Tra il ludico e il dilettevole: dai primi riti domestici ai richiami del cinema, il vinile ritrova spazio nelle nostre abitudini grazie al fascino tattile dell’analogico e alle sue atmosfere narrative
In un’epoca non poi così lontana, quando i file mp3, le piattaforme come MySpace, Spotify e Youtube non esistevano, per ascoltare musica si inseriva un cd o una musicassetta nello stereo o, in alternativa, si metteva un vinile sul giradischi. Allora estrarre un disco dalla sua custodia e appoggiarlo sul giradischi era un gesto carico di contenuto simbolico, da eseguire con dedizione e che esigeva disponibilità all’ascolto. Se si era seduti su una poltrona o sdraiati su un letto, ci si rilassava, e se si chiudevano gli occhi la coscienza diventava un flusso sonoro in movimento. Il tempo rallentava, si condensava in un territorio di confine, oltre il quale ci si abbandonava all’immaginazione e all’onirico.
Estrarre un disco, accendere una candela, posizionare la puntina, in Quasi famosi, fa realizzare persino i propri sogni
Oggi la maggior parte dei giovani ascolta la musica direttamente dal cellulare. Forse per questo anche quella ritualità che, solo un paio di decenni fa, caratterizzava ancora la fruizione della musica, si sta piano piano smarrendo. Purtuttavia, c’è chi afferma che il giradischi e i vinili stiano tornando prepotentemente di moda. Il valore collezionistico dei dischi, la bellezza estetica dell’oggetto, le sue componenti tattili e la qualità dell’analogico contribuiscono ad alimentare una sana nostalgia che sembra aver conquistato anche la generazione Z.
Direttamente e indirettamente, anche il cinema e la letteratura contribuiscono a mantenere in vita, attraverso la memoria visiva ed eidetica, il fascino dell’esperienza musicale che ha preceduto l’avvento del digitale. In alcuni film, per dire, la presenza del giradischi, del jukebox, ma anche dello stereo e del walkman, conferisce a questi oggetti una inconfondibile aura di iconicità .
C’è, per esempio, una scena del film Quasi famosi diretto da Cameron Crowe che mette al centro la magia della musica e l’iconicità del giradischi. Siamo nel 1973 e William, ragazzo che frequenta le scuole medie superiori, scrivendo articoli per giornali underground di San Diego si addentra gradualmente nel mondo del giornalismo musicale. La sua passione è legata indissolubilmente a una borsa di pelle che contiene una piccola collezione di dischi in vinile che la sorella maggiore gli ha lasciato in eredità prima di trasferirsi a San Francisco. Quando William riceve quel regalo è bambino, ma intuisce che quei dischi, che custodisce gelosamente sotto il letto, hanno il sapore della ribellione.
Poco dopo aver ricevuto in eredità quella borsa di pelle, William vi estrae l’album Tommy degli Who e, quando apre la custodia per sfilare il disco, scopre che la sorella gli ha lasciato un messaggio su un foglietto: «Ascolta Tommy con una candela accesa e vedrai davanti a te il tuo futuro». Allora mette il disco sul giradischi, appoggia con cura la puntina e, mentre il disco gira in primissimo piano, stregato dal suono ipnotico della chitarra, accende una candela. Bastano quei piccoli gesti per venire risucchiati in un altro mondo. La telecamera, a questo punto, indugia sull’atmosfera suggestiva creata dalla musica e poi sfuma, mantenendo le note in sottofondo, e con un flashforward ci trasporta nel futuro. Ora vediamo William, anni dopo, alle scuole superiori che, durante una lezione, riempie il suo quaderno di nomi di rockband. Il ragazzo ha in testa solo una cosa, diventare un giornalista musicale. Il salto temporale, che la telecamera realizza puntualmente davanti agli occhi dello spettatore, ci fa capire che la promessa annunciata dal messaggio lasciato dalla sorella si sta veramente compiendo. Quel biglietto era una formula magica.
Un secondo esempio che illustra la nostra riflessione è la scena finale di Flashdance di Adrian Lyne, nella quale la protagonista Alex Owens (Jennifer Beals) si presenta a un’audizione per entrare in una prestigiosa accademica di danza. Come in Quasi famosi, un primo piano ci mostra Alex che estrae un vinile dalla sua borsa e lo appoggia sul giradischi. La musica parte e la ragazza, sulle note dell’iconico brano What a feeling, esegue l’intera sequenza di danza che ha preparato di fronte a una giuria che, inizialmente, si mostra un po’ ingessata al cospetto di uno stile di danza che strizza l’occhio alle tendenze contemporanee.
Se in Flashdance un disco scioglie una giuria rigida, il grammofono di Dieci piccoli indiani incrina la quiete e accende il panico
Poi però, nel giro di pochi attimi, i ritmi indiavolati del ballo e della musica disarmano completamente lo scetticismo della giuria. I giurati si ritrovano così ad accompagnare il ballo muovendo in maniera un po’ rapsodica, come degli adolescenti impacciati, mani e braccia a ritmo di musica. Come in Quasi famosi, è un po’ come se la musica avesse liberato un incantesimo destando da un lungo torpore i giurati che, simbolicamente ringiovaniti, accolgono con piacere Alex nella loro prestigiosa accademia.
Nella letteratura, la portata iconica del giradischi è, in certi casi, meno dirompente, forse perché lasciata maggiormente all’immaginazione del lettore. In altri casi, però, una narrazione ben congegnata, come quella che caratterizza il romanzo Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, può fare la differenza. Lo dimostra, in particolare, una delle scene presenti nei capitoli iniziali. Si tratta del momento in cui i protagonisti, giunti sull’isola che fa da sfondo alla vicenda, si ritrovano nell’ampio salotto dove, in un’atmosfera di buon umore generale, cominciano a conoscersi l’uno l’altro. Intanto Rogers, il servizievole maggiordomo, adempiendo alla richiesta del fantasmatico signor Owen si avvicina al grammofono per mettere un disco. Senonché, quando posiziona il disco e aziona il grammofono, non è la melodia vellutata de Il lago dei cigni composta da Tchaikovsky – come lascerebbe intendere la scritta sul disco – a diffondersi nel salotto, ma una voce misteriosa che, come un fulmine, squarcia l’atmosfera accusando gli ospiti di aver commesso degli omicidi. L’effetto è immediato, l’atmosfera si raggela all’istante, lasciando tutti sconvolti. Poi, passata l’iniziale incredulità , nascono discussioni accese e, nello sconcerto generale, ognuno espone la propria versione dei fatti dichiarandosi innocente.
Se il grammofono azionato da Rogers in Dieci piccoli indiani diffonde il panico fra gli ospiti riuniti sull’isola c’è, in un altro romanzo importante, un altro giradischi che porta una ventata di speranza in un mondo saturo di angoscia esistenziale. Nel finale de La nausea di Jean-Paul Sartre, Antoine Roquentin ascolta un disco di musica jazz che qualcuno ha messo sul giradischi. La natura volatile delle note che pervadono l’atmosfera del loro mood lo rende consapevole che, al di là del carattere effimero dell’esistenza e indipendentemente dalla sua soggettività , la melodia che percepisce ha una sua permanenza nel tempo. Questa scoperta porta il protagonista alla decisione di scrivere un libro per dare un senso compiuto alla propria libertà .
Quando si parla di esperienza immersiva si pensa quasi sempre alla realtà virtuale e all’immagine. Gli esempi qui sviluppati aiutano a capire che anche l’ascolto ha una sua componente immersiva, senza la quale sarebbe difficile, per dire, anche solo evocare il trasporto con cui la musica ci fa vivere più intensamente e, in certi casi, trasforma completamente la realtà .






