. Atmosfera gradevole anche per i sorrisi con cui si è accolti, nonostante la vita qui sia dura, come raccontano i padri Comboniani che gestiscono la locale missione.

Molte donne hanno il viso imbiancato dal musiro: la pasta ricavata da una radice grattata e mescolata all’acqua, protegge la pelle dal sole, la liscia e la idrata. Usato solo dalle nubili, serve anche a distinguere le ragazze in cerca di marito da quelle sposate.